Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1651 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. lav., 24/01/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 24/01/2020), n.1651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3215-2018 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

SUDARIO 18, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PELAGGI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GRUPPO COIN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso

lo studio dell’avvocato FABIO PULSONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SILVIA MARESCA;

– controricorrente –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA NUMERO DI R.G. PROPOSTO DA:

GRUPPO COIN S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 31, presso

lo studio dell’avvocato FABIO PULSONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SILVIA MARESCA;

– ricorrente successivo –

contro

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

SUDARIO 18, presso lo studio dell’avvocato LUIGI PELAGGI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 3089/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/07/2017 r.g.n. 4616/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA CIRIELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità o in

subordine rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l’Avvocato LUIGI PELAGGI;

udito l’Avvocato SILVIA MARESCA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva n. 1801 dep. il 27/02/2013, in accoglimento delle domande proposte da B.L., dirigente presso la Coin spa, dichiarava l’avvenuto demansionamento del dirigente dal 18/01/2002 fino alla cessazione del rapporto di lavoro e condannava la società al conseguente risarcimento dei danni alla professionalità e del danno patrimoniale da demansionamento, nonchè al pagamento di somme a vario titolo (indennità di trasferimento ex art. 16 ccnl, maggiorazione per lavoro domenicale ex art. 134, comma 1, ccnl, compenso per lavoro straordinario, retribuzione di festività civili cadenti di domenica, differenze di t.fr.); con sentenza definitiva n. 3035 del 14.4.2014, il Tribunale, invece, rigettava le residue domande volte all’accertamento dell’insussistenza della giusta causa di licenziamento e alla condanna della datrice di lavoro alla indennità sostitutiva del preavviso, e condannava il B. alle spese relative al procedimento incidentale di correzione dell’errore materiale, proposta da questi con riguardo alla sentenza definitiva.

2. La corte di Appello di Roma, decidendo sugli appelli riuniti proposti da entrambe le parti del giudizio, con sentenza n. 3089/2017 depositata il 21/07/2017, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la COIN s.p.a. al risarcimento, in favore di B., del solo danno patrimoniale per perdita del “benefit” dell’autovettura aziendale, mentre ha rigettato le domande del dirigente volte alla condanna al pagamento di somme a titolo di indennità di trasferimento ex art. 16 ccnl ed a titolo di differenze sul t.f.r., già riconosciute in primo grado, confermando, per il resto, la sentenza impugnata.

3. In particolare, la Corte territoriale, giudicando sull’appello proposto dal B., ha ritenuto, sulla base delle risultanze istruttorie, di condividere la decisione di prime cure sulla legittimità del licenziamento, fondato su due contestazioni disciplinari, concordando circa la valutazione delle prove e concludendo per la sussistenza della giusta causa, ed ha ritenuto inammissibili le domande volte al pagamento di somme a vario titolo, per non avere il B. impugnato, sul punto, i capi della sentenza non definitiva relativamente ai quali era risultato soccombente; ha – inoltre – ritenuto di concordare con la decisione di primo grado, circa il demansionamento subito dal dirigente, confermando la relativa condanna al risarcimento del danno, come per la condanna alle differenze retributive e al pagamento di somme per lavoro festivo e straordinario, mentre ha riformato la decisione di prime cure quanto ai rimborsi spese, alla rideterminazione del TFR, al contributo per il trasferimento e per i canoni di locazione dell’immobile, ritenendo non provati i fatti posti a base delle domande per tali emolumenti.

4. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione B.L. affidato a sei motivi, cui ha resistito con controricorso la Gruppo COIN s.p.a.

Avverso la medesima sentenza ha proposto successivo ricorso la s.p.a. Gruppo COIN, affidato ad undici motivi, cui ha resistito con controricorso il B..

