Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16506 del 05/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 05/07/2017, (ud. 05/05/2017, dep.05/07/2017),  n. 16506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9471/2014 proposto da:

LABORATORIO ANALISI CHIMICO-CLINICHE S. MARCO DI F S. E C SNC, in

persona del prof. S.F., S.F., elettivamente

domiciliati in ROMA, V.LE BRUNO BUOZZI 107, presso lo studio

dell’avvocato ENRICO ELIO DEL PRATO, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati MARCELLO MAGGIOLO, VITTORINO PIETROBON

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA ULSS (OMISSIS) della REGIONE VENETO, in persona del

Commissario Direttore Generale pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA F. CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANZI, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARIO TESTA giusta procura speciale a margine del controricorso;

GESTIONE LIQUIDATORIA EX USL (OMISSIS) della REGIONE VENETO, in

persona del Commissario Liquidatore nonchè Commissario Direttore

Generale pro tempore dell’attuale Azienda ULSS N. (OMISSIS) della

Regione Veneto, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO TESTA giusta procura

speciale a margine del controricorso;

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO TESTA giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

REGIONE VENETO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2333/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 09/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCELLO MAGGIOLO;

udito l’Avvocato GIANLUCA CALDERARA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata il 28 marzo 2001, il Laboratorio di Analisi Cliniche S. Marco di F. S. e c. snc e S.F. personalmente convennero in giudizio dinanzi al tribunale di Venezia la Azienda Ulss n. (OMISSIS) del Veneto, la Gestione Liquidatoria ex Ulss n. (OMISSIS) di Chioggia, il suo amministratore straordinario B.C. e la Regione Veneto, deducendo che:

– nel 1978, dopo l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, il Laboratorio S. Marco di F. S. e c. snc e la Usl n. (OMISSIS) di Chioggia avevano stipulato una convenzione per la fornitura di prestazioni sanitarie agli utenti del relativo comprensorio, remunerate dalla Usl nella misura del 18%;

– il rapporto era regolato dalla L. n. 833 del 1978, art. 25, comma 8 (come modificato dal D.L. n. 678 del 1981, art. 3, convertito nella L. n. 12 del 1982) secondo cui “l’utente può accedere agli ambulatori e strutture convenzionate per le prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio per le quali, nel termine di tre giorni – poi aumentati a quattro con L. n. 67 del 1988 – le strutture pubbliche non siano in grado di soddisfare la richiesta di accesso alle prestazioni stesse. In tal caso l’unità sanitaria locale rilascia immediatamente l’autorizzazione”;

– nella gestione della convenzione la Usl si era resa responsabile nel corso del tempo di diversi comportamenti illeciti, rilevanti sotto il profilo contrattuale ed extracontrattuale, da cui erano conseguiti pregiudizi patrimoniali che avevano condotto al fallimento della società, dichiarato con sentenza del 4 aprile 1996;

– questi comportamenti, precisamente, erano raggruppabili in tre ordini:

1- in primo luogo, a far tempo dal 1983, sulla base di un’erronea e scorretta interpretazione della norma regolatrice surrichiamata, era stata instaurata una prassi ingiustificatamente restrittiva in ordine al rilascio agli utenti dell’autorizzazione ad accedere alla struttura privata convenzionata, subordinandosi tale possibilità all’eventualità, invero remota, che, nel termine stabilito dalla norma, la struttura pubblica non fosse stata in grado di eseguire il prelievo. Quando invece nel termine previsto la Usl fosse stata in grado di effettuare il prelievo, il paziente non sarebbe stato autorizzato a rivolgersi alla struttura convenzionata, quantunque nel termine medesimo non fosse stata altresì compiuta la successiva attività di analisi e di refertazione;

