Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16511 del 05/07/2017

Cassazione civile, sez. III, 05/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.05/07/2017),  n. 16511

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 759-2015 proposto da:

F. VIAGGI SRL, in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione Dr. F.G., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo studio dell’avvocato ELIO

LUDINI, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO MARINI giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.C., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MIRKO PIERFAUSTO PALUMBO giusta procura speciale in calce al

controricorso;

O.J.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ADDA 99,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO DE CICCIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ORAZIO SALVATORE SAVIA giusta

procura speciale apposta sul retro della prima pagina del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4183/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del

ricorso principale, rigetto nel resto e rigetto del ricorso

incidentale;

udito l’Avvocato ORAZIO SALVATORE SAVIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In parziale accoglimento dell’appello proposto da F. Viaggi s.r.l., la Corte d’appello di Milano con sentenza 14.11.2013 n. 4183 riformava la decisione di prime cure e condannava C.C. al risarcimento dei danni subiti dalla società quale parte offesa di una complessa truffa diretta alla sottrazione, riempimento e rivendita di oltre ottocento titoli di viaggio di linee aeree, organizzata dal C. unitamente ad altre persone, come emergeva dalla copiosa documentazione e dagli atti di indagine del procedimento penale svoltosi nei suoi confronti e definito con sentenza del GUP del Tribunale di Milano in data 23.6.2005 di applicazione della pena su richiesta della parti. Confermava invece la decisione di prime cure in ordine al rigetto della domanda di accertamento della simulazione ed in subordine di revoca della efficacia delle compravendite immobiliari disposte dal C. a favore della madre O.J.B. con atto pubblico rogato in data 12.4.2002 dal notaio Civita di Milano, in quanto la società non aveva fornito prova del “consilium fraudis” mentre risultava dai documenti prodotti che i beni erano pervenuti, per la quota indivisa di proprietà, al C. ed alla madre, per successione ereditaria nell’anno 2000, e dunque appariva plausibile che gli eredi intendessero procedere alla divisione dei beni indivisi; ed inoltre che già nel maggio 2001, circa un anno prima che venissero sottratti alla F. Viaggio s.r.l. i biglietti aerei, le parti contraenti avevano interessato per il rogito altro notaio ( D.S. di Milano), preferendo poi rivolgersi ad altro professionista.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da F. Viaggi s.r.l. con tre motivi.

Resistono con distinti controricorsi O.J.B. e C.C. il quale ha proposto anche ricorso incidentale affidato a quattro motivi.

La parte ricorrente e la controricorrente O. hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A) ricorso principale proposto da F. Viaggi s.r.I.

Con il primo motivo il ricorrente principale censura la sentenza di appello per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (violazione art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) in quanto il Giudice di appello, dopo aver accertato la responsabilità civile del C. avrebbe poi pronunciato la condanna al risarcimento del danno omettendone la liquidazione.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.

Come rilevato dalla stessa società ricorrente, la Corte territoriale, oltre alla responsabilità ex art. 2043 c.c., ha ritenuto fornita la prova del danno patrimoniale motivando “per relationem” ad una serie di documenti prodotti in giudizio (allegati al fascicolo di parte appellante doc da 54 a 63) ed individuati nelle “documentate pretese di pagamento delle compagnie aeree, e delle transazioni con queste raggiunte e con il pagamento di quanto concordato in transazione”. Risulta altresì che nell’atto di citazione in primo grado, la società aveva chiesto la condanna al risarcimento dei danni determinati nella misura di Euro 1.2000.000,00 oltre interessi e rivalutazione “ovvero in quella misura maggiore o minore che emergerà in corso di causa” (cfr. ricorso pag. 15).

