Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16522 del 14/07/2010

Cassazione civile sez. trib., 14/07/2010, (ud. 12/05/2010, dep. 14/07/2010), n.16522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.F., S.M., in qualità di eredi di

S.G., elettivamente domiciliate in ROMA VIA NICOTERA

29, presso lo studio dell’avvocato ALLOCCA GIORGIO, che le

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RIOLFO GRAZIELLA,

giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI RIVANAZZANO in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZALE CLODIO 32, presso lo

studio dell’avvocato CIABATTINI LIDIA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GOBBA MARIA TERESA, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 115/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 20/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito per il ricorrente l’Avvocato SALERNO, per delega dell’Avvocato

ALLOCCA, che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato CIABATTINI, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

per quanto di ragione.

 

Fatto

S.G. presentava, in data 20.8.1993, al competente Ufficio del Catasto denuncia di variazione dell’immobile di sua proprietà di categoria (OMISSIS) (albergo) sito nel Comune di Rivanazano, in quanto erano stati eseguiti dei lavori che ne avevano modificato la consistenza. Nelle more di attribuzione della nuova rendita, il contribuente provvedeva a pagare l’I.C.I. sulla base di rendita di un immobile similare.

A seguito della messa in atti il 29.4.2003, il contribuente chiedeva al Comune di Rivanazzano il rimborso delle somme versate in eccedenza a titolo di I.C.I. per un importo di Euro 29.095,572, oltre gli interessi, ed, a seguito del rifiuto da parte dell’ente territoriale, adiva la C.T.P. di Pavia Si costituiva il Comune, opponendosi all’accoglimento del ricorso e chiarendo che il rifiuto al rimborso era fondato sul presupposto che per gli immobili di categoria (OMISSIS), privi di rendita, l’I.C.I. avrebbe dovuto essere pagata in base al valore contabile iscritto in bilancio.

La C.T.P. accoglieva il ricorso, statuendo l’obbligo per il Comune di rifondere quanto versato in eccesso dal 1997 al 2002, con gli interessi di legge.

In data 27.5.2004, veniva notificata la sentenza al Comune tramite l’Ufficiale giudiziario ed in data 2.6.2004 all’avvocato difensore, M.T. Gobba. In data 30.7.2004 veniva notificato l’appello del Comune e, successivamente, veniva notificato il 3.8.2008 altro atto di appello avverso la medesima sentenza ove si svolgevano identiche domande ma si eleggeva un domicilio processuale diverso presso l’avv. A. Romano in Milano. Si costituiva S.G., opponendosi al gravame ed eccependo l’inammissibilità e l’improcedibilità dello stesso.

La C.T.R. della Lombardia, respinte le eccezioni preliminari, accoglieva l’appello del Comune in riforma della sentenza di primo grado.

Avverso tale pronuncia F. e S.M., quali eredi del padre S.G., propongono ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Resiste con controricorso il Comune di Rivanazzano.

Diritto

Con il primo motivo si denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 16, 49, 51, 38 e 57 e art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per non avere accolto la C.T.R. l’eccezione di inammissibilità per tardività dell’appello in quanto notificato oltre i sessanta giorni dalla notificazione presso il Comune, notificazione eseguita a mani proprie della parte, consentito ex art. 16 D.Lgs. cit., tanto più che nel giudizio avanti alla C.T.P. non sussisteva una valida domiciliazione del Comune e quindi la notifica presso il procuratore domiciliatario sarebbe stata inefficace, essendosi il difensore costituito in quel grado oltre il termine previsto, con memoria priva di sottoscrizione, salvo un segno grafico del tutto illeggibile e non corrispondente alle sigle apposte sotto la procura e senza alcuna indicazione identificativa.

Inoltre la C.T.R., con motivazione generica ed errata, rigettava l’eccezione asserendo che “le osservazioni in via preliminare sono ulteriori rilievi fatti in 2 grado e non nel primo e quindi inammissibili”, quando le eccezioni di inammissibilità dell’appello potevano essere proposte temporalmente solo in quel grado.

