Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16515 del 05/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 05/07/2017, (ud. 21/10/2016, dep.05/07/2017),  n. 16515

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10238-2009 proposto da:

CENTRALE DEL LATTE DI SALERNO SPA in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CAVRIGLIA 10, presso lo studio dell’avvocato LUCA BRIENZA,

rappresentato e difeso dagli avvocati CONCETTA GAMBINO, CLAUDIO

PREZIOSI delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 10/2009 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

SALERNO, depositata il 26/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAMBINO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’avvocato PALASCIANO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La spa Centrale del latte di Salerno impugnò la comunicazione ingiunzione relativa al recupero dell’aiuto di Stato, corrisposto sotto forma di IRPRG nell’anno 1999, emessa dall’Agenzia delle entrate sul presupposto che alla società fosse applicabile la decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002 che aveva dichiarato aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune il regime di esenzione fiscale disponibile – ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70 e del D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, convertito nella L. n. 427 del 1993 – in favore delle società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria, esercenti attività di servizi pubblici locali, costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22.

La società contribuente anzitutto negava ricorressero le condizioni previste dall’art. 87, comma 1, del trattato CE perchè fosse configurabile come aiuto di Stato l’esenzione ad essa riconosciuta, in quanto l’aiuto concesso nella specie superava di poco la soglia “de minimis”; in subordine, chiedeva che, in applicazione della regola “de minimis”, si procedesse al recupero soltanto della somma eccedente gli Euro 100.000, senza interessi di mora.

Il giudice di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso, riconoscendo il recupero legittimo nei soli limiti della quota eccedente la soglia di Euro 100.000.

Adita in appello dalla società contribuente la Commissione regionale ha osservato come correttamente la sentenza impugnata aveva descritto le fasi dell’istituzione degli aiuti di Stato con riferimento alle aziende o società partecipate o ex municipalizzate, a prevalente capitale pubblico, che sono sottoposte al rispetto delle norme di comportamento e di legge riguardanti il mercato e la libera concorrenza, a nulla rilevando che gli utili siano reimpiegati per funzioni pubbliche; che il D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, convertito nella L. 6 aprile 2007, n. 46, aveva previsto che l’Agenzia delle entrate provvedesse alla liquidazione delle imposte sulla base delle comunicazioni trasmesse dagli enti locali e delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società beneficiarie, stabilendo quali aiuti appartassero alla categoria degli aiuti “de minimis”.

Osserva ancora, dopo aver richiamato la decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE del 5 giugno 2002, che il giudice di primo grado, dopo aver verificato che non era stata esclusa la regola del de minimis nella determinazione del limite massimo dei crediti riconoscibili, ha ritenuto legittimo il recupero soltanto della somma eccedente la soglia degli Euro 100.000. “In effetti i giudici di primo grado hanno ritenuto che la somma di Euro 100.000 fosse una franchigia oltre la quale gli importi rimanenti andavano recuperati. Ma la legge non ha voluto dare questa interpretazione, non avendolo specificamente indicato, come invece ha fatto in altre occasioni e per diversi aiuti di Stato”.

Ha pertanto accolto l’appello dell’Ufficio, confermando la legittimità del recupero dell’intera imposta.

Nei confronti della decisione la società contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati con successiva memoria.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo la spa Centrale del latte di Salerno denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla “illegittimità dell’atto di ingiunzione impugnato”, “per omessa esecuzione dell’attività valutativa imposta dalla decisione Ce 2003/193, nonchè l’erroneità dell’atto impugnato nel merito per insussistenza dei presupposti indicati nella decisione Ce 2003/193”; assume che “l’omessa pronuncia sui motivi di appello, come nella fattispecie, costituisce un difetto di attività del giudice tale da integrare gli estremi dell’error in procedendo nonchè della violazione dell’art. 112 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza; assume che l’art. 132 c.p.c. e il D.P.R. n. 546 del 1992, art. 36 imporrebbero “al giudice di indicare a pena di nullità della sentenza gravata tutte le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata sia in punto di fatto che in relazione al corredo probatorio acquisito al processo”.

