Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16518 del 31/07/2020

Cassazione civile sez. II, 31/07/2020, (ud. 29/11/2019, dep. 31/07/2020), n.16518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27944/2017 R.G. proposto da

D.T.L., rappresentato e difeso dall’avv. Adriana

Battistutta, e dall’avv. Alessandro Ongaro, con domicilio eletto in

Roma, alla Via Paolo Emilio n. 7;

– ricorrente –

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del Governatore p.t., rappresentata e

difesa dall’avv. Maria Patrizia De Troia, e dall’avv. Guido

Crapanzano, con domicilio eletto in Roma, Via Nazionale n. 91.

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma n. 4049/2017,

depositato in data 24.4.2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

9.11.2019 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Udito il Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

Uditi l’avv. Alessandro Ongaro, e l’avv. Maria Patrizia De Troia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 6.12.2013, la Banca d’Italia ha irrogato a carico di D.T.L., amministratore delegato e direttore generale della Hypo-Alpe Adria Bank s.p.a. (da ora HAAB), la sanzione pecuniaria complessiva di Euro 129.110,00, contestandogli le seguenti irregolarità: a) carenze nell’organizzazione e nei controlli interni da parte di componenti e di ex componenti del Consiglio di amministrazione; b) carenze del processo del credito; c) inosservanza delle disposizioni in materia di trasparenza;

L’opposizione proposta dal ricorrente ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 145 è stata respinta dalla Corte di appello di Roma.

Il Giudice distrettuale ha – in primo luogo – ritenuto infondata l’eccezione di tardività della contestazione, osservando che: a) il termine L. n. 689 del 1981, ex art. 14, decorre non dal momento in cui l’amministrazione acquisisca la conoscenza del fatto materiale, ma da quello in cui siano valutati tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione; b) che, nello specifico, l’accertamento delle infrazioni si era perfezionato in data (OMISSIS), con l’apposizione del visto del Direttore centrale per la vigilanza bancaria, effettuata entro un termine congruo rispetto alla data di conclusione dell’ispezione ((OMISSIS)).

Ha escluso che la Banca d’Italia fosse decaduta dal potere di adottare il provvedimento, precisando che la sanzione era stata applicata nel rispetto del termine di 240 giorni previsto dal Regolamento per l’irrogazione delle sanzioni.

Ha rilevato che gli atti erano firmati digitalmente, che – in ogni caso – non era stata posta in dubbio la loro riferibilità all’amministrazione procedente e che, sebbene prodotti in copia senza attestazione di conformità ai sensi dell’art. 23 codice dell’amministrazione digitale, avevano la stessa valenza degli originali in quanto non espressamente disconosciuti.

Ha inoltre osservato che la contestazione indicava in modo puntuale i fatti contestati e le disposizioni violate, era legittimamente motivata per relationem mediante il richiamo alle conclusioni formulate nella proposta sanzionatoria, non era fondata su fatti nuovi o attribuibili ad altri soggetti.

Quanto alla violazione del diritto di accesso agli atti del procedimento, ha precisato che la richiesta del ricorrente, formulata nel corso del procedimento, aveva riguardato documenti in possesso della banca che il D.T. avrebbe dovuto conoscere e di cui la Banca d’Italia non aveva disponibilità, rilevando che il ricorrente non aveva inoltrato alcuna richiesta alla HAAB cui quest’ultima non avesse dato corso.