6. il ricorrente ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., tanto nel ricorso principale che in quello successivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. I ricorsi vanno riuniti riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

7.1. Il B., con il primo motivo di ricorso, ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e degli artt. 30 32, 35 del c.c.nl per i dirigenti del terziario della distribuzione e dei servizi del 27 maggio 2004, in cui sarebbe incorsa, nel ritenere legittimo il licenziamento per giusta causa in relazione alle due contestazioni disciplinari, nonostante le stesse fossero ingiustificate, poichè il ricorrente non aveva commesso alcuna insubordinazione, e non si era presentato a sostenere l’audizione a discolpa in ragione della patologia che lo affliggeva, che avrebbe compromesso la sua possibilità di difesa.

7.2. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. per difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, chiedendo, in via subordinata la conversione d’ufficio in licenziamento per “giustificato motivo soggettivo”.

7.3. Con il terzo motivo di ricorso, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il B. ha dedotto la violazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2099 c.c. nonchè degli artt. 1372, 2099 e 2103 c.c., degli artt. 1366 e 1370 c.c. e del principio del legittimo affidamento, in cui sarebbe incorsa la corte territoriale rigettando la domanda volta ad ottenere l’erogazione dei “rimborsi spese”; ha precisato il ricorrente che tali voci, che risultavano dai documenti prodotti in giudizio (buste paga e doc. 30), erano stati corrisposti continuativamente e sospesi ingiustificatamente e unilateralmente tra il 2006 e il 2009; essi, pertanto, non rivestivano la funzione di rimborsi spese (che, invece, erano richiesti a parte, di volta in volta), ma di veri e propri adeguamenti retributivi (cfr. pag. 72 ricorso), di cui era stata provata la corresponsione, risultando la loro sospensione violativa delle regole di buona fede e della regola della irriducibilità unilaterale della retribuzione, anche quando risultante da patti non scritti, cui le parti avevano mostrato di aderire, nei fatti, nel corso del rapporto, con comportamento concludente.

In via subordinata, con il medesimo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione del combinato disposto degli artt. 1340 e 2077 c.c. invocando, a fondamento del proprio diritto alla erogazione dei rimborsi, gli usi convenzionali dotati di forza vincolante se più favorevoli al lavoratore; in via ulteriormente subordinata, ha dedotto la natura di “diritto quesito” del diritto alla erogazione dei suddetti rimborsi, poichè corrisposti con cadenza periodica al lavoratore.

7.4. Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c. per mancato computo sul trattamento di fine rapporto della quota di retribuzione relativa a provvigioni una tantum, retribuzione variabile e voce retributiva fissa del “rimborso spese” in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, che non avrebbe considerato il valore probatorio della documentazione prodotta dal ricorrente e sarebbe incorsa in omessa motivazione riguardo a tali domande.

7.5. Con il quinto motivo di ricorso il B. ha dedotto, in relazione a l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 l’omesso esame dei motivi di appello sul diritto al risarcimento del danno biologico, all’onore alla reputazione, all’immagine professionale e alla vita di relazione conseguente alle condotte tenute dalla convenuta, in particolare con riguardo alle patologie (la spondilolistesi e la sindrome ansioso-depressiva) che lo avevano colpito a causa dell’illegittimo licenziamento.

7.6. Con il sesto motivo di ricorso il ricorrente ha dedotto, in relazione a l’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c. in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel dichiarare inammissibile, poichè non oggetto di appello incidentale, la doglianza del B. circa l’errore di calcolo commesso dal Tribunale nella liquidazione del danno alla professionalità, nonostante la natura materiale dell’errore fosse evidente.

8. La s.p.a. Gruppo COIN ha presentato ricorso successivo.

8.1. Con il primo motivo la società ha dedotto, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per la definizione del giudizio che e stato oggetto di discussione tra le parti, ossia che il resistente che era stato da sempre direttore di filiale-dirigente, prima della nomina ad “area manager”, dopo il venir meno di tale area aveva, in accordo con la società, ricoperto nuovamente il ruolo di direttore-dirigente. decidendo le filiali ove essere collocato ed ove il datore di lavoro riteneva necessaria e strategica la sua presenza e concordando anche il trattamento economico, sempre molto elevato.