Osserva il Collegio che nel caso in cui il provvedimento giurisdizionale di condanna non contenga la espressa indicazione del “quantum” liquidato, soccorre il principio di diritto – che deve essere confermato – enunciato da Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11066 del 02/07/2012 (cui si sono allineate le successive pronunce successive delle sezioni semplici), secondo cui eventuali incertezze che nascono dalla pronuncia giudiziale di accertamento del diritto, possono essere risolte attraverso la integrazione extratestuale del provvedimento, ricorrendo anche a fonti esterne, purchè costituenti atti e documenti ritualmente introdotti nel giudizio e sui quali sia stato, quindi, instaurato il contraddittorio delle parti. Tale principio di diritto, enunciato con riferimento alla attività interpretativa del Giudice della esecuzione avente ad oggetto la esatta individuazione del credito portato dal titolo esecutivo giudiziale, ex art. 474 c.p.c., rinviene il suo fondamento nel più ampio potere, riservato in via esclusiva al Giudice, di individuare esattamente il diritto accertato nel provvedimento giudiziale che viene invocato dalla parte nel processo, tanto ai fini dell’indagine dei limiti oggettivi della efficacia del giudicato interno od esterno (per cui si ritiene possibile illuminare la portata del “decisum” anche sulla scorta delle domande giudiziali che erano state proposte dalle parti), quanto ai fini della esatta interpretazione del comando contenuto nel provvedimento laddove, come nel caso di specie, la condanna al risarcimento del danno sia effettuata “per relationem” al “quantum” enucleabile dai documenti od atti o relazioni tecniche ritualmente prodotti in giudizio, e sempre che – evidentemente – il documento al quale è operata la “relatio” risulti “ex se” chiaro ed esaustivo (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 3920 del 17/02/2011): ed infatti in tanto è possibile superare la incertezza in ordine alla liquidazione dell’importo del credito accertato nella sentenza di merito in quanto si possa giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione del rinvio, diviene parte integrante dell’atto rinviante (cfr. Corte cass. Sez. Sentenza n. 13937 del 25/09/2002).

Tanto premesso, la società ricorrente non deduce che i documenti ai quali il Giudice di appello ha rinviato ai fini della prova del “quantum”, fossero inidonei a risolvere il dubbio sull’ammontare della somma oggetto della pronuncia di condanna, nè tanto meno allega se gli importi delle transazioni, che la società aveva pagato alle Compagnie aeree, indicati in tali documenti, fossero diversi dall’importo richiesto dalla stessa società – sia pure nel maggiore o minore importo in concreto accertato – nell’atto introduttivo del giudizio.

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, la denuncia del vizio volto a far valere il difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato implica un raffronto tra le statuizioni della sentenza ed il motivo di gravame, ossia l’oggetto della questione sottoposta all’accertamento del Giudice di appello in relazione alla quale si assume omessa in tutto od in parte la pronuncia. Nella specie la ricorrente non specifica se in primo grado e nei motivi di gravame abbia dedotto la insufficienza della documentazione prodotta in giudizio a determinare il danno patrimoniale subito, nè se abbia formulato al riguardo specifiche richieste istruttorie ritenute indispensabili alla determinazione dell’ammontare dell’importo da liquidare per equivalente.

Ne segue che il motivo si palesa privo dei requisiti di ammissibilità prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Ed infatti, se è vero che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un “error in procedendo” è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere-dovere è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 9275 del 04/05/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 16245 del 03/08/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 1221 del 23/01/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 21621 del 16/10/2007; id. Sez. L, Sentenza n. 488 del 14/01/2010; id. Sez. L, Sentenza n. 23420 del 10/11/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 86 del 10/01/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5036 del 28/03/2012; id. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 896 del 17/01/2014).

Il secondo motivo del ricorso principale va dichiarato inammissibile sotto plurimi profili.

La ricorrente impugna il capo della sentenza di appello che dispone la compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio “tenuto conto del solo parziale accoglimento della domanda proposta dalla F. e della sua sostanziale soccombenza in ordine alla domanda risarcitoria – la più rilevante nella complessiva economia del giudizio -“.

Tuttavia, da un lato, denuncia un vizio di legittimità per “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, che non trova più riscontro nell’elenco tassativo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, avendo il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134(recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”) sostituito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, il n. 5 (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012), delimitando l’errore di fatto alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Dall’altro risulta inesplicata la asserita violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. (il Giudice ha pronunciato sulle spese dell’intero giudizio, come richiesto dagli artt. 91 e 92 c.p.c., e pertanto non è ravvisabile alcuna omissione ex art. 112 c.p.c.).