Riguardo alle censure di merito, la Corte d’appello, dopo aver ribadito che la L. n. 689 del 1981, art. 3 implica una presunzione di colpa a carico del trasgressore che può essere superata solo ove quest’ultimo dia prova dell’assenza di responsabilità, ha ritenuto fondate le contestazioni, osservando che: a) il ricorrente aveva omesso i doverosi controlli sul regolare svolgimento dell’attività creditizia (riguardo alla sistematica alterazione delle formule di calcolo dell’indicizzazione dei contratti di leasing); b) la banca non si era munita di un’ adeguata struttura informatica capace di riscontrare con immediatezza i reclami dei clienti; c) non erano state effettuate in modo continuativo le doverose verifiche della consistenza del portafogli clienti (da cui era scaturita la riduzione dei mezzi patrimoniali al di sotto dei limiti regolamentari e le perdite rilevate in sede ispettiva); d) quanto alle modalità di esercizio della compliance, non era stata posta in essere un’efficace azione volta a rimuovere le anomalie relative alla gestione dei reclami e all’adempimento degli obblighi in materia di antiriciclaggio; e) che, a prescindere dal grado di informazione ricevuto dal D.T. in merito alle imprudenti politiche di credito, alla carenti dotazioni di organico, alle procedure informatiche obsolete, ai ridotti livelli di indipendenza in capo agli organi di controllo, all’insufficienza dei sistema di monitoraggio dei rischi e all’inosservanza degli obblighi in tema di antiriciclaggio, questi era tenuto a svolgere compiti di sorveglianza e ad agire informato, ponendo in essere tutti gli accorgimenti atti a verificare il corretto esercizio dei poteri delegati e l’effettivo andamento della gestione, ottemperando al dovere di costante ed adeguata conoscenza del business bancario al fine di assicurare un efficiente governo dei rischi in tutti i settori di operatività dell’istituto di credito.

La pronuncia impugnata ha infine escluso che fossero state irrogate più sanzioni per la medesima condotta illecita o che la Banca d’Italia avesse erroneamente applicato il cumulo materiale, osservando che si era in presenza di plurime violazioni commesse con più azioni o omissioni. Ha dichiarato congrua la sanzione e ha ritenuto tardivi i motivi di opposizione dedotti nelle note autorizzate depositate nel corso del giudizio (riguardanti l’asserita natura penale delle sanzioni ex art. 144 tub, la violazione del principio di distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie nell’ambito del procedimento amministrativo, il mancato svolgimento della pubblica udienza).

La cassazione del decreto è chiesta da D.T.L. con ricorso strutturato in tre complessi motivi.

La Banca d’Italia ha depositato controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo deduce – letteralmente – la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 13, 14, 18, del regolamento per la procedura sanzionatoria, della L. n. 262 del 2005, art. 24 e degli artt. 3,24 e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte di merito affermato – con motivazione del tutto insufficiente – che il termine per la notifica della contestazione L. n. 689 del 1981, ex art. 14, decorreva dall’apposizione del visto del Direttore centrale della vigilanza, e quindi da un adempimento meramente formale che “nulla toglie e nulla aggiunge alle attività svolte dagli ispettori”.

A parere del ricorrente, il regolamento per l’accertamento delle violazioni in materia bancaria deve conformarsi ai principi sanciti dalla L. n. 689 del 1981, conseguendone che – anche nel caso in esame il termine L. n. 689 del 1981, ex art. 14, decorreva dalla data di conclusione dell’ispezione ((OMISSIS)), con cui erano stati acquisiti tutti gli elementi dell’illecito.

Le disposizioni del regolamento di vigilanza risulterebbero – inoltre – lesive del principio di parità di trattamento ove, solo per i procedimenti di cui al D.Lgs. n. 385 del 1992, rimettono alla Banca d’Italia il potere di ampliare a proprio piacimento un termine decadenziale.

Si assume che la contestazione era stata formulata in modo del tutto generico mediante il rinvio alle norme violate e a interi capi delle circolari (e – quindi – ad un robusto compendio di norme ed uno stralcio di fatti emersi nel corso dell’ispezione), in pregiudizio di difesa del ricorrente, che contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte distrettuale, non aveva potuto replicare nel dettaglio alle singole contestazioni, non essendo compiutamente edotto dei fatti ascrittigli.

Le medesime disposizioni di vigilanza in materia sanzionatoria risulterebbero lesive del principio di separazione tra funzioni ispettive e decisorie contemplato dalla L. n. 262 del 2005, nel punto in cui consentirebbero al Direttore centrale per la vigilanza di dilatare a suo arbitrio i termini di conclusione degli accertamenti, senza che al Direttorio sia consentito rilevare eventuali violazioni.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata è conforme all’orientamento di questa Corte secondo cui, anche nei procedimenti di irrogazione della sanzione nel settore bancario, si applica il termine di decadenza previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14 per la notifica della contestazione.

