Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16525 del 05/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 05/07/2017, (ud. 22/05/2017, dep.05/07/2017),  n. 16525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13364/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.C., rappresentato e difeso dall’avv. Marinella Ferrari,

con domicilio eletto in Roma, via dei Tre Orologi 20, presso lo

studio dell’avv. Guliano Leuzzi;

– controricorrente –

e sul ricorso iscritto al n. 13364/2010 R.G. proposto da:

M.C., rappresentato e difeso dall’avv. Marinella Ferrari,

con domicilio eletto in Roma, via dei Tre Orologi 20, presso lo

studio dell’avv. Guliano Leuzzi;

– ricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania Lazio depositata l’11 maggio 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 maggio

2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che la presente vicenda riguarda un accertamento extra contabile del reddito nei confronti di M.C., cui l’Amministrazione finanziaria ha contestato, in relazione agli anni di imposta 1998-2003, di avere esercitato l’attività di dentista, in assenza di documentazione fiscale;

che il reddito fu ricostruito sulla base di indagini finanziarie sui conti correnti bancari intestati al contribuente;

che il contribuente ha impugnato gli avvisi davanti alla Commissione tributaria provinciale, che, riuniti i vari procedimenti, ha accolto parzialmente i ricorsi, rideterminando l’imponibile, mediante il riconoscimento, fra l’altro, di una percentuale di costi connessi all’attività abusiva, e ciò non scio(ai fini delle imposte sul reddito, ma anche ai fini Iva;

che contro la sentenza hanno proposto appello sia il contribuente e sia, con impugnazione incidentale, l’Agenzia delle entrate;

che la Ctr ha rigettato ambedue gli appelli;

che contro la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, cui il contribuente ha reagito con controricorso, contenente ricorso incidentale affidato a otto motivi;

che il primo motivo del ricorso principale deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 22e 53 per avere la Ctr dichiarato inammissibile l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate a causa della mancata produzione dell’avviso di ricevimento della notificazione effettuato a mezzo del servizio postale, senza considerare che la controparte aveva resistito all’impugnazione incidentale con memoria, con ciò dimostrando di averne avuto conoscenza;

che il motivo si chiude con il seguente quesito di diritto: “Dica la S. Corte se sia errata la sentenza impugnata nella parte in cui afferma l’inammissibilità dell’appello incidentale dell’Ufficio per la mancata produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata mediante cui esso è stato spedito al contribuente, sebbene quest’ultimo avesse regolarmente resistito con memoria a tale impugnazione, così dimostrando, con comportamento concludente, di averne avuto cognizione”;

che il motivo è inammissibile;

che la Ctr, con la statuizione oggetto del motivo, aveva dato seguito alla contestazione del contribuente (v. memoria riportata a pag. 5 del ricorso principale) riguardante la tempestività della “spedizione” dell’appello incidentale (meglio della comparsa che lo conteneva) alla segreteria della Ctr, autorizzando quindi l’illazione che costituzione in giudizio dell’appellata fosse avvenuta mediante spedizione della memoria a mezzo posta;

che, in particolare, il motivo proposto dall’Agenzia delle entrate censura la sentenza là dove la Ctr rileva che “per quanto riguarda la contestazione dell’appello incidentale presentato oltre i termini previsti dal D.Lgs. n. 546 del 2992, art. 23 non viene fornita alcuna prova da parte del contribuente, atteso che al ricorso di appello viene allegata la ricevuta della spedizione della raccomandata, ma non la cartolina di ritorno con la data dell’avvenuta consegna”;

che tale passaggio motivazionale è inteso dalla ricorrente quale rilievo di una mancanza addebitata all’Agenzia delle entrate, laddove la mancanza, persino letteralmente, è imputata al “contribuente”;

che tale interpretazione è confermata dalla frase seguente, che inizia con la congiunzione avversativA “tuttavia” e che prosegue con la valutazione sul merito dell’impugnativa, ritenuta infondata;

che la ricostruzione ora proposta trova conferma nel dispositivo, che contiene una pronuncia di rigetto di ambedue gli appelli “principale del contribuente ed incidentale dell’Ufficio”;

che insomma non c’è alcuna indicazione che consenta di ritenere che l’appello incidentale sia stato dichiarato inammissibile;

