Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16513 del 21/07/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16513 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 185-2013 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati
CHERUBINA CIRIELLO, ELISABETTA LANZETTA, LUCIA
POLICASTRO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
GIULIANI ROSA ESTER, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ISONZO PALAZZINA 42/A, presso lo studio dell’avvocato DI
GREGORIO LUCA, rappresentata e difesa dall’avvocato

Data pubblicazione: 21/07/2014

TORNAMBE’ PATRIZIA, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente avverso la sentenza n. 1287/2011 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/06/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Cherubina Ciriello che si riporta agli
scritti e chiede l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
La Corte d’appello di Milano – sezione lavoro ha rigettato
l’impugnazione proposta dall’Inps avverso la sentenza del giudice del
lavoro del Tribunale di Milano, con la quale era stato dichiarato il
diritto della ricorrente Rosa Ester Giuliani di vedersi cumulato il
reddito da pensione con quello di lavoro dipendente ai sensi della L. n.
289 del 2002, art. 44 a decorrere dall’1 gennaio 2003, con condanna
dell’istituto previdenziale alla corresponsione del trattamento
pensionistico per tale periodo, maggiorato degli accessori di legge.
La Corte territoriale ha disatteso le tesi dell’Istituto secondo il quale
l’art. 44 della L. n. 289 del 2002, che aveva abolito il divieto di cumulo
tra pensioni di anzianità coi redditi di lavoro a decorrere dal gennaio
del 2002, non trovava applicazione nei confronti dell’appellata in
quanto la lavoratrice pensionata di anzianità in deroga al predetto
divieto assoluto di cumulo, aveva usufruito dei benefici della
previgente disciplina di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 185 e
187, restando in servizio con orario ridotto a far tempo dalla data di
pensionamento così cumulando il reddito da lavoro con quello
pensionistico in misura ridotta, senza superare, in ogni caso, il
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MILANO del 16.11.2011, depositata il 16/12/2011;

trattamento complessivo spettante ad un dipendente di pari posizione
in servizio a tempo pieno.
Secondo il giudice d’appello lo speciale regime di cumulo stabilito con
il D.M. n. 331 del 1997 non comporta le conseguenze che l’Inps vi
ricollega. Si tratta infatti di una norma di fonte secondaria, di

all’esclusione della normativa generale di cui alla L. n. 338 del 2000, art.
72 e L. n. 289 del 2002, art. 44 normativa indicativa di una progressiva
estensione della possibilità di cumulo dei redditi da lavoro e da
pensione.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’Inps, che affida
l’impugnazione a due motivi.
Resiste con controricorso la Giuliani.
Tutto ciò premesso si rileva che la materia oggetto di esame nella
presente controversia è stata più volte scrutinata da questa Corte che
proprio con riguardo alle medesime censure ha affermato che “L’art. 1,
comma 185, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 è norma eccezionale
poiché consente la prosecuzione del rapporto di pubblico impiego del
dipendente, per quanto a tempo non più pieno ma parziale, e il
contemporaneo conseguimento, entro specificati limiti, del trattamento
pensionistico di anzianità in costanza del rapporto, con lo stesso
datore di lavoro, derogando ai principi generali per cui il diritto alla
pensione di anzianità è subordinato alla cessazione dell’attività di
lavoro dipendente. Ne deriva che la suddetta disciplina — contenente
l’esplicita previsione che la somma dell’ammontare della pensione e
della retribuzione dei dipendenti a tempo parziale non possa superare
l’ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di
condizioni, presti la sua attività a tempo pieno – non è derogabile dalla
successiva normativa generale di cui all’alt. 44 della legge 27 dicembre
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esecuzione di una di rango primario, e non può pertanto condurre

2002, n. 289, abolitrice del divieto di cumulo tra pensione e reddito da
lavoro subordinato, senza che possa trovare spazio alcuna censura
costituzionale per irragionevole permanere della disciplina limitativa
del cumulo per il solo settore pubblico.” (cfr Cass. nn. 25800 del
2011)