2- in secondo luogo, questa prassi illecita – interrottasi a seguito della stipulazione, in data 5 maggio 1987, di una transazione con cui la Usl si era obbligata nei confronti del Laboratorio non solo a riparargli il danno pregresso (mediante versamento della somma di 250 milioni di Lire per ogni anno di inadempimento) ma anche a rilasciare agli utenti l’autorizzazione ad accedere alla struttura convenzionata in tutti i casi in cui nel termine previsto non fosse stata in grado di fornire la complessiva prestazione sanitaria e di consegnare il referto finale – era ripresa a partire dall’aprile 1993, con l’avvento del nuovo amministratore straordinario B.C., aggiungendosi in tal modo all’inadempimento dell’obbligo di fonte legale anche l’inadempimento dell’obbligo di fonte contrattuale;

3- in terzo luogo, a far tempo dal medesimo periodo, la Usl aveva arbitrariamente ridotto, per ragioni meramente persecutorie, i compensi erogabili al Laboratorio da Lire 700 milioni a Lire 950.000 mensili.

Sulla base di queste deduzioni, il Laboratorio di Analisi Cliniche S. Marco snc e S.F. domandarono la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, stimati in 10 miliardi di Lire.

I convenuti sollevarono eccezioni pregiudiziali di rito (in particolare eccepirono il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti di quello amministrativo in ragione dell’ascrivibilità del rapporto nascente dalla convenzione tra Usl e istituzioni sanitarie private alla materia dei pubblici servizi, devoluta alla giurisdizione esclusiva di quel giudice) e preliminari di merito (in particolare, l’eccezione di prescrizione); con riguardo al merito in senso proprio, resisterono alla domanda, che fu rigettata dal tribunale adito con sentenza confermata dalla Corte di Appello di Venezia, sulla base, per quel che ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

– l’interpretazione data dalla Usl alla L. n. 833 del 1978, art. 25, comma 8, nel testo modificato dal D.L. n. 678 del 1981, art. 3, doveva ritenersi corretta, militando in tal senso sia il criterio letterale (essendo l’autorizzazione a rivolgersi alla struttura privata subordinata al presupposto che quella pubblica non sia in grado di soddisfare nel termine “la richiesta di accesso alle prestazioni” sanitarie da parte del paziente) sia il criterio logico (avuto riguardo alla circostanza che per molte prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio 4 giorni non sono tecnicamente sufficienti per avere il referto) e non ostando a tale interpretazione – peraltro fatta propria anche dalla giurisprudenza amministrativa in diverse pronunce l’esigenza di tutela del diritto alla salute degli utenti, debitamente tenuto in considerazione dalla norma regolatrice nella parte in cui consente la possibilità di accedere alle strutture convenzionate in seguito al mancato immediato soddisfacimento della richiesta presso quelle pubbliche nei casi di richiesta urgente motivata da parte del medico in relazione a particolari condizioni di salute del paziente (L. n. 833 del 1978, art. 25, comma 9, nella formulazione modificata dal D.L. n. 678 del 1981, art. 3);

– non sussisteva il dedotto inadempimento alla transazione stipulata nel 1987, tenuto conto, per un verso, della circostanza che questo negozio non aveva vita autonoma ma era funzionalmente collegato al rapporto pubblicistico di convenzione di cui seguiva le vicende giuridiche; per altro verso, del fatto che la convenzione si era estinta proprio nel momento in cui sarebbe iniziata la violazione degli obblighi nascenti dalla transazione, in base al disposto della L.R. Veneto 27 gennaio 1993, n. 8, art. 10 (emessa nella cornice della legge statale n. 412/1991), secondo cui le convenzioni stipulate dalle Usl con strutture private di persone fisiche o società sarebbero cessate a far data dal 31 marzo 1993;

– generico, e dunque inammissibile ai sensi dell’art. 342 c.p.c., era il motivo di gravame proposto avverso la specifica statuizione con cui il primo giudice aveva escluso l’illiceità della riduzione del budget da Lire 700 milioni a Lire 950.000 mensili, in quanto fondato unicamente sul rilievo che “l’assunto del tribunale secondo cui si sarebbe trattato di una conseguenza dell’interpretazione data alla normativa non trovava alcun sostegno”;