Avrebbe dunque errato la Corte d’appello di Roma, nel respingere il primo motivo di gravame con cui Gruppo Coin s.p.a. deduceva l’assenza di alcun demansionamento, perpetuando l’errore già commesso dal primo giudice nel ritenere la non contestazione, da parte della società, delle allegazioni del ricorrente quanto alle mansioni di fatto svolte prima e dopo il gennaio 2002, nonostante dagli atti difensivi prodotti in primo grado, e richiamati e prodotti a corredo del ricorso per cassazione, si dovesse evincere tale contestazione.

8.2. Con il secondo motivo del ricorso successivo la Gruppo Coin s.p.a. ha dedotto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 414 e 416 c.p.c. in cui sarebbero incorsi i giudici di merito, nell’applicare in maniera non corretta il principio di non contestazione e nell’emettere i provvedimenti di ammissione della prova sul rilievo che non fossero stati contestati i fatti relativi alle mansioni svolte dal B. dal 1997 al 2002 e l’inferiorità delle mansioni svolte dal B. dal gennaio 2002 al marzo 2009, come “direttore di filiale-dirigentè”;avrebbero errato, in particolare, i giudici di merito, non ammettendo le prove sui capitoli 55 e 56 di cui alla memoria difensiva ex art. 416 c.p.c. e la prova contraria rispetto a quella ammessa per il ricorrente, tenuto conto del fatto che il B. aveva concordato le mansioni diverse con la società e non le aveva mai contestate nel corso del rapporto di lavoro.

8.3. Con il terzo motivo la società ricorrente ha dedotto, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per avere i giudici di merito fondato la propria motivazione, circa il demansionamento, omettendo di esaminare il fatto decisivo che “non esisteva in atti una documentazione aziendale contenente l’organigramma aziendale dal quale emergesse che il ricorrente aveva un incarico più qualificante e alto quando rivestiva il ruolo di area manager rispetto a quello di direttore di filiale” (cfr. pag. 27 ricorso).

8.4. Con il quarto motivo di ricorso la società ricorrente ha dedotto ex art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 416 c.p.c. relazione agli artt. 2103 e 2697 c.c. in cui sarebbe incorsa la Corte d’Appello ritenendo sussistente il demansionamento e valutando l’equivalenza delle mansioni in maniera erronea e contraddittoria, sulla base di argomentazioni in contrasto con orientamenti di legittimità, trascurando il fatto che il B., pur nel mutamento di mansioni, peraltro concordato, avrebbe mantenuto il ruolo di natura dirigenziale.

8.5. Con il quinto motivo di ricorso la società ha dedotto il vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 in cui sarebbe incorsa la corte omettendo l’esame di un fatto decisivo per la definizione del giudizio, ossia che il B. non aveva allegato e provato il danno non patrimoniale subito.

8.6. Con il sesto motivo di ricorso la società, ancora ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per la definizione del giudizio, in cui sarebbe incorsa la corte circa le contestazioni spiegate dalla società ricorrente, che aveva sempre contestato la sussistenza del danno non patrimoniale e la sua quantificazione, anche alla luce della doglianza di cui al primo motivo (ossia l’avere i ricorrente B. concordato i trasferimenti in seguito alla soppressione dell’area cui era assegnato) nonchè il vizio di motivazione in cui incorre la sentenza nella liquidazione del danno, riconosciuto in assenza dei presupposti.

8.7. Con il settimo motivo di ricorso la società, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 416 c.p.c. e aqrtt. 2013 1223, 1226, 1218, 2697 e 2729 c.c. in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata violando le norme in materia di risarcimento e quantificazione del danno non patrimoniale, di onere della prova e della prova presuntiva semplice, nel liquidare il danno da demansionamento sulla base di allegazioni generiche (relative al mero depauperamento del bagaglio professionale conseguente al demansionamento).

8.8. Con l’ottavo motivo di ricorso la società, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per la definizione del giudizio, in cui sarebbe incorsa la corte nel riconoscere al dirigente il “benefit autovettura” nonostante dagli atti di causa emergesse che il ricorrente non svolgesse mansioni itineranti.