Richiamando in modo pertinente il principio secondo cui il momento dell’accertamento non coincide con quello in cui viene acquisito il fatto nella sua materialità, ma con l’acquisizione e valutazione di tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione e per la quantificazione della sanzione (Cass. 7681/2014; Cass. 26734/2011), la Corte di merito ha – con motivazione del tutto congrua, benchè sintetica – evidenziato che solo con il visto del Direttore centrale della Vigilanza bancaria erano stati avallati i dati conoscitivi acquisiti in sede ispettiva e le conclusioni raggiunte dagli organi accertatori.

Come già affermato da questa Corte, tale visto, lungi dal costituire un adempimento meramente formale, esaurisce la fase di accertamento (cfr. Disposizioni di vigilanza, sez. II, art. 1.1.), comprensiva della valutazione e della ponderazione dei dati acquisiti e degli atti preliminari, segnando il momento a partire dal quale decorre il termine L. n. 689 del 1981, ex art. 14, (cfr., in proposito, Cass. 4820/2019).

E’ inoltre fatta salva – nelle disposizioni di vigilanza – la distinzione tra funzioni ispettive – riservate agli organi ispettivi – e funzioni decisorie, posto che, come si preciserà in proseguo, il Direttore è titolare di un potere di autonoma valutazione della legittimità formale e sostanziale di tutti gli atti del procedimento.

Ai sensi dell’art. 1.5, sez. II delle già richiamate disposizioni di vigilanza, tale organo, adotta un provvedimento motivato con il quale viene disposta l’applicazione della sanzione o l’archiviazione, potendo richiedere eventuali supplementi d’istruttoria su tutti gli aspetti – sostanziali o formali – del procedimento, restando titolare di un potere di autonoma valutazione dei fatti e della regolarità della procedura, non vincolato alle determinazioni uffici ispettivi.

1.1. Riguardo alla tempestività delle contestazione, le istruzioni di vigilanza prescrivono anzitutto che la lettera di contestazione contenga il riferimento all’accertamento ispettivo, all’attività di vigilanza o alla documentazione acquisita, dalla quale sia emersa la violazione, nonchè della data in cui si è concluso l’accertamento dell’illecito, proprio per consentire le successive verifiche giudiziali sulla congruità dei tempi occorsi per la valutazione dei dati acquisiti e per l’esaurimento delle valutazioni da compiere ai fini della formulazione e dell’applicazione della sanzione (Cass. 4820/2019). Al pari di ogni altra autorità munita di potestà sanzionatoria, la Banca d’Italia è – inoltre – tenuta ad esaurire le proprie valutazioni in un tempo “ragionevole”, per cui, ove l’interessato, in sede di opposizione, abbia fatto valere il ritardo come ragione di illegittimità del provvedimento sanzionatorio, è sempre ammessa l’individuazione, da parte del giudice, del momento iniziale del termine per la contestazione, coincidente – per principio generale non con la data in cui la valutazione sia stata compiuta, ma in quella in cui avrebbe potuto – e quindi dovuto – esserlo (cfr., Cass. 8240/2019; nonchè, in tema di intermediazione finanziaria, Cass. 21171/2019; Cass. 9254/2018; Cass. s.u. 5395/2007; Cass. 8391/2006).

Sulla base di tali rilievi, non si ravvisano profili di illegittimità delle disposizioni di vigilanza, sotto i profili evidenziati in ricorso.

Integra infine un giudizio di fatto la valutazione di congruità del termine decorso dall’esaurimento delle ispezioni ((OMISSIS)) alla data di apposizione del visto del Direttore centrale ((OMISSIS)), che la Corte di merito ha congruamente motivato, evidenziando la natura e complessità delle attività di indagine rispetto alle singole posizioni dei soggetti coinvolti (Cass. 25916/06; Cass. 9311/07; Cass. 26734/11).

1.2. Riguardo al contenuto della contestazione, la Corte d’appello ha dato atto che le prescrizioni violate erano espressamente riportate nell’atto di contestazione, ove erano dettagliatamente descritte le condotte irregolari in relazione alle disposizioni violate, ed ha evidenziato che già nelle lettere di contestazione era contenuta l’indicazione delle disposizioni con l’analitica descrizione dei fatti addebitati, distinti con riferimento ai singoli rilievi ispettivi allegati in stralcio allo stesso atto di contestazione.

