Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16525 del 31/07/2020

Cassazione civile sez. II, 31/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 31/07/2020), n.16525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21181 – 2019 R.G. proposto da:

W.M., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Caltanissetta, al corso

Sicilia, n. 105, presso lo studio dell’avvocato Antonella Macaluso,

che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio

separato allegato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 22/2019 della Corte d’Appello di

Caltanissetta;

udita la relazione nella camera di consiglio del 6 febbraio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ordinanza del 12.5.2017 il Tribunale di Caltanissetta rigettava il ricorso con cui W.M. aveva chiesto il riconoscimento dello status di “rifugiato” ed, ulteriormente, il riconoscimento della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

2. Avverso tale ordinanza W.M. proponeva appello. Resisteva il Ministero dell’Interno.

3. Con sentenza n. 22/2019 la Corte d’Appello di Caltanissetta rigettava il gravame.

3.1. Esplicitava la corte che, così come aveva ritenuto il tribunale, non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato”; che le dichiarazioni rese dall’appellante, con particolare riferimento alle ragioni – ovvero alle violenze, culminate nell’assassinio di suo fratello, e alle minacce perpetrate ai suoi danni, allorchè avevano appreso la notizia delle nozze, dai familiari di una ragazza di ceto sociale superiore sposata clandestinamente – che lo avevano indotto a lasciare il (OMISSIS), suo paese d’origine, risultavano generiche, lacunose e quindi inverosimili.

Esplicitava altresì che non si configuravano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.

Esplicitava segnatamente che non si aveva riscontro, alla stregua del report pubblicato da EASO ad agosto del 2017, con riferimento al luogo di provenienza di W.M., ricompreso nel distretto del (OMISSIS), dell’esistenza di situazioni di conflitto armato di gravità tale da esporre, per ciò solo, a rischio la vita e l’incolumità personale del medesimo appellante in ipotesi di rimpatrio.

Esplicitava infine che non si configuravano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso W.M.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), artt. 5, 7 e 8 anche alla luce del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Deduce che le sue dichiarazioni, asseritamente generiche e lacunose, avrebbero dovuto essere integrate sulla scorta degli ampi poteri istruttori officiosi devoluti al giudice del merito.

Deduce che in tal guisa si sarebbe acquisito riscontro della persecuzione per motivi – in senso lato – di opinione politica attuata ai suoi danni, siccome con il suo comportamento ha scardinato gli schemi convenzionali della società (OMISSIS) in materia di fidanzamenti e matrimoni.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio.

Deduce che ha errato la corte di merito a negargli la protezione sussidiaria.

Deduce che la corte distrettuale non ha considerato che, in caso di suo rimpatrio, subirebbe trattamenti inumani e degradanti da parte della famiglia della moglie, sposata clandestinamente.

Deduce che, in dipendenza della situazione socio – politica e della perdurante indiscriminata violenza esistente nella regione di sua provenienza, il (OMISSIS), sarebbe, in caso di suo rimpatrio, fortemente esposto a rischi per la sua vita e la sua incolumità personale.

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1.

Deduce che ha errato la corte nissena a negargli la protezione umanitaria.

Deduce che ha fornito elementi – non adeguatamente valutati – atti a comprovare che ha intrapreso un percorso di integrazione nel tessuto sociale italiano; che già da taluni anni ha lasciato il suo paese d’origine, sicchè incorrerebbe nelle difficoltà tipiche di un nuovo inserimento sociale e lavorativo.

Deduce dunque che, in ipotesi di rimpatrio, verserebbe in condizioni di particolare vulnerabilità in dipendenza dell’impossibilità – pur correlata alla grave situazione di emergenza umanitaria in cui vive la popolazione (OMISSIS) – di raggiungere gli standards minimi per una dignitosa esistenza.

Deduce quindi che appieno si sarebbe giustificata la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

8. Il primo motivo è destituito di fondamento.

9. Questa Corte spiega che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; altresì, che, in relazione alla protezione sussidiaria, essa ha ad oggetto sul piano dell’onere di allegazione tutto ciò che è contenuto nel paradigma dell’art. 14, trattandosi di norma tesa a distinguere il concetto di “danno grave” secondo i diversi profili di cui alle lett. a), b) e c); cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794, secondo cui, in materia di protezione internazionale, il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello status di “rifugiato”, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 stesso D.Lgs., con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine).

