Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16511 del 02/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16511 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 17950-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1891

contro

FEVOLA VINCENZO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA TUSCOLANA 1312, presso lo studio Oen avvocato
ST. TAMAGNINI CATIA – TAMAGNINI CINZIA, rappresentato

Data pubblicazione: 02/07/2013

e difeso dall’avvocato ROMOLI GIANNI;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 4283/2004 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/07/2007 R.G.N.
2552/2003;

udienza del 23/05/2013 dal Consigliere Dott.
GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega
FIORILLO LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’8.7.2004 – 4.7.2007 la Corte d’Appello di Roma
confermò la pronuncia di prime cure, che aveva dichiarato la

rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal
15.9.2000, condannando la datrice di lavoro al pagamento delle
retribuzioni maturate dalla domanda.
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la Poste
Italiane spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque
motivi.
L’intimato Fevola Vincenzo ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Tra le parti venne concluso un contratto di lavoro a tempo

determinato per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di
ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso,
quale condizione della trasformazione della natura giuridica dell’Ente
ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi,
di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”,

ai sensi dell’art. 8 CCNL 1994, come integrato dall’accordo del
25.9.1997, decorrente dal 15.9.2000.
La Corte territoriale ha:

disatteso l’eccezione della parte datoriale di intervenuta

risoluzione del contratto per mutuo consenso;

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sussistenza fra la Poste Italiane spa e Fevola Vincenzo di un

-

ritenuto l’illegittimità del termine apposto al contratto, siccome

stipulato dopo il termine (30.4.1998) fissato dai successivi accordi
integrativi;
rilevato non esservi alcun motivo concernente l’entità del danno

liquidato dal Giudice di prime cure.
2. Il contratto in relazione al quale è stata ritenuta l’illegittimità
dell’apposizione del termine è stato stipulato, come detto, a norma
dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 ed in particolare in base alla
previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997, che
prevede, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a
termine, la presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di

ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso,
in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di
sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del
progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane.
La Corte territoriale ha attribuito rilievo decisivo al fatto che, avendo
le parti collettive raggiunto un’intesa originariamente priva di termine,
le stesse avevano stipulato accordi attuativi che avevano fissato un
limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a
termine, limite fissato al 30 aprile 1998; i contratti conclusi fino al
dicembre 2000, stipulati in epoca successiva al suddetto termine,
erano quindi illegittimi in quanto privi del supporto derogatorio.
L’impostazione seguita dalla Corte territoriale è stata ampiamente
censurata dalla Società ricorrente con i primi quattro mezzi, da
esaminarsi congiuntamente siccome fra loro connessi; la ricorrente

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,

contesta, in particolare, l’interpretazione data dalla Corte di merito al
citato accordo integrativo del 25 settembre 1997 ed agli accordi dalla
stessa definiti come attuativi; deduce in particolare che questi ultimi

2.1 Osserva il Collegio che le considerazioni della Corte territoriale in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato dalla
giurisprudenza di legittimità (con riferimento al sistema vigente
anteriormente al CCNL del 2001 ed al dl.vo n. 368/01) – sono
sufficienti a sostenere sul punto l’impugnata decisione.
Al riguardo, sulla scia di Cass., SU, n. 4588/2006, è stato precisato
che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 legge n.
56/87, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine
rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230/62, discende dall’intento
del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali
sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i
lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite
della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere
a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e
prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche
di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a
condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di
fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al
datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr,

ex plurimis, Cass., nn. 21063/2008; n. 9245/2006; 4862/2005;
14011/2004); ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a

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accordi avevano natura meramente ricognitiva.

favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari,
non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque
omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul

nel sistema da questa delineato (cfr, ex plurimis,

Cass., nn.

21062/2008; 18378/2006).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la
nullità della clausola di apposizione del termine (cfr, ex plurimis,
Cass., nn. 18383/2006; 7745/2005; 2866/2004).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, in materia di assunzioni a
termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994,
e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio
1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della
situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica
dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e
rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino
alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la
legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998,
per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 legge n. 230/62 (cfr, ex plurimis,

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medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi

Cass., nn. 20608/2007; 28450/2008; 21062/2008; 7979/2008;
18378/2006).
In base a tale orientamento consolidato ed al valore dei relativi

ex plurimis, Cass., nn 6703/2007; 15969/2005), i motivi all’esame
vanno quindi respinti.
3.

Con il quinto motivo la ricorrente censura le statuizioni risarcitorie

sotto due profili:

le retribuzioni sarebbero dovute soltanto dalla data di

riammissione in servizio, salva la costituzione in mora del datore di
lavoro, e la Corte d’Appello non aveva svolto alcun tipo di verifica sul
punto;
– il risarcimento avrebbe dovuto essere determinato anche
tenendo conto dell’aliunde perceptum, che si asserisce sia solo
genericamente deducibile dalla parte datoriale.
Entrambi i profili (e quindi il motivo nella sua totalità) sono
inammissibili, perché inconferenti rispetto al decisum, fondato, come
detto, sulla rilevata mancanza di motivi concernenti l’entità del danno
quale liquidato dal primo Giudice.
4. Va considerato, in via di principio, che costituisce condizione
necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius

superveniens, che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una
nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia
in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura
nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui

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precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr,

perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8
maggio 2006 n. 10547).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che

sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile
secondo la disciplina sua propria.
Nel caso in esame il motivo che investe il tema al quale è riferibile la
disciplina di cui all’art. 32, commi 5 0 , 6° e 7°, legge n. 183/10 è il
quinto, testè esaminato, il quale, come evidenziato, è inammissibile.
Deve quindi convenirsi per l’inapplicabilità nel presente giudizio del
ricordato ius superveniens.
5. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle
spese, che liquida in euro 3.550,00 (tremilacinquecentocinquanta), di
cui euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compenso, oltre
accessori come per legge.
Così deciso in Roma il 23 maggio 2013.

investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina

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