Anche l’accertamento della completezza della contestazione integra un apprezzamento di fatto, non censurabile in sede di legittimità, in contrapposizione al quale le doglianze del ricorrente appaiono peraltro – del tutto generiche, considerato inoltre che, proprio a conferma della specificità delle incolpazioni, la Corte di merito ha rilevato che il ricorrente aveva avuto modo di replicare “nel merito dei rilievi contestati”, nel pieno rispetto del contraddittorio e dei diritti di difesa.

2. Il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 111 e 24 Cost., art. 6 CEDU e art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando che la Corte di merito abbia ritenuto inammissibili le deduzioni difensive contenute nella memoria illustrativa depositata dal ricorrente, pur trattandosi di ragioni di doglianza non diverse da quelle già dedotte nell’atto di opposizione. Quanto al merito, si sostiene che, in base alle previsioni delle Disposizioni di vigilanza in materia di sanzioni, il Direttorio ha contezza delle osservazioni del soggetto incolpato solo in via mediata, non pervenendogli l’accertamento dei fatti nella loro materialità, ma le controdeduzioni dell’incolpato, filtrate dalle repliche formulate dal Servizio REA, senza che sia dato modo di interloquire direttamente con il Direttorio e di acquisire una completa conoscenza degli atti del procedimento, non essendo notificata all’incolpato la proposta sanzionatoria e non essendogli consentito di presentare ulteriori difese e memorie.

Si lamenta inoltre che gli atti sociali presi in esame dalla Vigilanza non erano stati acquisiti al procedimento, ma solo visionati dagli ispettori, per cui il Direttorio aveva adottato la sanzione senza conoscerne il contenuto.

Le disposizioni interne risulterebbero lesive dei principi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria – e segnatamente nella sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 4.12.2014 (caso Grande Stevens ed altri contro Italia) – dovendosi riconoscere alla sanzione applicata, per la gravità delle conseguenze, natura penale ed occorrendo assicurare le garanzie previste dall’art. 6 CEDU già nel procedimento dinanzi alla Banca d’Italia, non potendo infine operare la presunzione di colpa di cui all’art. 3, L. n. 689 del 1981, data la natura afflittiva della sanzione.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e il mancato accesso agli atti del procedimento, sostenendo che i rilievi formulati a carico del ricorrente erano fondati anche su atti visionati dagli agenti della Vigilanza il cui contenuto era essenziale per la difesa dell’incolpato; che la richiesta di accesso inoltrata alla Banca d’Italia era stata disattesa, poichè i documenti non erano stati acquisiti al procedimento, mentre quella indirizzata alla HAAB era stata evasa in modo solo parziale.

Nel merito delle contestazioni, il ricorrente sostiene l’erroneità del provvedimento nel punto in cui ha ritenuto che il bilancio riferito al 31.12.2012 (da cui emergeva l’erosione del patrimonio sociale al di sotto dei minimi regolamentari) fosse stato approvato il 30.6.2012 e non invece nel giugno 2013, trascurando che il D.T. non poteva rispondere delle violazioni accertate allorquando questi era ormai cessato dalla carica da circa tre mesi.

2.1. Il secondo ed il terzo motivo, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.

Correttamente la Corte distrettuale ha ritenuto inammissibili i motivi formulati nelle note autorizzate depositate in corso di giudizio, testualmente introdotti alla luce dei nuovi orientamenti inaugurati dalla Corte EDU (cfr. decreto, pag. 13) – e quindi non esplicitati nell’atto di opposizione – non potendo ritenersi, come propone il ricorrente, che costituissero mere specificazioni del tema generale, tempestivamente prospettato, della lesione del diritto di difesa e del corretto inquadramento delle norme, essendo sollevati specifici ed ulteriori profili di illegittimità del provvedimento – non rilevabili d’ufficio – che oggettivamente modificavano la causa petendi della domanda.