10. Su tale scorta si rimarca che la Corte di Caltanissetta, in linea con quanto assunto in prime cure dal tribunale, ha dato compiutamente conto della genericità e dunque della inattendibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

In particolare la corte ha dato atto dell’assenza di qualsivoglia riscontro e, soprattutto, ha rimarcato che il certificato di morte del fratello del ricorrente ne ascriveva il decesso a cause naturali (cfr. sentenza impugnata, pag. 9).

Del tutto legittimo è quindi il mancato esperimento dei poteri istruttori officiosi.

11. Si tenga conto, in pari tempo, che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

12. Il secondo motivo è del pari destituito di fondamento.

13. Si premette che il secondo mezzo si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Invero con il motivo in disamina il ricorrente sostanzialmente censura il giudizio “di fatto” cui la corte di merito ha atteso ai fini del concreto riscontro dell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c (“ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sono considerati danni gravi: (…); c) la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”).

Del resto è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

Ed, ulteriormente, questa Corte spiega che, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

14. Su tale scorta gli asseriti vizi motivazionali che il secondo motivo di ricorso veicola, sono evidentemente da vagliare, oltre che nei limiti della novella formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

15. In quest’ottica si osserva quanto segue.

Da un canto, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte distrettuale ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte ha – siccome si è in precedenza evidenziato – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo (la corte ha ulteriormente specificato che “secondo una relazione dell’IGC del maggio 2016 solo nel sud della provincia (del (OMISSIS)) sono presenti reti militari ed estremisti in grado di programmare e condurre attentati terroristici”: così sentenza impugnata, pag. 10).

D’altro canto, la corte territoriale ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi in astratto prefigurata al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

16. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte siciliana, risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

17. Il ricorrente, in fondo, adduce che il rapporto EASO “contiene gravi omissioni, le COI dell’EASO sul (OMISSIS) (…) riportano un quadro totalmente diverso” (così ricorso, pag. 6), che la corte nissena ha errato a non riconoscere “il clima di assoluta instabilità, che caratterizza il Paese” (così ricorso, pag. 7).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

18. Il terzo motivo è parimenti destituito di fondamento.

19. Senza dubbio questa Corte spiega che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

20. E però non può non darsi atto che analogamente il terzo motivo di impugnazione reca sostanzialmente censura del giudizio “di fatto” cui, pur in parte qua, la corte d’appello ha atteso, giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di “vulnerabilità” – e soggettiva e oggettiva – del richiedente (condivisibilmente il Ministero assume, sulla scorta della pronuncia n. 4455/2018 di questa Corte, che “l’accertamento della vulnerabilità costituisce l’esito di un giudizio di valore rimesso al giudicante”: così controricorso, pag. 11).

21. Ebbene, in quest’ottica, analogamente nei limiti della novella formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 – alla cui stregua il mezzo in disamina, a rigore, si qualifica – ed alla luce della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che reputarsi quanto segue.

Per un verso, nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” si configura, anche in parte qua, nelle motivazioni dell’impugnato dictum.

La corte di merito ha non solo specificato che la complessiva inattendibilità delle dichiarazioni rese dall’appellante non dava contezza delle ragioni dell’eventuale suo sradicamento dal territorio d’origine, ma ha soggiunto che W.M. aveva dichiarato di aver presentato domanda di protezione internazionale sulla scorta delle stesse motivazioni all’autorità tedesche e di essere in attesa del relativo esito.

Cosicchè ineccepibilmente la corte distrettuale ha concluso nel senso che la domanda di protezione formulata alle autorità italiane dovesse considerarsi “del tutto strumentale e non sorretta da (…) ragioni di diritto idonee” (così sentenza impugnata, pag. 12): evidentemente la pretesa realizzazione da parte del ricorrente di un adeguato grado di integrazione sociale in Germania non può che escludere, di per sè, la realizzazione di un adeguato grado di integrazione pur in Italia.

Per altro verso, la corte territoriale ha innegabilmente disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza delle condizioni ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

22. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

23. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315, secondo cui la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, W.M., a rimborsare al Ministero dell’Interno le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2020

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