Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16518 del 14/07/2010
Cassazione civile sez. trib., 14/07/2010, (ud. 09/03/2010, dep. 14/07/2010), n.16518
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –
Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –
Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –
Dott. POLICHETTI Renato – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore in carica,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui
uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 domicilia;
contro
C.P.;
avverso la sentenza n. 6/33/06 della Commissione Tributaria Regionale
di Torino sezione 33, depositata l’11 aprile 2006, non notificata
udita la relazione del consigliere Renato Polichetti;
udite le conclusioni scritte del P.G. Wladimiro De Nunzio che ha
chiesto il rigetto del ricorso.
Fatto
CONSIDERATO IN FATTO
Quanto segue:
Il contribuente – esercente l’attività di agente di commercio – adiva la C.T.P. chiedendo, previo annullamento del diniego opposto dall’Ufficio delle Entrate di Bra alla propria istanza di rimborso, la condanna della Amministrazione finanziaria alla restituzione delle somme versate a titolo di imposta IRAP per gli anni 1998, 1999, 2000 e 2001. La Commissione respingeva il ricorso.
Interponeva appello il contribuente volgendo a motivi di gravame le doglianze svolte in prime cure.
Resisteva l’Ufficio rilevando che l’agente di commercio produce reddito d’impresa e pertanto l’attività è manifestamente assoggettabile all’IRAP senza necessità di ulteriori indagini di fatto.
Con la sentenza qui impugnata, l’adita Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello e, pur riconoscendo che il contribuente esercita attività di commercio, affermava che non sussistono i presupposti per l’assoggettabilità all’IRAP. I Giudici di prime cure accoglievano il ricorso. Appellava l’Agenzia delle Entrate reiterando i propri argomenti già espressi in prima istanza a sostegno della legittimità dell’IRAP riconducibile alla nozione stessa di lavoro autonomo, alla abitualità e professionalità dell’attività, all’esclusione dall’ambito dell’applicazione del tributo solo per altre fattispecie che difettino di organizzazione di capitali o lavoro, alla presenza anche minima di beni strumentali;
concludendo per l’assoggettabilità all’IRAP dell’attività svolta dai ricorrente, il quale si serviva comunque di determinati beni strumentali, il tutto configurante gli estremi di quell’autonoma organizzazione che legittima il prelievo.
L’appello veniva rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale di Bologna – sezione staccata di Rimini, la quale riteneva che correttamente i primi giudici avessero rilevato che nel caso concreto non vi fosse una struttura organizzata di particolare rilievo, in assenza di personale dipendente ed esiguità dei costi con netta preponderanza dell’attività di intermediazione.
Avverso la suddetta pronuncia veniva proposto ricorso in cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi e relativi quesiti.
Il ricorso è infondato e, pertanto deve essere rigettato.
Come stabilito dalla recente giurisprudenza delle sezioni unite di questa Corte: “In tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio dell’attività di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1986, n. 204, art. 1, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti dell’attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta la giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'”id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionalmente di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (Sez. U. 26.05.2009 n. 12108).
Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale con motivazione congrua, esente da incongruenze e vizi logici, ha dato conto in modo adeguato del fatto che C.P. ha svolto la propria professione utilizzando esclusivamente lo stretto indispensabile per poterla esercitare.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese non essendosi costituita nel presente giudizio la controparte.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 luglio 2010