La formulazione di “motivi aggiunti”, successivi alla proposizione del ricorso originario, in quanto diretta ad ampliare la materia del contendere, è difatti incompatibile con il carattere impugnatorio del giudizio, nel quale, analogamente a quanto stabilito nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa di cui alla L. n. 689 del 1981, l’atto introduttivo del giudizio, con il deposito dei documenti allegati, segna in modo definitivo il thema decidendum senza che ne siano consentiti successivi ampliamenti, fatta salva la sola rimessione in termini su istante dell’interessato e nel concorso dei relativi presupposti giustificativi (cfr., in materia di opposizione alle sanzioni contemplate dal TUF, Cass. 15049/2018; Cass. 27909/2018).

In ogni caso la Corte distrettuale ha disatteso anche nel merito le nuove difese, attraverso il corretto richiamo alla pronuncia di questa Corte n. 770/2017, come di seguito sarà illustrato.

2.1. Non merita adesione la tesi del ricorrente, secondo cui le sanzioni previste dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 144 e ss., (nella formulazione anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 72 del 2015) nei confronti dei soggetti che svolgano funzioni di direzione, amministrazione e controllo degli istituti bancari avrebbero natura sostanzialmente penale, cui non potrebbe applicarsi la presunzione di colpa sancita dalla L. n. 689 del 1981, art. 3.

Il rilievo non tiene conto del contrario e consolidato orientamento di questa Corte – che non si ha motivo di porre in discussione secondo cui dette fattispecie sanzionatorie non sono assimilabili a quelle contemplate dall’art. 187 ter TUF, in tema di manipolazione del mercato, su cui si è pronunciata la Corte EDU nella sentenza del 4.3.2014 (cd. caso Grande Stevens ed altri contro Italia).

Secondo la giurisprudenza comunitaria – per stabilire la sussistenza di un’accusa di natura penale, occorre impiegare (in via alternativa e non cumulativa) tre criteri: la qualificazione giuridica della misura in causa nel diritto nazionale, la natura stessa di quest’ultima, e la natura e il grado di severità della “sanzione”.

Nel caso esaminato dalla Corte Europea, le sanzioni ex art. 187 ter TUF risultavano incomparabilmente più gravose da un punto di vista economico rispetto a quelle di cui si discute, determinando inoltre l’applicazione delle sanzioni accessorie di cui all’art. 187 quater (interdizione dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso soggetti autorizzati, interdizione temporanea dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo di società quotate e di società appartenenti al medesimo gruppo di società quotate, la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità per i partecipanti al capitale dei soggetti indicati alla lett. a, etc. etc.), così da incidere su diritti e libertà fondamentali riguardo alle concrete estrinsecazioni professionali, imprenditoriali e manageriali della persona.

Il Collegio ritiene quindi di non doversi discostare dal costante orientamento di questa Corte Deve per il quale, in ordine alle sanzioni, applicabili ratione temporis, D.Lgs. n. 385 del 1993, ex art. 144 e ss., non si pone un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (Cass. 4/2019; Cass. pen. 12777/2018; Cass. 3656/2016; Cass. 24723/2018; Cass. 21553/2018; Cass. 16720/2018; Cass. 19219/2016; Cass. 3656/2016). Se, infatti, è vero che i “criteri Engel” sono alternativi e non cumulativi, è parimenti vero che “ciò non impedisce di adottare un approccio cumulativo se l’analisi separata di ogni criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una “accusa in materia penale”” (Grande Steves p. 94, in fine). Nel caso in esame, mentre il criterio della qualificazione della sanzione nel sistema nazionale depone inequivocabilmente nel senso della qualificazione delle sanzioni de quibus come amministrative, il criterio della natura della sanzione non offre un risultato univoco, giacchè, se la sanzione è posta a tutela di interessi generali (la tutela del credito e del risparmio) ed ha una funzione non solo ripristinatoria ma anche deterrente, essa, tuttavia, risulta destinata ad una platea ristretta di possibili destinatari (i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione o i dipendenti delle banche e degli altri intermediari di cui al testo unico bancario), il che limita la generalità della portata della norma. Quanto all’afflittività, questa Corte ha già avuto modo di chiarire (sent. n. 8046/19) che la relativa valutazione non può essere svolta in termini totalmente astratti, ma va necessariamente rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione sanzionatoria si inserisce; in tale prospettiva, non sembra potersi dubitare che, nell’ordinamento sezionale del credito e della finanza (che contempla sanzioni penali finanche detentive, nonchè sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle per gli abusi di mercato, possono ascendere a molti milioni di Euro) una sanzione pecuniaria compresa, come quella applicabile ratione temporis, tra il minimo edittale di Euro 2.580 ed il massimo edittale di Euro 129.110, non corredata da sanzioni accessorie nè da confisca, non può ritenersi connotata da una afflittività così spinta da trasmodare dall’ambito amministrativo a quello penale.