8.9. Con il nono motivo di ricorso la società, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per la definizione del giudizio, in cui sarebbe incorsa la corte riconoscendo, conformemente alla sentenza di primo grado, le altre voci di differenze retributive al B. sulla base della non contestazione, nonostante tale contestazione fosse stata formulata dalla società espressamente, con riguardo ai conteggi, sia nella memoria difensiva ex art. 416 c.p.c. che nel ricorso in appello, richiedendo anche prova testimoniale contraria a quella dedotta a controparte e ctu contabile.

8.10 Con il decimo motivo di ricorso Gruppo Coin s.p.a., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 414 e 416 c.p.c. in relazione agli artt. 2107, 2108, 2099 e 2697 c.c. nonchè art. 112 c.c.n.l., in cui sarebbe incorso il giudice d’appello fondando la propria decisione di conferma della sentenza di primo grado, in ordine al riconoscimento delle ore di lavoro straordinario e ai trattamenti retributivi sulla non contestazione della società, che nel caso di specie non poteva essere ritenuta a fronte della genericità delle allegazioni del ricorrente.

8.11. Con l’undicesimo motivo di ricorso la società ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per la definizione del giudizio, in cui sarebbe incorsa la corte non considerando che dalle buste paga in atti si evinceva che il resistente aveva goduto di ex festività e ROL e nell’errore che avrebbe commesso nel valutare i fogli presenza, da cui non emergeva il numero di ore svolte.

9. Il ricorso di B.L. è infondato.

9.1. Preliminarmente deve essere rilevato che tutte le censure proposte contengono la contemporanea deduzione di violazioni di leggi e vizio di motivazione, il che già denota un primo profilo di inammissibilità, non consentendo, di per sè, d’individuare quali argomentazioni siano riferibili all’art. 360 c.p.c., n. 3 e quali al all’atr. 360 c.p.c., n. 5.

Questa Corte ha, in più occasioni, chiarito che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass. 23 settembre 2011 n. 19443)

9.2. Inoltre, per la parte in cui, tutti i motivi di ricorso, richiamando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, prospettano vizi della motivazione della sentenza impugnata, gli stessi trascurano di considerare che la sentenza impugnata è sottoposta, ratione temporis, al regime del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nonchè dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., che preclude il ricorso per cassazione “avverso la sentenza di appello che conferma la sentenza di primo grado” laddove la prima sia “fondata sulle stesse ragioni, inerenti le questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata”.

Pertanto sono inammissibili censure che lamentano difetti di motivazione, di per sè non più sindacabili in sede di legittimità, senza tenere in alcun conto le prescrizioni imposte da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, le quali escludono che possa essere rivalutato l’accertamento e la ricostruzione della vicenda storica per come effettuata dai giudici del merito, anche attraverso il riferimento al materiale probatorio esaminato da costoro.

In particolare, tutti gli accertamenti in fatto (circa la sussistenza dei motivi di licenziamento, circa il demansionamento), compiuti dai giudici a cui sono riservati, non possono, per il vincolo normativo imposto dall’art. 348 ter c.p.c., u.c. essere sottoposti al sindacato da questa Corte in caso di pronuncia c.d. doppia conforme (v. Cass. n. 23021 del 2014), come nel caso di specie, quanto al demansionamento, al risarcimento conseguente, nonchè quanto al licenziamento, e alla maggior parte delle differenze retributive con eccezione del “benefit” dell’autovettura aziendale (riconosciute in grado appello) e delle somme a titolo indennità di trasferimento ex art. 16 ccnl ed a titolo di differenze sul t.f.r. (escluse in grado di appello).

9.3. Ciò premesso, risultano inammissibili il primo, secondo e quinto motivo di ricorso del B., con cui il ricorrente contesta la valutazione conforme compiuta dai giudici di merito quanto alla legittimità del licenziamento, per la sussistenza della giusta causa, e alla sua proporzionalità (primo e secondo motivo), risultando assorbiti i motivi relativi alle domande di risarcimento dei danni scaturenti dal licenziamento stesso (di cui al quinto motivo).