– infondato, infine, era l’ulteriore motivo di appello con cui era stata censurata la statuizione della sentenza di primo grado circa l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento del danno extracontrattuale, la quale era stata emessa ad abundantiam, posto che l’eccezione di prescrizione doveva ritenersi assorbita dalla pronuncia di rigetto intervenuta sul merito in senso proprio; in ogni caso, avuto riguardo alla data di notificazione dell’atto di citazione (28 marzo 2001), avrebbero dovuto reputarsi comunque estinti i diritti derivanti dai comportamenti asseritamente illeciti commessi negli anni 1993 e 1994, la cui prescrizione non sarebbe stata interrotta neppure dalla precedente lettera raccomandata del 14 dicembre 1999, tra l’altro prodotta (tardivamente) solo in sede di appello, e dovendosi inoltre ritenere per un verso inammissibile (perchè oggetto di deduzione “nuova” in sede di impugnazione) e per altro verso infondato (stante la reciproca autonomia dei comportamenti denunciati come illeciti) il rilievo di parte appellante secondo cui si sarebbe trattato di un unico illecito permanente cessato solo con la dichiarazione di fallimento del 4 aprile 1996.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia propongono ricorso per cassazione il Laboratorio Analisi S. Marco di F. S. e c. snc, nonchè S.F. in proprio, affidandosi a quattro motivi.

Rispondono con distinti controricorsi l’Azienda Ulss n. (OMISSIS) della Regione Veneto, la Gestione Liquidatoria ex Ulss n. (OMISSIS), B.C.. Non svolge attività difensiva la Regione Veneto.

I ricorrenti hanno depositato memorie; i controricorrenti hanno depositato distinte memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In tutti i controricorsi viene riproposta l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti di quello amministrativo, già rigettata dalla Corte di Appello.

1.1. Essa non può essere nuovamente esaminata in questa sede, dovendosi ritenere sceso il giudicato sulla statuizione negativa resa dalla Corte territoriale, la quale avrebbe dovuto essere impugnata con ricorso incidentale (Cass. Sez. U. 28/01/2011, n. 2067; Cass. Sez. U 11/04/2012, n. 5704).

2. Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 32 Cost.; L. n. 833 del 1978, artt. 25 e 19, come modificata dal D.L. n. 678 del 1981, conv. in L. n. 12 del 1982; dell’art. 12 preleggi (art. 360 c.p.c., n. 3) i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto corretta l’interpretazione data dalla Usl alla disposizione contenuta nella L. n. 833 del 1978, art. 25, comma 8. Deducono che gli stessi criteri esegetici (da quello letterale a quello logico) richiamati dal giudice di merito avrebbero piuttosto dovuto indurre a sposare la contraria interpretazione secondo la quale la UsI avrebbe dovuto ritenersi obbligata ad autorizzare gli utenti a rivolgersi alle strutture convenzionate se nel termine di 4 giorni non fosse riuscita ad assicurare la completa prestazione sanitaria, comprensiva di prelievo, analisi e referto. Sotto il profilo logico, sottolineano, in particolare, che il presupposto di fatto richiamato dalla Corte territoriale a fondamento dell’interpretazione avversata sarebbe erroneo, non essendovi alcuna prestazione di laboratorio (tranne quella relativa all’esame colturale del bacillo di Koch, funzionale alla diagnosi della tubercolosi) per la quale non sia tecnicamente sufficiente il tempo di 4 giorni.

2.1. Il motivo è infondato.

Il D.L. 26 novembre 1981, n. 678, art. 3, convertito, con modificazioni, nella L. 26 gennaio 1982, n. 12, ha stabilito modificando in tal senso la L. 23 dicembre 1978, n. 533, art. 25, comma 8 – che l’utente può essere autorizzato ad effettuare analisi di laboratorio presso strutture private convenzionate, nel caso in cui la struttura pubblica non sia in grado, nel termine stabilito, di soddisfare “la richiesta di accesso alle prestazioni”.

L’espresso riferimento alla richiesta di “accesso” induce a ritenere che la disposizione vada interpretata nel senso che la struttura sanitaria pubblica non è tenuta a dare l’autorizzazione allorchè riesca, nel termine previsto, ad effettuare il prelievo, non essendo necessario che nello stesso termine vengano completate le analisi e consegnato il referto.