Nè è ravvisabile un vizio di nullità della sentenza, riconducibile alla carenza assoluta di motivazione ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per manifesta impossibilità di ricostruire il dictum sulle spese di lite, atteso che la statuizione impugnata avuto riguardo all’accertamento, in motivazione, della responsabilità per atto illecito del C. e della affermazione della raggiunta prova del danno risarcibile, nonchè alla condanna del C. al risarcimento del danno, contenuto nel dispositivo – non può che rivelare un mero errore materiale, suscettibile al più di correzione ex art. 384 c.p.c., comma 4, dovendo inequivocamente intendersi riferito il richiamo alla “parziale soccombenza” della F. Viaggi s.r.l., anzichè alla domanda risarcitoria sulla quale è risultata vittoriosa, alle altre domande di accertamento della simulazione e di revoca della efficacia della compravendite immobiliari.

Con il terzo motivo del ricorso principale la società denuncia la violazione degli artt. 1414 e 2901 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè il vizio di “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione di un fatto controverso e decisivo…. rilevante per effetto degli artt. 113 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2698 c.c.”.

Va premesso che la esposizione della censura, relativa ad errore di diritto, rivolta alla sentenza, non pare distinguere tra le azioni di accertamento della simulazione del contratto (la domanda originaria non viene peraltro riportata nel suo esatto contenuto, non essendo dato evincere quale fosse la esatta contestazione e gli elementi dimostrativi allegati: in particolare non essendo specificato se trattasi di simulazione relativa od assoluta) e di revoca della efficacia del negozio stipulato in frode ai creditori, sebbene le due fattispecie non siano affatto sovrapponibili, per “causa petendi” e “petitum”, presupponendo, la prima, una mera regolamentazione negoziale apparente, come tale non produttiva di effetti giuridici tra le parti – simulazione assoluta – ovvero non rappresentativa degli effetti giuridici in concreto effettivamente voluti dalle parti – simulazione relativa -, e presupponendo, invece, la seconda un negozio produttivo di effetti giuridici traslativi, realmente voluti dalle parti, sia pure per la realizzazione di uno scopo lesivo della garanzia generica apprestata, a favore dei creditori, dal patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c..

Come emerge dallo stesso ricorso, gli elementi circostanziali, cumulativamente elencati, dei quali si lamenta il mancato esame da parte del Giudice di appello (1-inizio della condotta criminosa ad aprile del 2000 – come risulta dal capo di imputazione della Procura della Repubblica di Milano, trascritto a pag. 9 ricorso -, stesso anno in cui gli immobili pervengono in quota ereditaria a madre e figlio; 2-furto dei biglietti aerei presso le agenzie viaggi della F. commesso in data (OMISSIS) – come risulta dalla sentenza di appello: in motiv. pag. 5-; 3-denuncia del furto alla Procura della Repubblica in data 29.3.2002; 4-stipula della compravendita immobiliare con atto pubblico in data 12.4.2002; 5-prezzo di vendita meramente figurativo per complessivi Euro 138.000,00 – ma la ricorrente non indica dove è reperibile nel fascicolo processuale l’atto di vendita, che non viene indicato tra i documenti allegati al ricorso ex art. 369 c.p.c., ove figura un generico richiamo al “fascicolo di parte” dei precedenti gradi merito, nè indica se e quando il documento sia stato ritualmente acquisito al giudizio-; 6-mancato pagamento del prezzo di vendita, in assenza di prova contraria), non vengono partitamente individuati, dalla ricorrente, in relazione alla rispettiva e specifica funzione probatoria dei diversi fatti costitutivi dell’una o dell’altra “causa petendi”, e dunque non è dato verificare se debbano intendersi rilevanti ai fini della dimostrazione di una reale ed effettiva alienazione immobiliare, in pregiudizio della garanzia patrimoniale generica, ovvero invece ai fini della dimostrazione che le parti contraenti non abbiano voluto realizzare alcun trasferimento di proprietà.

Tale incertezza viene a tradursi nel difetto di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, esulando dai compiti della Corte quello di identificare quale tra le diverse censure in diritto, cumulativamente ed inestricabilmente prospettate, il ricorrente abbia inteso effettivamente far valere nei confronti della sentenza impugnata e quale tra gli elementi indicati nella esposizione del motivo debbano essere riferita all’una piuttosto che all’altra censura.

