Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16507 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 04/07/2016, dep. 05/08/2016), n.16507

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 3188 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del direttore pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei

Portoghesi, n. 12, si domicilia;

– ricorrente –

contro

s.r.l. P.D.C., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dagli avvocati Piero Bellante e Roberto

Bragaglia, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del secondo

in Roma, al viale Tupini, n. 133;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, sezione 17, depositata in data 12 dicembre

2012, n. 204; udita la relazione sulla causa svolta in camera di

consiglio in data 4 luglio 2016 dal consigliere Angelina-Maria

Perrino;

sentiti per l’Agenzia l’avvocato dello Stato Anna Collabolletta e per

la contribuente l’avv. Piero Bellante;

sentito il sostituto procuratore generale ZENO Immacolata, che ha

concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

L’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha notificato alla società un avviso col quale ha recuperato iva all’importazione. Scaturiva, l’avviso, dalla contestazione dell’indebito ricorso al regime del deposito iva, utilizzato, a dire dell’ufficio, in modo virtuale, ossia senza la materiale introduzione della merce. La contribuente ha impugnato l’avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale; quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio, facendo leva anzitutto sulla mancanza di adeguata prova da parte dell’Agenzia del carattere virtuale dell’introduzione della merce nel deposito e comunque aggiungendo che l’iva è stata assolta col meccanismo dell’autofatturazione, che rappresenta modalità in tutto equivalente all’assolvimento dell’imposta in dogana.

L’Agenzia delle dogane e dei monopoli propone ricorso avverso questa sentenza, per ottenerne la cassazione, che affida ad otto motivi, cui la contribuente reagisce con controricorso, illustrato con memoria, depositando altresì nota spese.

Diritto

1 – Infondata è l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 c.p.c., in quanto, contrariamente a quanto sostenuto in controricorso, i fatti sui è quali è fondata la pretesa impositiva (riducibili all’impiego virtuale del deposito fiscale iva) sono stati compiutamente enunciati dalla ricorrente.

2.- Infondato è il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, che denuncia la nullità della sentenza per falsa applicazione del principio di non contestazione e per violazione dell’art. 115 c.p.c., in combinazione con il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 1, comma 2 là dove la Commissione ha asserito che l’ufficio non ha contraddetto l’affermazione della contribuente concernente l’introduzione dei beni nel deposito.

Ciò in quanto il giudice d’appello è giunto alla conclusione della effettiva introduzione delle merci nel deposito sulla base non del principio di non contestazione, ma del rilievo della riscontrata regolare gestione del deposito (e, quindi, delle relative annotazioni di inserzione), nonchè della accertata idoneità strutturale del magazzino sia a contenere le merci in discussione, sia ad ospitare i mezzi di trasporto. Il passo della sentenza impugnata secondo cui “la società ha affermato di avere introdotto i beni nel deposito e questa affermazione non è stata contraddetta” ha, pertanto, solo il significato che le prove riscontrate in giudizio a sostegno dell’affermazione della parte circa l’effettiva introduzione delle merci nel deposito non sono state contraddette da idonee prove contrarie. Detto passo, come visto, non costituisce dunque applicazione del principio di non contestazione e non integra la ratio decidendi.

3.-Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale l’Agenzia lamenta la violazione degli art. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione al D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis convertito con L. n. 427 del 1993, là dove il giudice d’appello non avrebbe valutato gli elementi indiziari introdotti in giudizio relativi all’inidoneità strutturale del magazzino nel quale sarebbero state introdotte le merci.

Sul piano della dedotta violazione dei criteri di riparto degli oneri probatori, il giudice d’appello non dubita che l’onere di provare l’applicabilità del regime speciale correlato all’impiego del deposito iva spetti al contribuente che intenda fruirne. La motivazione parte difatti dall’assunto che costituisce il presupposto di tale fruizione, ossia, appunto, dall’introduzione delle merci nel deposito. Quel che il giudice d’appello assume non provato è un fatto impeditivo – l’onere della prova del quale, secondo il regime dinamico di distribuzione, spetta all’Agenzia -, dato dalle caratteristiche di tale introduzione, che secondo l’ufficio è stata virtuale, mentre secondo la società è stata fisica.

3.1. – La valutazione è stata svolta dalla Commissione tributaria regionale in maniera complessiva e comparativa, facendo leva sull’idoneità dei locali, che ha ritenuto idonei allo scopo di ricezione e stoccaggio della merce, in base alle misurazioni compiute dalla polizia giudiziaria, nonchè sulla regolarità della gestione del magazzino.

