Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16518 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. VI, 05/08/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 05/08/2016), n.16518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9181-2015 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO PREDEN,

LIDIA CARCAVALLO, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.L., F.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI, 11, presso lo studio dell’avvocato SARA

TESTA MARCELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato MARCO ARCANGELI

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 6603/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato Antonella Patteri difensore del ricorrente che

insiste per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 26.9.2014, la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame proposto dall’INPS avverso la decisione del Tribunale di Rieti che aveva riconosciuto il diritto dei controricorrenti alla maggiorazione contributiva L. n. 257 del 1992, ex art. 13, comma 8, del periodo ultradecennale di esposizione all’amianto e condannato l’INPS al riconoscimento dei relativi benefici a tutti gli effetti.

Rilevava la Corte che gli appellati avevano validamente inoltrato all’INPS le domande il 25.10.2007, che avevano presentato ricorso amministrativo il 29.11.2007 e che il ricorso giurisdizionale era stato presentato il 29.3.2011, sicchè, considerati i termini connessi alla fase contenziosa in via amministrativa e la loro somma con quelli previsti dalla norma sulla decadenza invocata dall’istituto, non risultava essere ancora maturato il termine di decadenza di legge.

Per la cassazione di tale decisione ricorre l’INPS, affidando l’impugnazione ad unico motivo, cui resistono, con controricorso, i lavoratori.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio. L’INPS ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 e della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 46 rilevando che nel caso all’esame era pacifico, per essere stato accertato dalla sentenza impugnata, che alle domande amministrative erano seguiti i ricorsi amministrativi del 29.11.2007 e che il temine per provvedere su tali ricorsi era di 90 giorni, giusta quanto previsto dalla L. n. 88 del 1989, art. 46, comma 6; che detto termine era scaduto il 27.2.2008 e quindi prima che scadesse il termine di durata massima del procedimento amministrativo; che pertanto il termine triennale decorrente dalla data suddetta era scaduto il 27.2.2011, prima della proposizione del ricorso giudiziario del 29.3.2011. Dovendo ritenersi che fosse maturata la eccepita decadenza, erroneamente, pertanto, secondo l’istituto, la Corte del merito non aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda, violando le norme richiamate in rubrica.

Il ricorso dell’istituto non può trovare accoglimento.

Ed invero, l’applicazione della norma invocata dall’istituto (D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 seconda ipotesi) presuppone che i ricorrenti abbiano proposto valido ricorso avverso la decisione negativa degli organi dell’istituto sulla domanda degli interessati, e che di dette circostanze vi sia adeguato riscontro in giudizio. Non risultano specificati in ricorso sia il tenore della pronuncia negativa sulla domanda di ciascuno degli istanti, sia i termini del ricorso proposto dagli stessi avverso una tale decisione.

Peraltro, di tali documenti, rilevanti ai fini della decisione, non si indica la sede di relativa produzione nella fase del merito, nè si è provveduto nel presente giudizio al deposito.

L’onere di deposito degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o degli accordi collettivi sui quali si fonda il ricorso, sancito, a pena di sua improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, è invero soddisfatto: a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di quelle fasi, mediante il deposito di quest’ultimo, specificandosi, altresì, nel ricorso l’avvenuta sua produzione e la sede in cui quel documento sia rinvenibile; b) se il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che lo stesso è depositato nel relativo fascicolo del giudizio di merito, benchè, cautelativamente, ne sia opportuna la produzione per il caso in cui quella controparte non si costituisca in sede di legittimità o la faccia senza depositare il fascicolo o lo produca senza documento (cfr. Cass, s.u. 7.11.2013 n. 25038 e, tra le altre, Cass. 12.2.2014 n. 26174, Cass. 16.3.2012 n. 4220, Cass. 7.2.2011 n. 2966). Orbene, a fronte dell’asserita valenza meramente sollecitatoria del ricorso del 29.11.2007 ed in mancanza di validi riscontri documentali degli atti richiamati, deve pervenirsi alla declaratoria di improcedibilità del ricorso avverso la pronunzia impugnata, che ha considerato applicabile, ai fini del computo dei termini decadenziali invocati, la previsione di cui alla terza ipotesi del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 riferita al decorso del termine di decadenza di tre anni dall’esaurimento dell’iter amministrativo, ossia dalla scadenza dei prescritti termini del procedimento amministrativo (300 giorni) computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.

Quanto alle osservazioni dell’INPS contenute nella memoria di cui all’art. 380 bis c.p.c., si rileva che la decisione del gravame in senso sfavorevole all’Istituto, con motivazione che rimanda all’applicazione, ai fini della decorrenza dei termini di decadenza, alla terza ipotesi del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 era tale da imporre all’istituto, che ritiene illegittimo il computo effettuato dal giudice del gravame ed erroneo l’accertamento della tempestività del ricorso giudiziario dei pensionati, l’onere di produrre i documenti relativi alla fase amministrativa idonei a supportare le censure proposte.

Ed invero l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto “per relationem” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sè, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (cfr., tra le altre, Cass. 31.5.2011 n. 11984, Cass., s.u. 3.11.2011 n. 26726; Cass. 11.1.2016 n. 195, quest’ultima con espresso riferimento all’improcedibilità).

Le spese del presente giudizio di legittimità cedono a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.

L’improcedibilità dell’impugnazione comporta che venga disposto in conformità alla richiamata previsione.

PQM

La Corte dichiara l’improcedibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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