9.3.1. Ed infatti la Corte di appello, concordemente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, ha considerato legittimo il licenziamento del dirigente per la sua grave insubordinazione (egli aveva ordinato ad un suo collaboratore, tale R., di intraprendere un viaggio da Roma a Firenze, durante l’orario di lavoro, per consegnargli il personal computer mentre era assente per malattia, eludendo l’esplicito il divieto posto al R., dal Re., superiore del B., ed incaricando lo Z., diverso collaboratore, con richiesta a quest’ultimo di non comunicare a Re. della trasferta, cfr. pag. 14 sentenza impugnata) e per aver tenuto un comportamento contrario a buona fede sottraendosi, sine die, in ragione della malattia, dall’audizione che aveva richiesto a sua difesa, in un luogo vicino alla sua residenza, nonostante fosse emerso dagli atti la sua abilità a guidare l’automobile e a recarsi dal medico da solo.

9.3.2. Appare il caso di aggiungere, peraltro che il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non è censurabile in sede di legittimità, ove, come nel caso di specie, sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (ex pluribus: Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003).

9.3.3. E’ evidente che tali valutazioni, di merito, adeguatamente motivate dalla corte di appello sulla base di una analitica e approfondita disamina delle emergenze processuali (cfr. pag 12 e ss. della sentenza impugnata) non possono essere nuovamente poste in discussione in questa sede.

9.3.4. Nè, per le stesse ragioni, risulta ammissibile la domanda con la quale, in via subordinata, il B. ha chiesto la conversione d’ufficio in licenziamento per “giustificato motivo soggettivo” domanda che non appare neppure formulata in appello e risulta per la prima volta proposta in questa sede.

9.3.4. Conclusivamente, i motivi esaminati sono palesemente inammissibili perchè, nonostante la veste formale della denuncia di violazioni di legge e di contratto, nella sostanza lamentano un errato apprezzamento da parte dei giudici di merito della vicenda storica che ha dato origine alla controversia, con una richiesta di riesame della quaestio facti che è preclusa in questa sede di legittimità, tanto più nella vigenza, come ne caso in esame, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, come rigorosamente interpretato da Cass. SS. UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.

9.4. I restanti motivi proposti dal B. sono a loro volta infondati.

9.5. In particolare, è infondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente invoca il proprio diritto ai cd. rimborsi spese, esclusi in appello poichè il giudice, esaminando atti e documenti, non ha ritenuto provati i fatti costitutivi del rimborso (cfr. pag. 20 della sentenza impugnata).

Secondo il ricorrente avrebbe errato la corte territoriale ad escludere il diritto al pagamento dei rimborsi che risultava dai documenti prodotti in giudizio (buste paga e doc. 30), poichè tali emolumenti, essendo stati corrisposti continuativamente per anni e sospesi ingiustificatamente e unilateralmente, rivestivano natura retributiva e avrebbero dovuto, in subordine, essere erogati almeno in base al principio di affidamento o come diritti quesiti.

Il ricorrente, tuttavia, a fronte della motivazione della corte che, considera le voci come rimborsi di spese ed evidenzia l’assenza di alcuna deduzione circa le spese cui riferire il rimborso, si sottrae all’onere di specificazione dei motivi di ricorso, non solo non allegando o localizzando i documenti richiamati, ma altresì non riportando i passaggi degli atti difensivi in cui avrebbe evidenziato e allegato la natura retributiva degli emolumenti richiesti e i fatti da cui la stessa doveva essere desunta, aspetto imprescindibile quanto alle doglianze dedotte in sede di legittimità (che risultano quindi infondate anche con riguardo alle domande subordinate, per le stesse ragioni e che – peraltro – appaiono, in base alla lettura degli atti, domande nuove).

Questa corte ha più volte chiarito come è necessario che il ricorso riporti il contenuto dell’atto su cui si fonda il motivo (Cass. n. 4980 del 2014),

trascrivendolo o riassumendolo (per tutte v. Cass. n. 15628 del 2009), quanto meno nelle parti essenziali cui si riferiscono le censure proposte (Cass. n. 2966 del 2011; Cass. n. 22303 del 2008), e che non può ritenersi sufficiente il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Cass. SS. UU. n. 23019 del 2007).