Ne consegue che il giudice d’appello ha adeguatamente esaminato il fatto storico decisivo in questione, a nulla rilevando che non abbia esaminato tutte le risultanze probatorie, segnatamente quelle enunciate dall’Agenzia col ricorso (principio pacifico, per l’espressione del quale vedi, fra varie, Cass. 11910/15; ord. 2498/15; ord. 701/15).

4. – Questa adeguata valutazione spoglia di decisività gli elementi addotti dall’Agenzia, riverberandosi sull’inammissibilità del terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, col quale essa denuncia appunto l’omesso esame circa il fatto decisivo della natura virtuale e non fisica dell’introduzione della merce nel deposito.

5. – Inammissibile è altresì il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, col quale l’ufficio lamenta l’insufficienza della motivazione circa il fatto controverso e decisivo delle caratteristiche dell’introduzione della merce nel deposito.

Esso s’infrange contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (all’impugnazione della sentenza, depositata il 12 dicembre 2012, si applica il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo il quale la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., sez.un., 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 nonchè, tra varie, ord. 9 giugno 2014, n. 12928 e sez.un. 19881 del 2014). In definitiva, ha ulteriormente precisato questa Corte (Cass., sez. un., 10 luglio 2015, n. 14477), la nuova previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 legittima solo la censura per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione.

6. – Infondato è poi il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, col quale l’Agenzia denuncia la contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, là dove per un verso il giudice d’appello ha affermato che l’Agenzia non ha fornito prova che le merci non sono state introdotte nel magazzino, ma, per altro verso, ha fatto leva, in senso opposto, su alcune autofatturazioni di data anteriore alle importazioni. Nessuna contraddizione è difatti predicabile, in quanto gli argomenti sono addotti a sostegno di diversi ragionamenti, relativi a distinte autofatturazioni.

7. – Fondato è, invece, il sesto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c, comma 1, n. 4, col quale l’ufficio si duole della nullità della sentenza, là dove la Commissione, benchè in motivazione abbia dato conto della parziale fondatezza della pretesa dell’ufficio, l’abbia poi in dispositivo completamente disattesa.

In effetti, con la sentenza impugnata la Commissione tributaria regionale espressamente fa salva la pretesa impositiva relativa a “quelle autofatturazioni la cui data risulta anteriore alle importazioni”, pur rigettando completamente l’appello dell’Agenzia, che aveva impugnato la sentenza di primo grado la quale, a sua volta, aveva integralmente accolto il ricorso introduttivo.

8. – Infondati sono, invece, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso, da esaminare congiuntamente, perchè strettamente connessi, con i quali, rispettivamente, l’Agenzia lamenta, in entrambi i casi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

– la violazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 bis convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, del principio di divieto dell’abuso del diritto e dell’art. 2697 c.c., sostenendo che gravi sulla società l’onere di provare la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del beneficio fiscale invocato, nonchè della dimostrazione di ragioni economicamente apprezzabili del deposito infragiornaliero -settimo motivo;

– la violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 17 e artt. 67 – 70 in relazione al suddetto D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis sostenendo che l’autofatturazione non possa costituire adempimento sostitutivo dell’assolvimento dell’iva dovuta al momento dell’importazione – ottavo motivo.

A fondamento della censura v’è, da parte dell’ufficio, l’esclusione dell’assimilazione dell’iva all’importazione e di quella interna.

Quest’impostazione è errata.

Va premesso che non è destinata ad incidere sulla questione l’ordinanza interlocutoria n. 9278/16, con la quale la sesta sezione civile di questa Corte ha sottoposto alla Corte di giustizia, in una fattispecie similare a quella in esame, la questione dell’applicabilità del preventivo contraddittorio prima dell’irrogazione di sanzione D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13 dando per scontata l’applicabilità della normativa doganale, anzitutto per la natura interlocutoria della pronuncia e poi perchè verosimilmente in quel caso non era stata proposta la questione della natura dell’iva all’importazione.

Il sistema dell’iva alle importazioni è per sua natura incardinato in quello generale dell’iva: “l’iva all’importazione è intesa, al fine di garantire la neutralità del sistema comune rispetto all’origine dei beni, a porre i prodotti importati nella stessa situazione dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali gravanti sulle due categorie di merci” (Corte giust. 25 febbraio 1988, causa C299/86, Rainer Drexl, pronunciata su pregiudiziale italiana, punto 9).

Il che ne evidenzia la natura di tributo interno, in quanto l’iva all’importazione non colpisce esclusivamente il prodotto importato in quanto tale, ma s’inserisce nel sistema fiscale uniforme dell’iva, che colpisce sistematicamente e secondo criteri obiettivi sia le operazioni degli Stati membri, sia quelle all’importazione (Corte giust. 5 maggio 1982, causa C- 15/81, Schul, punto 21): difatti, a norma dell’art. 12, comma 5, della sesta direttiva, “l’aliquota applicabile all’importazione di un bene è quella applicata alla fornitura di uno stesso bene effettuata all’interno del paese”; norma, questa, la quale trova rispondenza nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 69 che, ai fini della determinazione dell’iva all’importazione, richiama l’applicabilità delle “aliquote indicate nell’art. 16”.

