Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16524 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 11/06/2021), n.16524

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2732/2014 R.G. proposto da:

SAN MARTINO SRL IN LIQUIDAZIONE (C.F. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.

MARIO GARAVOGLIA, dall’Avv. CLAUDIO LUCISANO e dall’Avv. MARIA SONIA

VULCANO, elettivamente domiciliata presso questi ultimi in ROMA, Via

Crescenzio, 91;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

12

– controricorrente avverso la sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Valle D’Aosta, n. 15/01/13, depositata il 3 giugno

2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9 marzo 2021

dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La società contribuente SAN MARTINO SRL ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta dell’esercizio 2005, con il quale veniva rideterminata la base imponibile in relazione a una cessione di un terreno sito in (OMISSIS), con conseguente accertamento di plusvalenza e recupero di IRES, IRAP e IVA. L’accertamento faceva seguito alla constatazione che il terreno era stato oggetto di una catena di vendite successive nel giro di due giorni (tra il 4 e il 6 luglio 2005), con progressive realizzazioni di plusvalenze.

La CTP di Aosta ha rigettato il ricorso e la CTR della Valle D’Aosta, con sentenza in data 3 giugno 2013, ha rigettato l’appello della società contribuente. Ha ritenuto la CTR che l’effetto traslativo non può farsi risalire all’esercizio 1995, posto che a tale data risultava unicamente la fattura di vendita, laddove il contratto traslativo di diritti reali immobiliari va stipulato in forma scritta sotto pena di nullità, come anche il relativo contratto preliminare, con conseguente nullità del contratto e inefficacia della relativa cessione sotto il profilo fiscale. Sotto questo profilo la CTR ha evidenziato che il bene immobile è risultato iscritto sino al 2004 tra le poste dell’attivo (immobilizzazioni materiali) della odierna contribuente, già asserita cedente. La CTR ha, inoltre, ritenuto corretta la determinazione della plusvalenza, calcolata sulla base degli aumenti che il terreno ha subito in pochi giorni, ancorando, pertanto, il maggior valore a quello di mercato e non a quello precedentemente concordato nel 1995. Ha, inoltre, ritenuto la CTR errata e non provata la censura relativa alla doppia imposizione che si sarebbe ingenerata per effetto della tassazione della plusvalenza in capo ai successivi cedenti e, infine, ha rigettato la censura relativa alla mancata considerazione, a riduzione della plusvalenza da parte dell’Ufficio, delle perdite di esercizio, trattandosi di censura generica.

Propone ricorso per cassazione la società contribuente affidato a quattro motivi; resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1 – Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), art. 86, per avere l’Ufficio rettificato il prezzo di cessione del terreno non sulla base del prezzo concordato nel 1995, bensì sulla base del prezzo di mercato determinato nell’esercizio 2005. Deduce il ricorrente di avere predisposto con l’avente causa una promessa di vendita nel 1995, confermata dall’emissione della fattura di vendita, registrata in contabilità, il cui prezzo è stato successivamente versato. Deduce, pertanto, che il corrispettivo da prendere a riferimento ai fini della determinazione della plusvalenza è quello conseguito e incassato nel 1995 e ritiene fornita la prova della vendita del bene immobile a un prezzo inferiore, come determinatosi nell’esercizio 1995.

1.2 – Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, nella parte in cui la CTR ha determinato il valore del bene immobile compravenduto sulla base del valore venale. Evidenzia il ricorrente come non vi sia stata contestazione circa l’inattendibilità della documentazione, con la conseguente illegittimità dei presupposti in base ai quali è stato effettuato l’accertamento, nonchè per mancanza degli elementi indiziari dello stesso. Contesta, inoltre, la rilevanza dell’accertamento in fatto circa i legami tra alcune delle società coinvolte dalla catena di alienazioni, posto che ciascuna delle società acquirenti avrebbe corrisposto le relative imposte dirette.

2 – I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, osservandosi – peraltro – come il primo motivo non colga l’esatta ratio decidendi della sentenza impugnata, laddove ha dichiarato la nullità della “promessa di vendita” relativa all’esercizio 1995 per mancanza della prova scritta ad substantiam.