Indipendentemente da tale preliminare rilievo, osserva il Collegio, che l’intero motivo pur nella diversità dei vizi di legittimità indicati in rubrica, si svolge interamente sul piano della critica fattuale, venendo a sindacare la società ricorrente l’inesatta rilevazione e valutazione degli elementi istruttori da parte del Giudice di appello. Ne segue che, in disparte la errata qualificazione in rubrica del vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione) e della inammissibilità della “insufficienza logica” del ragionamento svolto dal Giudice di merito a veicolare l’accesso al sindacato di legittimità, la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione del merito. Il Giudice di appello ha, infatti, esaminato il complesso probatorio traendone un convincimento diverso da quello auspicato dalla società. In particolare ha tenuto conto della cronologia dei fatti, rilevando che la stipula della compravendita 12.4.2002 intervenuta in data successiva all’insorgere del credito risarcitorio 28.3.2002 non era conducente alla prova del “consilum fraudis” in quanto le parti avevano effettivamente contattato il notaio D.S., nel maggio 2001, in tempo anteriore alla stessa commissione dell’illecito in danno di F. Viaggi s.r.l. – e dunque in data anteriore alla stessa insorgenza del credito risarcitorio – traendone il convincimento che le parti si erano già determinate, realmente (e non fittiziamente), anche in considerazione di plausibili esigenze di scioglimento della comunione ereditaria e della definizione di rapporti di debito antecedentemente intercorsi tra le parti, ad effettuare la alienazione immobiliare, che per vicende attinenti ai rapporti con i professionisti incaricati del rogito, era stata perfezionata soltanto nell’anno 2002.

Tale valutazione di merito è insindacabile da questa Corte, non ricorrendo nella specie il vizio di “error facti” per il quale può essere richiesto il sindacato di legittimità, circoscritto esclusivamente, dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 al solo “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

In tale ipotesi, infatti, l’ammissibilità del motivo risulta condizionata:

1- alla individuazione di un “fatto storico” – ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, ritualmente accertato mediante verifica probatoria – che abbia costituito oggetto di discussione in contraddittorio tra le parti;

2- alla incidenza di tale fatto su uno o più degli elementi costitutivi della fattispecie normativa disciplinatrice del diritto controverso, rivestendo quindi carattere di “decisività” ai fini della decisione di merito;

3- all’omesso esame” di tale fatto da parte del Giudice di merito, inteso come mancata rilevazione ed apprezzamento del dato probatorio tale da tradursi in una carenza argomentativa inficiante la relazione di dipendenza logica tra le premesse in fatto e la soluzione in diritto adottata dal Giudice, che deve essere evidenziata dallo stesso testo motivazionale, rendendo per conseguenza l’argomentazione priva del pur minimo significato giustificativo della decisione e dunque affetta da invalidità (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id. Sez. U, Sentenza n. 19881 del 22/09/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Rimane dunque estranea al predetto vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il Giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio, valutando la maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016 che, icasticamente, afferma come il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non essendo, pertanto, censurabili con il vizio in questione errori attinenti alla individuazione di “questioni” o le “argomentazioni” relative all’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014), e risultando in ogni caso precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori (cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 21439 de/ 21/10/2015).

Non costituendo, pertanto, “fatti omessi”, nè il rilievo che la data del rogito sia posteriore a quella della presentazione della querela alla Procura della Repubblica denuncia, nè la modalità di pagamento del prezzo anteriormente alla stipula del rogito, e non essendo stata indicata dalla società ricorrente la prova omessa dalla quale risultava che il prezzo di vendita indicato nel rogito non corrispondeva a valori di mercato delle quote proprietarie degli immobili ceduti (non essendo stato neppure trascritto il contenuto rilevante del contratto di compravendita, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), anche il terzo motivo deve essere dichiarato inammissibile.

B) ricorso incidentale proposto da C.C.

Il primo motivo (violazione dell’art. 444 c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è inammissibile.