1. fin dall’inizio (L. n. 153 del 1969, art. 22) la pensione di anzianità dei
dipendenti privati è stata incumulabile per l’intero con il reddito da
lavoro dipendente e detta in cumulabilità piena con il reddito da
lavoro subordinato è rimasta inalterata (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10,
commi 1 e 2), dovendo il lavoratore subordinato risolvere il rapporto
di lavoro (D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 10, comma 6) per poter godere
della prestazione pensionistica. Un’ ulteriore tappa del processo
evolutivo riguarda la fase di regime della riforma del 1995 vale a dire le
pensioni da liquidare esclusivamente con il sistema contributivo. Tale
riforma aveva previsto la vigenza, fino al compimento da parte dell’
interessato dell’ età di 62 anni, del regime di incumulabilità con il
reddito da lavoro dipendente, nella sua interezza, e con il reddito da
lavoro autonomo nella misura del 50% della parte eccedente il
trattamento minimo; e invece dall’ età di 63 anni in poi, del regime di
incumulabilità della pensione con i redditi sia da lavoro dipendente che
da lavoro autonomo nella misura del 50% della parte eccedente l’
importo del trattamento minimo (L. n. 335 del 1995, art. 1, commi 21
e 22). Detti limiti al cumulo tra pensione e redditi da lavoro sono
ormai sostanzialmente superati ed attualmente le pensioni di anzianità
sono intermente cumulabili con i redditi da lavoro tanto autonomo che
dipendente, purché il lavoratore abbia una determinata anzianità
contributiva (L. n. 388 del 2000, art. 72 e L. n. 289 del 2002, art. 44).
La L. n. 243 del 2004 aveva delegato il Governo ad adottare uno o più
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Ciò in quanto:

decreti legislativi contenenti norme intese tra l’ altro ad eliminare
progressivamente il divieto di cumulo tra pensioni e redditi da lavoro
(art. 1, comma 1, lett. b), ma la delega non è stata attuata; tuttavia
successivamente ha provveduto alla “liberalizzazione” la L. n. 133 del
2008, art. 19.

operante per tutti i settori, deve preliminarmente, ai fini della decisione
della questione all’ esame, individuarsi la natura della norma contenuta
nella L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 185, nata come eccezione di
favore in deroga al vecchio regime generale, per valutare se la stessa sia
resistente o meno al processo di evoluzione nel senso della
liberalizzazione sopra delineata. A norma dell’ art. 15 preleggi, infatti,
l’abrogazione tacita si realizza sia quando le disposizioni della nuova
legge siano incompatibili con quelle della legge anteriore, sia quando la
nuova legge regoli l’intera materia già regolata dalla legge anteriore,
non potendo ovviamente coesistere, in quest’ultimo caso, due leggi che
regolino per intero la medesima materia. Tuttavia, la regola
dell’abrogazione non si applica quando la legge anteriore sia speciale
od eccezionale e quella successiva, invece, generale ritenendosi che la
disciplina generale – salvo espressa volontà contraria del legislatore non abbia ragione di mutare quella dettata, per singole o particolari
fattispecie, dal legislatore precedente.
3. La norma di cui si discute ( art. 1 commi 185 e 187 legge 662/96)
deve indubbiamente qualificarsi come eccezionale, avendo portata
derogatoria, nel sistema in vigore all’epoca della sua emanazione,
rispetto ai principi generali in tema di incumulabilità tra pensione di
anzianità e redditi di lavoro e prevedendo la possibilità di cumulo sia
pure limitato, nel senso che l’importo della pensione viene ridotto in
misura inversamente proporzionale alla riduzione dell’orario normale
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2. Anche ove sia ritenuto che il regime di liberalizzazione sia ormai

di lavoro (riduzione comunque non superiore al 50%) e che la somma
della pensione e della retribuzione non può in ogni caso superare
l’ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di
altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno. Per il pubblico
impiego, con il D.M. 29 luglio 1997, n. 331, è stato emanato in

187 il regolamento concernente i criteri e le modalità da applicare ai
pubblici dipendenti di cui al D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 1, comma 2, per
usufruire della possibilità di cumulare, ai sensi dell’art. 1, commi da 185
a 189, della legge citata, l’importo della pensione di anzianità con
l’ammontare della retribuzione conseguente alla trasformazione del
rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, prevedendosi
determinate condizioni per l’operatività della trasformazione con
diritto al cumulo parziale, tra cui quella della insussistenza nella
qualifica funzionale di appartenenza di situazioni di esubero.
4. Il carattere di eccezionalità della normativa, che non consente alla
normativa successiva di carattere generale di incidere in senso
ampliativo sulla misura del cumulo parziale, deve essere collegato
anche alla circostanza che il conseguimento del trattamento
pensionistico, sia pure ridotto, non è subordinato, dalla legge 662/96,
alla cessazione dell’attività lavorativa.