La natura interna del tributo non ne consente l’assimilazione ai dazi, anche se l’iva all’importazione condivide con essi la caratteristica di trarre origine dal fatto dell’importazione nell’Unione e della susseguente introduzione nel circuito economico degli Stati membri (Corte giust. 11 luglio 2013, in causa C-272/12, Harry Winston SA, punto 41), con la conseguenza che fatto generatore ed esigibilità dell’iva all’importazione sono collegati a quelli dei dazi, pur rimanendo da questi distinti.

8.1. – L’iva all’importazione non è, in definitiva, un tributo a sè stante; è, semplicemente, rispetto all’iva intracomunitaria, segnata da specificità procedimentali e sanzionatorie, correlate al meccanismo dell’importazione:

– sul piano procedimentale, l’iva alle importazioni va versata per effetto ed in occasione di ciascuna importazione (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70: “l’imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione”), al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana ed il relativo obbligo incombe sul dichiarante, anche soggetto privato, oltre che, in caso di rappresentanza indiretta, sulla persona per conto della quale è presentata la dichiarazione in dogana (art. 201 del regolamento 12 ottobre 1992, n. 2913); l’iva “intracomunitaria” relativa alle merci introdotte nel deposito va assolta al momento dell’estrazione mediante il meccanismo dell’inversione contabile ed a cura del cessionario o committente che sia soggetto passivo iva;

– su quello sanzionatorio, l’applicabilità, in caso di violazioni concernenti l’iva all’importazione, delle sanzioni contemplate dalle leggi doganali (art. 70, comma 1, secondo nucleo normativo, cit.) è giustificata dalla diversità degli elementi costitutivi dell’infrazione (l’iva è riscossa all’atto dell’ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, indipendentemente dallo scambio), che determina maggiore difficoltà a scoprirla (Corte giust. in causa C299/86, punto 22).

Che l’iva all’importazione e l’iva intracomunitaria identifichino la medesima imposta emerge anche dalla sentenza Equoland della Corte di giustizia (Corte giust. 17 luglio 2014, causa C.272/13), là dove vi si legge che la violazione dell’obbligo formale d’introduzione fisica delle merci nel deposito “non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell’IVA all’importazione poichè questa è stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo” (punto 37).

Ulteriore conferma della natura interna si rinviene nella giurisprudenza penale di questa Corte, la quale è giunta ad escludere che l’iva all’importazione sia un diritto di confine, giustappunto in base al tenore del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 che rimanda alle disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine soltanto per quanto concerne le controversie e le sanzioni, ossia quoad poenam (tra varie, Cass. pen. 7 settembre 2012, n. 34257, Colombini).

8.2. – In questo contesto, l’assolvimento dell’imposta, sia pure tardivo, mediante il congegno dell’inversione contabile, in mancanza di specifiche deduzioni da parte dell’ufficio, esclude la configurabilità di un meccanismo frodatorio. Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, difatti, l’inversione contabile è utile modo di assolvimento dell’iva all’importazione/intracomunitaria: la Corte di giustizia, nella causa Equoland dinanzi richiamata, ha stabilito che “la sesta direttiva dev’essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo” (punto 49 e dispositivo).

Nè è prospettabile, già in tesi, un congegno elusivo o frodatorio in ragione del deposito infragiornaliero, in quanto, anche in caso d’inapplicabilità del regime speciale (e non già, come enuncia l’ufficio, del beneficio fiscale) correlato all’impiego del deposito iva per effetto del deposito infragiornaliero, nessun vantaggio altrimenti non ottenibile avrebbe avuto la contribuente, la quale, invece, sarebbe incorsa nella violazione sanzionabile del tardivo assolvimento dell’imposta.

9. – La sentenza va quindi cassata soltanto con riguardo al profilo coinvolto dal sesto motivo di ricorso, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana in diversa composizione, la quale riesaminerà le ipotesi di autofatturazione menzionate dalla sentenza.

10.- L’esito del giudizio comporta l’assorbimento dei profili sollevati in memoria, tutti attinenti agli aspetti sanzionatori, i quali saranno esaminati dal giudice di rinvio limitatamente ai profili ad esso devoluti.

PQM

la Corte:

rigetta il primo, il secondo, il quinto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso; dichiara inammissibili il terzo ed il quarto motivo; accoglie il sesto motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della toscana in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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