2.2. Quanto al contrasto tra la L. n. 689 del 1981, art. 3 e l’art. 6 CEDU, in aggiunta al fatto che le sanzioni irrogate al ricorrente non rivestono natura penale, occorre porre in rilievo che la fattispecie soggettiva dell’illecito amministrativo è ricalcata su quella dei reati penali “contravvenzionali”.

La L. n. 689 del 1981, art. 3 non contempla – quindi – alcuna irragionevole inversione dell’onere della prova, ma prescrive che, ai fini della sussistenza della colpa del trasgressore, è sufficiente la prova della condotta (anche omissiva) in violazione di norme specifiche di legge o di precetti generali di comune prudenza, gravando l’incolpato esclusivamente della prova dell’inesigibilità della condotta volta ad impedire la violazione (Cass. s.u. 20930/2009).

Anche le ipotesi regolate dal D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 144 e ss. contemplano illeciti cd. “di mera trasgressione”, strutturati nel senso che l’azione, esaurendosi nella oggettiva difformità rispetto alla fattispecie astratta, si identifica con la condotta inosservante (cd. suitas), che è neutra sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa del responsabile (Cass. 9546/2018).

L’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria resta quindi a carico dell’Amministrazione (Cass. 1921/2019), ma, nel caso dell’illecito omissivo di pura condotta, essendo il giudizio di colpevolezza ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, è sufficiente la dimostrazione dell’elemento oggettivo dell’illecito comprensivo della “suità” della condotta inosservante, in assenza di elementi tali da rendere inesigibile la condotta o imprevedibile l’evento.

In definitiva, la Banca d’Italia, anche in base ai principi ricavabili dalla L. n. 689 del 1981, art. 3 ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva idonea mirante a scongiurare il danno (Cass. 22848/2015).

Sulla scorta di tali argomentazioni – già sostenute da questa Corte anche con riferimento a sanzioni amministrative ritenute di natura penale – non è legittimo ravvisare alcun contrasto della disciplina interna con la presunzione di non colpevolezza sancita dall’art. 6, comma 2 CEDU (Cass. 1529/2018).

2.5. In ordine alla dedotta violazione del contraddittorio e del diritto di difesa, deve obiettarsi che le disposizioni di vigilanza in tema di sanzioni introdotte in data 18.12.2012, con effetto dall’1.2.2013, attribuiscono all’interessato ampi diritti di partecipazione al procedimento sanzionatorio (art. 1.3, sez. II), che si esplicano nell’esercizio del diritto di accesso agli atti della procedura nel rispetto del regolamento della Banca d’Italia adottato con provvedimento dell’11 dicembre 2007 (art. 2), nella facoltà di presentare, in ordine agli addebiti contestati, deduzioni scritte e documenti, e nella richiesta di audizione personale dinanzi al servizio REA.

Gli esiti dell’istruttoria sono valutati dal servizio, anche alla luce delle difese svolte dagli interessati e dei documenti di parte, oltre che del complesso delle informazioni raccolte, mediante una ponderata valutazione degli addebiti contestati, della rilevanza delle violazioni e della responsabilità personale.

Le conclusioni istruttorie confluiscono – infine – in una proposta motivata inviata al Direttorio.

Quindi, anche a voler accantonare i profili di inammissibilità delle contestazioni svolte in proposito dal ricorrente (per come evidenziati a pag. 13 del decreto impugnato), non può ravvisarsi alcuna violazione del principio di separazione tra istruttoria e decisione, posto che la prima è di competenza del Servizio Rea, mentre la decisione compete al Direttorio, che resta titolare di un potere di autonomo e pieno apprezzamento della proposta stessa, da cui non è affatto vincolato, come conferma il potere dell’organo decidente di formulare qualsivoglia richiesta o chiarimento, anche sugli atti sui cui si fonda la proposta stessa, o disporre eventuali supplementi istruttori (art. 1.5).