Ed invero, il diritto alla

pensione, nella generalità dei casi, ai sensi della L. n. 153 del 1969, art.
22, comma 1, lett. c), matura in capo al lavoratore interessato alla
presenza di un duplice requisito, rappresentato dal raggiungimento
dell’anzianità contributiva e dalla cessazione dell’attività lavorativa
subordinata alla data di presentazione della relativa domanda. Con la
riforma introdotta dal D.Lgs. n. 503 del 1992, il legislatore ha ribadito
che il diritto alla pensione di anzianità è subordinato alla cessazione
dell’attività di lavoro dipendente (art. 10, comma 6), estendendo tale
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esecuzione di quanto previsto dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma

requisito anche alla pensione di vecchiaia (art. 1, comma 7). Per
entrambe le disposizioni citate il requisito della cessazione del rapporto
di lavoro costituisce, infatti, una “presunzione di bisogno” che
giustifica l’erogazione della prestazione sociale ai sensi dell’art. 38
Cost..

di lavoro subordinato e la produzione, che ne consegue, di reddito da
lavoro – dopo il perfezionamento dei requisiti – esclude lo stato di
bisogno del lavoratore (…) e, quindi, anche l’esigenza di garantire al
lavoratore medesimo (ai sensi dell’art. 38 Cost., comma 2) mezzi
adeguati alle esigenze di vita”.
5. La eccezionalità della citata norma del 1996 deve, pertanto,
ravvisarsi, alla luce dei principi appena richiamati, nella peculiarità della
fattispecie prevista, che consente la prosecuzione del rapporto di
pubblico impiego del dipendente per quanto part time ed il
contemporaneo conseguimento del trattamento pensionistico di
anzianità in costanza di rapporto, sia pure trasformato, con lo stesso
datore di lavoro. Da tali considerazioni deve discendere pertanto
l’intangibilità di una disciplina eccezionale, che sicuramente risulta
derogatoria rispetto ai principi in materia pensionistica quanto al
conseguimento del diritto alla prestazione, da parte di normativa
generale successiva che abolisce il divieto di cumulo, ma comunque
mantiene fermo il principio dalla necessità di interruzione del rapporto
lavorativo.
6. Ciò si desume anche da quanto previsto “testualmente” dalla L. 27
dicembre 2002, n. 289, art. 44, comma 2, parte seconda laddove è
previsto che la disposizione si applica – oltre che agli iscritti alle forme
di previdenza di cui al comma 1, già pensionati di anzianità alla data del
1 dicembre 2002 e nei cui confronti trovino applicazione i regimi di
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Secondo la Corte di Cassazione, infatti, “la prosecuzione del rapporto

divieto parziale o totale di cumulo (art. 44, comma 2, 1^ parte, L.
citata) – anche agli iscritti che hanno maturato i requisiti per il
pensionamento di anzianità, hanno interrotto il rapporto di lavoro e
presentato domanda di pensionamento entro il 30 novembre 2002.
Quest’ultima disposizione (art. 4 comma 2 L. 489/2002) infatti

possono accedere al regime di totale cumulabilità dal primo gennaio
2003, subordinatamente al pagamento dell’una tantum, tuttavia questa
facoltà è espressamente condizionata alla “interruzione del rapporto di
lavoro”, mentre al contrario non è stato interrotto ed è quindi fuori del
raggio di applicazione di detta normativa.
Tali principi sono stati reiteratamente affermati da questa Corte anche
con sentenze ed ordinanze successive alla sentenza sopra citata ( cfr.
Cass. 3515 del 2014 e 20389 del 2013, 8047 e 8046 del 2012, 4900 del
2012).
Poiché si condividono le considerazioni sopra riportate e si intende
dare continuità ai principi esposti il ricorso va accolto in quanto
manifestamente fondato. Per l’effetto la domanda della Giuliani, non
essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, deve essere rigettata.
La complessità della disciplina esaminata giustifica la compensazione
tra le parti delle spese dell’intero processo.
PQM
LA CORTE
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel
merito rigetta l’originaria domanda proposta da Rosa Ester Giuliani.
Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma il 9 giugno 2014
Il Presidente

prevede si che anche coloro che sono già pensionati di anzianità

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