Il rispetto dell’onere di sufficiente specificazione dei motivi di ricorso risulta fondato sull’esigenza di procedere alla preliminare verifica di ammissibilità del motivo di ricorso mediante accertamento della rilevanza e decisività del vizio denunciato rispetto alla pronuncia impugnata per cassazione, senza che il giudice di legittimità debba procedere ad un esame dei fascicoli dei ufficio o di parte ove tali atti siano contenuti (Cass. 7 marzo 2018, n. 5478, Cass. SS.UU. 11 aprile 2012, n. 5698, Cass. n. 1170 del 2004, n. 4905 del 2003, n. 9079 del 2003, n. 15124 del 2001, n. 86 del 2012, Cass. SS.UU. n. 28547 del 2008).

9.5.1. Ciò a tacere del fatto che, anche con riguardo al motivo in esame, per se, il ricorrente si sottrae agli oneri di allegazione richiesti, come interpretati dalla giurisprudenza di questa corte, che insegna come il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione” (Cass., sez. III, 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass., sez. VI, 26 giugno 2013, n. 16038; Cass., sez. lav., 7 ottobre 2014, n. 21083).

E’ evidente, infatti, che anche in questo caso, il ricorrente deduce in realtà un vizio della motivazione, sia pure prospettando formalmente anche una violazione di legge, così incontrando lo sbarramento posto dagli oneri di deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in accordo alla nuova formulazione dello stesso, che non risultano rispettati.

9.6. Analoghe considerazioni possono essere svolte per il quarto motivo di ricorso, che a sua volta incorre nel difetto di specificità sopra esposto, poichè rinvia a documenti non prodotti nè “localizzati” per contestare la decisione della corte territoriale che ha ritenuto come i criteri in base ai quali viene richiesta la differenza di T.F.R. non sono stati esplicitati dal ricorrente (che, chiedendo l’annullamento di tale decisione, non si confronta realmente con la stessa poichè non allega in quali atti difensivi tale specificazione sia contenuta).

9.6. Infine è inammissibile il sesto motivo con il quale il ricorrente si duole del mancato accoglimento della sua doglianza volta ad evidenziare il mero errore materiale e di calcolo che avrebbe commesso il Tribunale nella liquidazione del danno alla professionalità, respinta dalla corte territoriale, nonostante la natura materiale dell’errore fosse evidente.

Ed infatti, anche riguardo tale motivo, egli omette di riportare i documenti rilevanti, violando l’onere di specificità sopra ampiamente descritto, mentre la Corte di appello, sul punto, rileva l’avvenuto passaggio in giudicato interno, poichè la statuizione del Tribunale sul punto era contenuta nella sentenza parziale ed il B. non impugnò il relativo capo, per il quale pure era risultato vittorioso in linea generale, non proponendo appello incidentale quanto alla quantificazione che assumeva errata (cfr. pag. 23 sent. appello).

10. Anche il ricorso presentato da COIN è infondato.

10.1. Il primo, terzo, quinto, sesto, nono e undicesimo motivo, tutti proposti ai sensi dell’art. 360, n. 5 riguardo ai capi relativi al demansionamento e al danno conseguente (primo, terzo, quinto, sesto) e alle differenze retributive riconosciute dai giudici di merito (nono e undicesimo) sono inammissibili poichè proposti in relazione a pronuncia della Corte di appello conforme alla sentenza di primo grado, per le ragioni spiegate sub 9, in violazione dell’art. 348 bis c.p.c., u.c..

E, in ogni caso, dalla mera lettura dei motivi non risultano rispettati neppure in questo caso i rigorosi oneri di allegazione disegnati dalle più volte richiamate decisioni delle sezioni unite di questa corte relativamente al vizio in esame (Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici).