che, ogni caso, il principio di diritto posto a base del motivo è certamente fuori luogo perchè ipotizza, contro le disposizioni di legge e gli atti di causa, che destinatario della spedizione postale della memoria contenente l’appello incidentale fosse la controparte, mentre l’eccezione mossa dal contribuente si riferiva alla spedizione dell’atto alla Segreteria della Commissione tributaria regionale adita;

che il secondo motivo del ricorso principale, il quale pone la medesima questione sotto il profilo del vizio di motivazione, è assorbito;

che il terzo motivo del ricorso principale deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 55 in relazione al fatto che la Ctr, nel riconoscere una percentuale induttiva di costi, aveva esteso l’operatività del riconoscimento anche ai fini Iva;

che il motivo è fondato, perchè “nel caso di determinazione della base imponibile mediante accertamento induttivo puro, la esigenza che l’Ufficio accertatore determini presuntivamente, unitamente ai maggiori redditi non esposti, anche i correlati costi sostenuti nello svolgimento dell’attività economica, da dedurre dal reddito lordo, si pone esclusivamente al fine della applicazione delle “imposte dirette” (cfr. Cass. n. 28028/2008; n. 3995/2009), mentre tale esigenza esula del tutto dalla ricostruzione induttiva del “volume di affari” in relazione alla quale viene in questione, ai fini della liquidazione dell’IVA dovuta, la diversa esigenza di dover applicare comunque il principio di neutralità della imposta, dovendo considerare l’Ufficio a tal fine esclusivamente le detrazioni D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, corrispondenti alla imposta effettivamente versata dal contribuente ed a quella effettivamente corrisposta in rivalsa sull’acquisto di beni e servizi destinati allo svolgimento dell’attività economica, ma con riferimento soltanto agli importi risultanti dalle liquidazioni periodiche previste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 27, (e dall’art. 33 vigente al tempo), (cfr. D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1, ultimo periodo)” (Cass. n. 14703/2014);

che il quarto motivo, il quale pone la medesima questione sotto il profilo del vizio di motivazione, è assorbito;

che il primo motivo del ricorso incidentale censura la nullità sentenza per difetto di motivazione, risolvendosi la stessa motivazione in un mero e acritico rinvio alla decisione dei primi giudici;

che il motivo è infondato: è vero che la sentenza enuncia in apertura della motivazione la totale condivisione, da parte dei giudici d’appello, della sentenza di primo, grado; tuttavia la Ctr poi ripercorre le censure proposte dal contribuente e sinteticamente le esamina e le disattende;

che il secondo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, perchè deduce contemporaneamente violazione di legge e vizio di motivazione, in termini tali da non consentire alla Corte di comprendere se la decisione sia stata denunciata in fatto, per avere ritenuto che non fosse stata presentata la dichiarazione di definizione automatica, oppure in diritto per avere ritenuto tale dichiarazione essenziale, pur in presenza del tempestivo pagamento;

che il motivo poi, contenendo censure eterogenee per violazione di legge e vizio di motivazione, doveva a pena di inammissibilità concludersi sia con il quesito di diritto e sia con il momento di sintesi, laddove c’è solo il quesito di diritto, nel quale si sostiene che “in riferimento alla violazione della L. n 289 del 2002, art. 9 (…), il momento perfezionativo della sanatoria coincide con il pagamento degli importi dovuti e, quindi, nessun accertamento tributario poteva essere effettuato nei confronti del ricorrente, con conseguente infondatezza dell’impugnato avviso di accertamento”;

che la tesi in diritto sottesa a tale quesito è ad ogni modo infondata: “Ai fini del perfezionamento del condono fiscale L. n. 289 del 2002, ex artt. 8 e 9 costituisce adempimento imprescindibile la presentazione in via telematica direttamente, ovvero avvalendosi degli intermediari abilitati, di una formale dichiarazione integrativa nei termini previsti dalla legge, non essendo sufficiente il solo pagamento dei maggiori importi dovuti all’Amministrazione finanziaria, pur se tempestivamente versati, poichè la presentazione di detta dichiarazione è finalizzata a consentire all’Erario di determinare correttamente la base imponibile e di stabilire se le somme corrisposte dal contribuente siano state esattamente calcolate (Cass. n. 17821/2016)”;

che il terzo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, in quanto denuncia vizi di motivazione su questioni giuridiche, in contrasto con l’insegnamento di questa Suprema corte secondo cui i relativi vizi o costituiscono errori in iudicando censurabili ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 oppure, se attengono propriamente e soltanto alla motivazione, non danno luogo a cassazione della sentenza, ma a correzione della motivazione in diritto ex art. 384 c.p.c., u.c. (Cass. n. n. 19618/2003; n. 6328/2008; n. 7050/1997);