Con la seconda censura si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53, 22, commi 1, 2 e 3, 57 e art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per il mancato accoglimento dell’eccezione d’inammissibilità, non avendo l’appellante rispettato le formalità richieste per la costituzione e per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul punto. Sostiene parte ricorrente l’irritualità della proposizione di due distinti atti d’appello con due diverse domiciliazioni il primo a Pavia ed il secondo a Milano.

Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 19902, art. 53 e art. 57, comma 1, e dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per non essersi la C.T.R. pronunciata sull’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi e comunque per averla respinta con motivazione errata.

Con la quarta censura si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. n. 504 del 1992, art. 5, per avere la C.T.R. erroneamente interpretato la norma sopra citata, sostenendo che per l’immobile de quo di categoria (OMISSIS) ed appartenente alla società per coincidenza dell’attività alberghiera, esercitata dalla società di cui S.G. era “magna pars”, dovesse essere applicato il metodo reddituale in mancanza della rendita. Sostiene, invece, parte ricorrente che, trattandosi di immobile di cat. (OMISSIS), già iscritto in catasto ed appartenente al solo S.G., per determinare il valore imponibile in mancanza di rendita a seguito delle variazioni intervenute, si doveva fare riferimento alle rendite di fabbricati similari, tenuto anche conto che l’immobile non era distintamente contabilizzato ed era solo in uso ad impresa alberghiera.

Con l’ultimo motivo si deducono violazione e falsa applicazione della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1, e D.Lgs. n. 542 del 1990, artt. 11-13, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la C.T.R. ritenuto non applicabile, nella specie, l’istituto del rimborso sulla base del disposto del primo comma del citato art. 74 che dispone che a decorrere dal 1.1.2000 le rendite catastali esplicano efficacia solo dopo la loro notificazione ed alla petizione di principio che la rendita doveva essere conteggiata sul valore contabile.

Il primo motivo è infondato e va respinto sulla base di quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. sent.

n. 29290 del 2008), a conferma del precedente indirizzo giurisprudenziale sent. n. 13812 del 2007), secondo cui: “L’art. 330 cod. proc. civ., nella parte in cui dispone l’eseguibilità della notifica dell’impugnazione presso il procuratore costituito, è applicabile al processo tributario in quanto la specifica previsione normativa in tema di notificazioni contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, secondo la quale la notifica deve eseguirsi (salvo quella a mani proprie) nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della costituzione in giudizio, costituisce eccezione all’art. 170 cod. proc. civ. (relativo alle sole notificazioni endoprocessuali) e non all’art. 330 cod. proc. civ., invece applicabile in virtù del richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 49, alle norme processuali codicistiche, non costituendo ostacolo, all’introduzione della notifica dell’impugnazione presso il procuratore costituito, la non obbligatorietà, nel processo tributario, della rappresentanza processuale da parte del procuratore “ad litem”, in quanto tale rappresentanza, non essendo vietata, è facoltativa.” Nella specie, la prima notifica dell’impugnanda sentenza è stata eseguita presso il Comune, e, non essendo tale notificazione idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, giusta il sopratrascritto principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte, l’impugnazione proposta, anche se oltre il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 326 c.p.c., era idonea a determinare la pendenza del giudizio di appello ex art. 327 c.p.c., risultando, invece, irrilevante la proposizione del secondo appello, avanzato entro i sessanta giorni dalla notifica presso il difensore costituito e domiciliatario.

Nè rileva il fatto che la costituzione del Comune, tramite il proprio difensore, fosse avvenuta fuori termine in quanto, in tema di contenzioso tributario, la tardività della costituzione in giudizio del resistente – disciplinata dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23, richiamato, per il giudizio di appello, dall’art. 54 – non comporta, sia in base alle norme indicate, sia alla stregua delle disposizioni contenute nel codice di procedura civile (alle quali rinvia l’art. 1 del citato D.Lgs.), alcun tipo di nullità, stanti la mancata previsione di simile sanzione ed il principio di tassatività delle relative cause, ex art. 156 cod. proc. civ., ma determina soltanto la decadenza dalla facoltà di chiedere o svolgere attività processuali eventualmente precluse (cfr., cass., civ. sent. n. 21212 del 2004).