Il ricorrente incidentale, da un lato, non argomenta in alcun modo quale sia l’errore in diritto in ipotesi riferito ad una norma processuale penale che disciplina le condizioni legali per rinunciare al dibattimento sostituendo al giudizio l’applicazione della pena ed i benefici previsti, su richiesta congiunta delle parti. E’ appena il caso di osservare poi come l’argomento del ricorrente secondo cui alla sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. non può riconoscersi nel giudizio civile il vincolo della efficacia del giudicato penale di condanna (ma non certo la inutilizzabilità nel giudizio civile di risarcimento danni, ai fini desumere elementi indiziari della colpevolezza dell’autore dell’illecito: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 21591 del 20/09/2013; id. Sez. L, Sentenza n. 3980 del 29/02/2016), appare del tutto inconferente rispetto alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, avendo la Corte territoriale, proprio perchè la sentenza di patteggiamento non forniva elementi utili sufficienti alla ricostruzione del fatto, ritenuto di fondare l’accertamento di responsabilità dell’autore dell’illecito sugli elementi probatori, gravi, seri e convergenti, che emergevano dai copiosi atti e documenti della indagine penale, non trovando alcun impedimento l’utilizzo delle “prove atipiche” nel giudizio civile, come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte. Ed infatti il giudice civile, in mancanza di alcun divieto, può liberamente utilizzare le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse o tra altre parti, e può anche avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale – senza che ne derivi la violazione del principio di cui all’art. 101 c.p.c., atteso che, sebbene raccolte al di fuori del processo, il contraddittorio si instaura con la produzione in giudizio – le quali possono anche essere sufficienti a formare il convincimento del giudice, la cui motivazione non è sindacabile in sede di legittimità quando la valutazione compiuta sia stata estesa anche a tutte le successive risultanze probatorie e non si sia limitata ad un apprezzamento della sola prova formatasi nel procedimento penale (cfr. ex pluribus: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 2563 del 28/06/1975; id. Sez. 3, Sentenza n. 5945 del 10/05/2000; id. Sez. 3, Sentenza n. 12763 del 26/09/2000; id. Sez. 1, Sentenza n. 3132 del 03/03/2001; id. Sez. 3, Sentenza n. 20335 del 15/10/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 16372 del 04/08/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 16372 del 04/08/2005; id. Sez. 3, Sentenza n. 10055 del 27/04/2010; id. Sez. 2, Sentenza n. 22200 del 29/10/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 13229 del 26/06/2015; id. Sez. 1, Sentenza n. 17392 del 01/09/2015; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 1593 del 20/01/2017 secondo cui nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicchè il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali).

Il secondo motivo (violazione dell’art. 2055 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è inammissibile.

Il ricorrente incidentale, attraverso il vizio di “error juris” viene a rimettere in discussione l’esame del complessivo materiale probatorio chiedendo inammissibilmente alla Corte una nuova rivalutazione dei fatti, preclusa in sede di legittimità. E’ appena il caso di osservare, peraltro, come la tesi difensiva secondo cui, non essendo stata raggiunta la prova della materiale commissione del furto dei biglietti aerei da parte del C., questi non potrebbe essere chiamato a rispondere del risarcimento danni nei confronti di F. Viaggi s.r.l., non essendo configurabile una responsabilità solidale in presenza di condotte reciprocamente indipendenti, deve ritenersi manifestamente destituita di fondamento, essendo stato contestato al C., nel capo di imputazione della Procura della Repubblica di Milano, di essere uno dei capi promotori della associazione a delinquere volta alla ricettazione di detti biglietti e di aver partecipato alla attuazione di tali condotte illecite in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, concorrendo quindi nella realizzazione del danno patrimoniale subito dalla F. Viaggi s.r.l. non soltanto in conseguenza del furto ma anche dall’utilizzo abusivo dei titoli di viaggio.

Il terzo ed il quarto motivo sono inidonei a fondare l’obbligo di esame della Corte, non configurandosi come censure ai sensi degli artt. 360 e 366 c.p.c.: il ricorrente, infatti, non impugna alcuna statuizione della sentenza di appello, ma si limita soltanto a controdedurre prospettando a) la inammissibilità del terzo motivo di ricorso principale proposto da F. Viaggi s.r.l., per difetto dei requisiti prescritti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per la denuncia del vizio di omesso esame di un fatto decisivo e controverso; b) la infondatezza della censura mossa dal ricorrente principale con il terzo motivo, in difetto di elementi probatori decisivi del “consilium fraudis”.

In conclusione entrambi i ricorsi principale ed incidentale debbono essere rigettati con integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra F. Viaggi s.r.l. e C.C., attesa la reciproca soccombenza.

La soccombenza di F. Viaggi s.r.l. nei confronti di O.J.B. ne determina la condanna alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, liquidate in dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.

Compensa integralmente le spese processuali tra F. Viaggi s.r.l. e C.C..

Condanna la ricorrente principale al pagamento in favore della controricorrente O.J.B., delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, da distrarsi a favore dell’avv. Orazio Savia del Foro di Milano dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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