2.1 – I motivi sono infondati. Come nota il controricorrente, la CTR ha valorizzato un coacervo indiziario secondo il quale il prezzo effettivamente incassato dal venditore è quello oggetto di accertamento, ciò risultante dalla contemporanea cessione dello stesso bene, lo stesso giorno, a un prezzo maggiorato e dalla rivendita dello stesso bene, due giorni dopo (unitamente ad altro terreno) a prezzo ulteriormente maggiorato, correlativamente all’accertamento che le società coinvolte dalla catena di cessioni (ad eccezione dell’ultima cessionaria), nonchè la società incorporata che aveva tra le sue immobilizzazioni materiali l’immobile in oggetto, avevano lo stesso legale rappresentante, al contempo “socio unico nella San Martino SRL in liquidazione”. Il che è proprio dell’accertamento analitico-induttivo, ove l’Agenzia delle Entrate ricostruisce le maggiori imposte con un ragionamento deduttivo fondato su presunzioni semplici, che non hanno ad oggetto il reddito nella sua totalità, ma singole poste, delle quali viene provata aliunde l’inesattezza (Cass., Sez. V, 21 marzo 2018, n. 7025), come in questo caso il prezzo di cessione del terreno.

2.2 – Nè può contestarsi la legittimità del presupposto sulla base del quale è stato fatto ricorso al metodo analitico-induttivo, potendo questo essere promosso anche a fronte di scritture contabili apparentemente regolari, a partire dalle quali viene effettivamente effettuato l’accertamento, affidato alla pregnanza del coacervo indiziario, volto a colmare le lacune delle singole poste contabili (Cass., Sez. V, 18 dicembre 2019, n. 33604). E’, pertanto, sulla base di presunzioni semplici aventi i requisiti di cui all’art. 2729 c.c. che si basa la fondatezza dell’accertamento in questione (Cass., Sez. V, 18 dicembre 2019, n. 33604), le quali possono essere fondate anche su un unico elemento indiziario, purchè preciso e grave (Cass., Sez. V, 14 ottobre 2020, n. 22184). Nel qual caso l’ufficio null’altro è tenuto a provare, se non quanto emerga dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, gravando sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili (Cass., Sez. V, 31 ottobre 2018, n. 27804).

2.3 – Nella specie l’Ufficio ha accertato l’esistenza di un coacervo indiziario dotato di pregnanza presuntiva e ha escluso la prova contraria offerta dal contribuente – ove intendeva provare la cessione del bene in epoca precedente di dieci anni, al fine di opporre la prova della correttezza del prezzo indicato in rogito quale prezzo concordato – accertando la nullità della precedente cessione e valorizzando l’iscrizione in bilancio del bene immobile da parte del cedente, odierna ricorrente, sino alla cessione avvenuta nel 2005.

3.1 – Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 163 TUIR, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso che ricorra nel caso di specie la doppia imposizione. Evidenzia il ricorrente come le successive società acquirenti avrebbero corrisposto le imposte sulla plusvalenza in relazione alle successive cessioni, sicchè l’aver fatto carico alla originaria cedente della tassazione della plusvalenza determinatasi sulla base del valore raggiunto sulla base dell’ultima transazione presa a riferimento, costituirebbe violazione del divieto di doppia imposizione.

3.2 – Il terzo motivo è infondato. Secondo una giurisprudenza di questa Corte, in tema di imposte sui redditi la doppia imposizione si verifica soltanto nell’ipotesi di due avvisi di accertamento che assoggettino a tassazione il medesimo presupposto, non quando l’imposta venga chiesta in pagamento a fronte di due diversi titoli a due soggetti diversi (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27625).

Detto principio, operante anche in materia di IVA, fa sorgere il diritto a richiedere il rimborso di quanto eventualmente versato (Cass., Sez. V, 24 settembre 2015, n. 18917; Cass., Sez. V, 20 giugno 2008, n. 16819) ma non può impedire l’ulteriore tassazione in capo ad altro soggetto. L’operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, 29 settembre 1973, n. 600, art. 67, attiene, difatti, alla reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto, il che non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, ove diversi sono i soggetti passivi, ovvero anche i requisiti posti a base delle due diverse imposizioni (Cass., Sez. V, 12 giugno 2002, n. 8351).

4.1 – Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Evidenzia il ricorrente che la società contribuente aveva registrato nei precedenti esercizi una perdita di esercizio, circostanza che evidenziava l’assenza di finalità elusiva della operazione di cessione. Evidenzia, ulteriormente, parte ricorrente, che tali perdite si sarebbero potute utilizzare in compensazione in relazione alla dedotta plusvalenza, circostanza in relazione alla quale sarebbe stata omessa ogni considerazione da parte della sentenza impugnata.

4.2 – Il quarto motivo è inammissibile, posto che il fatto storico delle perdite di esercizio da parte della società contribuente per gli esercizi precedenti il 2005 è stato effettivamente preso in esame dalla CTR. Nel qual caso il motivo non mira a esaminare un fatto storico omesso, ma a rivedere il ragionamento decisorio del giudice del merito, con riformulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità, non essendo compatibile il vizio denunciato con la riformulazione del giudizio di merito (Cass., Sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 91; Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526).

5 – Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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