Il motivo, anche a voler trascurare gli aspetti di inidoneità dei momenti di sintesi e dei quesiti di diritto alla stregua del disposto dell’art. 366 bis cod. proc. civ., è in parte infondato ed in parte inammissibile. E’ inammissibile il primo profilo, in quanto sotto le vesti della denuncia del vizio di motivazione viene posta una questione di diritto, e quindi una violazione di legge; sono in parte infondati ed in parte privi di autosufficienza gli altri due profili, in quanto la sentenza motiva adeguatamente sulle ragioni di riforma della pronuncia di primo grado, mentre la ricorrente non individua il motivo di impugnazione rimasto senza risposta; è infine infondato il terzo profilo, in quanto il giudice è tenuto ad individuare nel materiale probatorio i fatti e gli elementi ritenuti rilevanti per la decisione, dando conto delle ragioni che ritiene fondamento della decisione, come nel caso di specie.

Con il secondo motivo si duole: a)dell’interpretazione della normativa offerta dalla sentenza impugnata per le ipotesi, “carie nel caso di specie”, in cui l’utilizzazione dei benefici fiscali sia “anche di pochi centesimi di Euro al di sopra dell’ammontare “de minimis”; e b)denuncia “l’omessa motivazione sul fatto controverso costituito dal superamento della soglia de minimis da parte di essa ricorrente e dall’insussistente obbligo alla restituzione anche degli ammontari rientranti nella soglia.

Tale ultima doglianza è infondata, in quanto il superamento della soglia de minimis non costituisce fatto controverso, come si evince dalla sentenza impugnata ed in esordio dello stesso motivo.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 1, 2, 3, 4, 6 e 7, della L. n. 212 del 2000, art. 97 Cost. e la decisione della Commissione n. 193/2003 del 5 giugno 2002 ad opera dell’atto ingiuntivo che illegittimamente non sia stato preceduto da idonea attività istruttoria e sia privo in motivazione di riferimenti agli elementi istruttori raccolti.

La prima doglianza del secondo motivo ed il terzo motivo del ricorso sono infondati.

Questa Corte ha chiarito come “ai sensi del D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1 (convertito dalla L. 6 aprile 2007, n. 46), l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di procedere, mediante comunicazione-ingiunzione, al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni usufruite dalle società per azioni a prevalente capitale pubblico, istituite L. 8 giugno 1990, n. 142, ex art. 22 per la gestione dei servizi pubblici locali, trattandosi di misure ritenute aiuti di Stato e, quindi, incompatibili con il diritto comunitario, secondo la decisione n. 2003/193/CE della Commissione Europea, istituzione cui è riservata la competenza esclusiva a compiere tale valutazione, con provvedimenti dei quali gli Stati destinatari devono assicurare “esecuzione immediata ed effettiva”, a norma dell’art. 14 del Regolamento n. 1999/659/CE, mentre l’unica eccezione a tale obbligo è relativa agli aiuti appartenenti alla categoria cd. “de minimis”, cane stabilito dal medesimo art. 1, commi 4 e 9. Ne consegue che l’atto con cui l’Amministrazione finanziaria procede al recupero è tipizzato in funzione liquidatoria, in quanto destinato esclusivamente a tale uso ed è pertanto sufficiente, l’indicazione che il destinatario sia una società per azioni costituita a norma della L. n. 142 del 1990 e che essa abbia effettivamente fruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario, non occorrendo, invece, la contestuale allegazione della decisione comunitaria”; spetta “alla società destinataria dell’ingiunzione eccepire e provare che l’aiuto ricevuto appartenga all’ambito di applicabilità della regola suddetta ed all’Amministrazione dimostrare che la società sia una società per azioni costituita ai sensi della L. n. 142 del 1990 e che abbia effettivamente usufruito dell’agevolazione dichiarata incompatibile con il diritto comunitario. Tali elementi, unitamente all’invito ad avvalersi della eccezione relativa all’appartenenza dell’aiuto all’ambito di applicabilità della regola “de minimis”, esauriscono la motivazione necessaria dell’ingiunzione. (Cass. n. 6538 del 2012, n. 23799 del 2016).

Questa Corte ha in particolare avuto modo di affermare che “in tema di agevolazioni tributarie, con riguardo al regime degli aiuti “de minimis” che, proprio perchè tali, giustificano una deroga al divieto degli aiuti di Stato e, quindi, sono compatibili con l’art. 87 (ora 107) del Trattato istitutivo della Ue, in caso di superamento della soglia, riacquista vigore in pieno la disciplina del divieto che involge l’intera somma, la quale deve necessariamente essere recuperata, e non solo per la parte che eccede la soglia di tolleranza, a prescindere dalla circostanza che l’aiuto sia stato erogato in epoca precedente al Regolamento n. 2001/69/CE” (Cass. n. 11228 del 2011).

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano cane in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.000, oltre alle prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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