Anche l’altra eccezione relativa al fatto che la costituzione del Comune in giudizio sarebbe avvenuta mediante deposito di una memoria priva di sottoscrizione, salvo un segno grafico del tutto illeggibile e non corrispondente alle sigle apposte sotto la procura è infondata. Dall’esame dell’atto permesso a questa Corte trattandosi di denuncia di vizio in procedendo, si rileva che effettivamente il segno grafico risulta illeggibile (verosimilmente una G), ma corrisponde alla metà della sigla apposta in calce alla procura nel cui testo sono riportate per esteso le generalità del difensore, per cui può ritenersi con ragionevole certezza che corrisponda alla sigla relativa al solo cognome del difensore di Pavia (avv. Maria Teresa Gobba), nè rileva ancora che il contribuente fosse costituito con due difensori essendo permesso che la difesa possa essere attribuita anche a due professionisti.

Il secondo motivo può dichiararsi inammissibile per carenza d’interesse in quanto attinente all’omessa pronuncia ed all’insufficiente motivazione in relazione alle censure avanzate con il primo motivo e respinte in questa sede.

Anche il terzo motivo, pur se fondato in relazione all’omessa pronuncia ed all’errata motivazione, tuttavia deve essere respinto nel merito. Infatti non sussiste la genericità dell’appello, in quanto dall’esame di tale atto, la cui visione è permessa a questa Corte, essendo stato denunciato un vizio procedurale, risulta che il Comune, pur non avendo articolato l’atto d’impugnazione in distinti specifici motivi, ha tuttavia espresso in modo esauriente le doglianze in relazione alla pronuncia impugnata ed in calce allo stesso è apposta la dichiarazione di conformità dell’atto notificato a quello depositato.

La quarta censura è invece fondata.

La C.T.R. ha errato nel ritenere che tutti gli immobili di categoria (OMISSIS), in assenza di attribuzione di rendita, dovessero assolvere l’I.C.I. sulla base del valore risultante dal bilancio, cd. valore contabile. Ciò è vero solo per gli immobili di categoria (OMISSIS), “non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati”. Nella specie, nessuno di tali requisiti sembra sussistere in quanto l’immobile era già stato accatastato ed aveva avuto in origine anche attribuita una rendita, per la quale il proprietario, S.G., aveva presentato, in data 20.8.1993, al competente Ufficio del Catasto denuncia di variazione per essere stati eseguiti dei lavori che ne avevano modificato la consistenza. Peraltro, il proprietario era un privato e l’immobile non risulta provato che fosse inserito nei beni strumentali o che fosse stato inserito nel bilancio dell’impresa che gestiva l’albergo.

Nè il fatto che S.G. fosse magna pars della società alberghiera giustifica l’applicazione dell’art. 5, comma 3, in assenza dei requisiti previsti dalla legge.

Anche il quinto motivo è fondato e va accolto in base al principio di diritto già espresso da questa Corte con la sentenza n. 20775 del 2005 secondo cui: “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini del computo della base imponibile, il provvedimento di modifica della rendita catastale, emesso dopo il primo gennaio 2000 a seguito della denuncia di variazione dell’immobile presentata dal contribuente, è utilizzabile, a norma della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, anche con riferimento ai periodi di imposta anteriori a quello in cui ha avuto luogo la notificazione del provvedimento, purchè successivi alla denuncia di variazione.

Stabilendo, infatti, con il citato art. 74, che dal primo gennaio 2000 gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma piuttosto segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale – coincidente con la notificazione dell’atto – con la sua applicabilità, che va riferita invece all’epoca della variazione materiale che ha portato alla modifica.”.

Tutto ciò premesso, dichiarata assorbita ogni altra censura, vanno accolti il quarto e quinto motivo, mentre devono essere respinti gli altri, e, cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, la causa va rinviata per un nuovo esame ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia. La stessa C.T.R. provvederà al governo delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto e quinto motivo, respinge gli altri e, cassata la sentenza impugnata, rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. della Lombardia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 12 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2010

 

 

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