Sotto altro profilo, riguardo alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 144 il rispetto dei principi del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, previsti dalla L. n. 262 del 2005, art. 24 deve modellarsi in concreto, in funzione dello stato in cui si trova la procedura senza implicare la necessità che gli elementi e le valutazioni siano assunti alla costante presenza della parte interessata, essendo sufficiente che l’autorità decidente ponga a base del provvedimento sanzionatorio il nucleo del fatto contestato, in tutte le circostanze concrete che valgano a caratterizzarlo.

Questa Corte ha – poi – già affermato che non è necessario che gli incolpati siano ascoltati durante la discussione orale innanzi al Direttorio della Banca d’Italia, essendo sufficiente che a quest’ultimo siano rimesse le difese scritte degli incolpati e i verbali delle dichiarazioni rilasciate, ove sia stata inoltrata la richiesta di audizione personale (Cass. 27038/2013; Cass. 23782/2004).

Nè – tantomeno – lede il diritto di difesa dell’incolpato il fatto che questi non è – di norma – raggiunto dalla comunicazione della proposta sanzionatoria (Cass. 8237/2019), la quale può essere acquisita nell’esercizio del diritto di accesso (cfr. Cass. 4/2019 nonchè, in tema di sanzioni irrogate dalla Consob: Cass. 20689/2018; Cass. 15049/2018; Cass. 389/2006), sicchè solo qualora tale diritto (che, nella specie, non risulta sia stato esercitato) sia stato negato può configurarsi l’illegittimità della sanzione (Cass. 3396/2004).

In ogni caso, in base alle stesse indicazioni della Corte EDU, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 della CEDU, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio adottato in assenza di tali garanzie – ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva, attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della Convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna eventuale illegittimità della fase amministrativa giacchè quest’ultima, anche ove non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è conforme, in base a detta opzione, alle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (Cass. 8237/2019; Cass. 770/2017; Cass. 8210/2016; Cass. 25141/2015; Cass. 18683/2014, nonchè, con riferimento al procedimento dinanzi alla Consob, Cass. 20689/2018).

2.3. Il fatto che il ricorrente non abbia avuto un integrale riscontro da HAAD alla richiesta di ottenere copia degli atti visionati dagli organi ispettivi, non consente di configurare una violazione del diritto di accesso ai sensi dell’art. 2 delle disposizioni di vigilanza, alla luce della preliminare constatazione – non oggetto di contestazione (cfr. decreto, pag. 7)- che tale documentazione non era in possesso della Banca d’Italia, che pertanto non avrebbe potuto neppure ottemperare all’ordine di esibizione richiesto in giudizio (ordine che, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., poteva e doveva esser rivolto alla HAAD, che aveva la disponibilità degli atti), oltrechè in base del rilievo, espresso nel decreto impugnato, che il ricorrente aveva avuto piena conoscenza degli atti istruttori valorizzati in sede di applicazione della sanzione, riguardo ai quali era stato garantito il diritto al contraddittorio e alla difesa.

2.4. Le ulteriori deduzioni difensive svolta alle pagg. 41-42 del ricorso, riguardo all’errata indicazione della data di approvazione del bilancio 2012 e dell’epoca in cui si era manifestata la riduzione dei mezzi patrimoniali e l’erosione del patrimonio di vigilanza, rispetto alla data di cessazione del D.T. dalla carica di amministratore della HAAD, involgono questioni di merito insindacabili in cassazione, cui la Corte distrettuale – al di là dell’errata indicazione della data di approvazione del bilancio, che di per sè non ha inciso sui dati oggettivi della contestazione – ha dato logica e motivata soluzione, evidenziando che ie suddette criticità non si erano manifestate all’improvviso, ma erano state effetto della mancata continuata verifica della consistenza del portafoglio clienti, sì da ritardare l’emersione del deterioramento in atto, rilevato solo in sede ispettiva.

Il ricorso è, pertanto, respinto, con aggravio di spese come da liquidazione in dispositivo.

Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo o titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, apri ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 10.000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2020

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