In particolare, la corte di appello (pag. 18 e 19), ha condiviso integralmente il giudizio del tribunale circa il demansionamento (riportato nella prima parte della sentenza a pag. 8 e 9) e la non contestazione da parte della società della eterogeneità delle mansioni (ricondotte ad un presunto accordo che sarebbe stato comunque illecito, a meno che non fosse extrema ratio per evitare il licenziamento) e ha correttamente ritenuto sussistente il danno alla professionalità.

10.2. L’ottavo motivo poi, con il quale, relativamente al benefit dell’autovettura la ricorrente si duole, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, dell’errore commesso dalla corte che non avrebbe considerato come le nuove mansioni del dirigente, non essendo itineranti, non giustificassero tale voce retributiva, risulta infondato, perchè non formulato in maniera conforme agli oneri previsti da questa corte per il vizio in esame (cfr. più volte cit. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014); è il caso di evidenziare, peraltro, che la Corte di appello ha adeguatamente motivato sul punto (cfr. pag. 20 e 21 sentenza impugnata), affermando l’irrilevanza del mutamento delle funzioni (da itineranti a stanziali) per l’attribuzione di tale “benefit”, poichè tale mutamento “è una stretta conseguenza dell’illecito demansionamento. Quindi quella somma rappresenta un danno patrimoniale risarcibile come lucro cessante”.

10.3. I restanti motivi formulati ai sensi dell’art. 360, n. 3 sono del pari infondati.

10.2.1. Il secondo motivo, con il quale Gruppo Coin s.p.a. si duole della violazione degli artt. 115, 116, 414 e 416 c.p.c. relativamente all’applicazione del principio di non contestazione da parte di entrambi i giudici di merito e dei provvedimenti di ammissione nonchè della valutazione della prova, quanto al demansionamento e alle sue conseguenze, è infondato.

Questa corte ha avuto modo di evidenziare, in più occasioni (Cass. n. 21603 del 2013) come, in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 14267 del 2006; cfr. pure Cass. 12 febbraio 2004 n. 2707, v. anche Cass. 23940 del 2017).

La corte di appello, nel concordare con I giudice di primo grado, ha evidenziato (e lo si desume anche dalla mera lettura del ricorso per cassazione) come fosse pacifico tra le parti che le mansioni fossero mutate in seguito ai trasferimenti, risultando, nella prospettiva datoriale tale mutamento (rispetto al periodo limitato a solo 4 anni di mansioni superiori) frutto di un accordo, che i giudici di merito hanno ritenuto irrilevante.

La censura, peraltro formulata genericamente, senza richiamare in maniera precisa e puntuale i passaggi ove la contestazione sarebbe avvenuta in relazione alle deduzioni avversarie, pur risultando formalmente proposta come vizio di violazione di legge, in realtà maschera, anche in questo caso, una censura per vizio di motivazione, ricadendo nelle ragioni di inammissibilità sopra ampiamente esposte.

10.2.2. Analoghe considerazioni (ossia di vizi di legittimità dedotti solo formalmente ma implicanti in concreto la deduzione di vizi di motivazione in assenza di presupposti) possono essere svolte:

– per quarto motivo e il settimo motivo del ricorso successivo, con i quali, rispettivamente, la società ricorrente contesta la valutazione della prova, concorde, da parte dei giudici di merito, in ordine al fatto del demansionamento (ossia alla valutazione della equivalenza delle mansioni, dell’accordo intercorso con il dirigente in ordine al mutamento di mansioni, e alla persistenza del ruolo di natura dirigenziale) e al danno da demansionamento;

– per il decimo motivo, pure relativo alla valutazione della prova circa l’orario di lavoro ed in trattamenti retributivi.

Al tale ultimo riguardo, in particolare, il giudice di appello, concordemente con quello di prime cure, ha escluso la genericità delle allegazioni, fornendo una ricostruzione precisa e puntuale dell’orario del ricorrente (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata), con argomentazioni che, vertendo sulla valutazione dei fatti, non sono sindacabili in sede di legittimità.

11. Per tutte le considerarsi finora svolte, entrambi i ricorsi devono essere respinti.

PQM

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2020

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