che in linea di diritto si ritiene ugualmente di precisare che la tesi fatta propria del contribuente (gli accertamenti bancari implicano la necessità di instaurare il contraddittorio con il contribuente) è in contrasto con l’orientamento unanime di questa Suprema corte, secondo cui “la legittimità della utilizzazione, da parte dell’amministrazione finanziaria, dei movimenti dei conti correnti bancari è condizionata alla previa instaurazione del contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell’accertamento, atteso che il citato art. 32 prevede il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell’amministrazione tributaria, non di un obbligo” (Cass. n. 4601/2002; Cass. n. 15857/2016);

che nei medesimi profili di inammissibilità incorre il quarto motivo di ricorso, il quale deduce anch’esso vizio di motivazione su una questione giuridica, e cioè l’avere la Ctr ritenuta legittima la tassazione Irap e Iva, nonostante di discutesse di prestazioni sanitarie;

che di là da tale rilievo si ritiene di aggiungere che la valutazione compiuta dai giudici d’appello su questo aspetto, e cioè che non si danno prestazioni sanitarie esente laddove la professione sia stata esercitata abusivamente, è immune da censure;

che i medesimi profili di inammissibilità si ravvisano nel quinto motivo, che deduce vizio di motivazione sulla questione (di diritto) se alla ricostruzione induttiva del reddito debba fare riscontro il riconoscimento dei costi;

che il motivo inoltre pecca di autosufficienza, tenuto conto che, sul riconoscimento dei costi, il contribuente aveva ottenuto ragione in primo grado e non chiarisce in che termini e per quale finalità avesse riproposto la questione alla Ctr;

che quei medesimi profili di inammissibilità inficiano anche il sesto motivo, il quale, di là improprietà del quesito, che è formulato sovrapponendo vizi della sentenza e vizi dell’avviso di accertamento, è peraltro ispirato a una tesi palesemente errata in diritto, e cioè che all’avviso di accertamento debbano essere allegati tutti gli atti in esso richiamati, inclusi quelli già notificati o comunicati al contribuente, essendo invece vero il contrario, e cioè che vanno allegati, o riprodotti nel contenuto essenziale, solo gli atti già non conosciuti dal contribuente e sempre che abbiano effettivo rilievo integrativo della motivazione (Cass. n. 18083/2019; conf. Cass. n. 6595/2013; cass. n. 4788/201);

che il settimo motivo censura la sentenza per non avere rilevato, confermando la sentenza dei primi giudici, il difetto di motivazione dell’avviso;

che il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in carenza di trascrizione dell’avviso di accertamento (Cass. n. 9536/2013);

che è infine inammissibile anche l’ottavo motivo del ricorso incidentale: esso deduce censure eterogenee (vizio di motivazione e violazione di legge, senza momento di sintesi e quesito di diritto) e poichè perchè la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 è dedotta in modo formale, sulla base del generico rilievo che esisteva una “obiettiva situazione di incertezza”, laddove, secondo gli insegnamenti della Suprema corte, “la violazione della norma è ravvisabile solo quando la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata” (Cass. n. 7678/2002; n. 11485/2005; n. 725/2010);

che in conclusione, quanto al ricorso principale, il primo motivo va dichiarato inammissibile; va accolto il secondo; vanno dichiarati assorbiti gli altri motivi;

che il ricorso incidentale va dichiarato interamente inammissibile, essendo inammissibili tutti i motivi;

che si giustifica in relazione al motivo accolto la cassazione della sentenza, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame attenendosi al principio di diritto sopra enunciato;

che il giudice di rinvio, posto che la ricostruzione del reddito è stata operata sulla base di accertamento bancari, dovrà inoltre considerare che mentre le operazioni di versamento hanno valore presuntivo nei confronti di tutti i contribuenti, le operazioni bancarie di prelevamento, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, hanno tale valore solo nei confronti dei titolari di reddito di impresa, ipotesi che non ricorre nel caso di specie, per cui la ricostruzione del maggiore imponibile dovrà tenere conto del sopravvenuto mutamento del quadro normativo di riferimento.

PQM

 

dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale; accoglie il terzo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti gli altri motivi; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo del ricorso principale accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 22 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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