La tesi interpretativa contraria, secondo cui l’obbligo di autorizzazione scatterebbe ogni volta che la struttura pubblica non riesca (non solo ad iniziare ma anche) a completare la prestazione sanitaria, non tiene conto della particolare brevità del termine (originariamente di tre giorni, poi aumentati a quattro dalla legge 11 marzo 1988, n. 67), la quale, in ipotesi di accoglimento della tesi medesima, escluderebbe in radice la possibilità di eseguire presso la struttura pubblica le analisi tecnicamente più lunghe e complesse. In proposito, non appare pertinente l’obiezione secondo cui l’unica prestazione di laboratorio richiedente un tempo tecnico superiore a quattro giorni sarebbe quella consistente nell’esame colturale del bacillo di Koch; tale obiezione, infatti, anche se fosse fondata, non inficerebbe la correttezza logica del rilievo che l’accesso all’opzione interpretativa invocata dai ricorrenti determinerebbe la concreta impossibilità di eseguire presso la struttura pubblica le analisi, in ipotesi limitate a quelle consistenti nell’analisi colturale del bacillo di Koch, richiedenti un tempo tecnico superiore a quattro giorni.

Neppure appare pertinente l’obiezione, già correttamente confutata dalla Corte di Appello, secondo cui l’opzione interpretativa fatta propria dalla Usl contrasterebbe con l’esigenza di tutela del diritto alla salute degli utenti, costretti ad attendere per un tempo indefinito la consegna del referto senza potersi rivolgere, se non a proprie spese, alle strutture private. Come è stato esattamente osservato dalla Corte di merito, infatti, il legislatore si è fatto carico di tale esigenza prevedendo una disciplina specifica e differenziata per l’ipotesi di richiesta urgente motivata da parte del medico in relazione alle particolari condizioni di salute del paziente, nel qual caso il mancato immediato soddisfacimento della richiesta presso le strutture pubbliche equivale ad autorizzazione ad accedere a quelle convenzionate (L. n. 833 del 1978, art. 25, comma 9, come modificato dal D.L. n. 678 del 1981, art. 3, comma 4).

In favore della correttezza della tesi interpretativa contestata dai ricorrenti milita, infine, anche un ulteriore argomento, fondato sull’individuazione dell’origine storica della norma e sulla sua successiva evoluzione. Come è stato ricordato dagli stessi ricorrenti, in un primo momento all’attuazione della L. n. 833 del 1978, art. 25, in ordine alla distribuzione dei compiti tra le UsI e le strutture private convenzionate, si era provveduto attraverso l’accordo collettivo nazionale reso esecutivo dal D.P.R. 16 maggio 1980, il cui art. 3, aveva stabilito che le strutture pubbliche fossero tenute ad autorizzare gli utenti all’accesso alle strutture private convenzionate nell’ipotesi in cui non fossero in grado di soddisfare entro tre giorni la “richiesta di prestazioni”. Questa norma era stata successivamente recepita nel D.L. n. 678 del 1981, art. 3, comma 3, con il quale era stato modificato la L. n. 833 del 1978, citato art. 25. Nel trasformare la norma contrattuale in norma di legge il legislatore aveva peraltro sostituito l’espressione “richiesta di prestazioni” con l’espressione “richiesta di accesso”, poi divenuta, in sede di conversione del decreto legge, “richiesta di accesso alle prestazioni”. Orbene, è evidente che tale modifica non può essere considerata priva di significato dall’interprete, dovendosi piuttosto ritenere che se il legislatore ha sentito l’esigenza di modificare il testo della disposizione, tale esigenza sia stata dettata dall’intenzione di mutarne, sia pure parzialmente, la portata precettiva, sganciando l’obbligo di autorizzazione dal mancato completamento della prestazione sanitaria ed agganciandolo al mancato inizio della medesima.

Deve quindi ribadirsi la correttezza dell’interpretazione data dalla Usl alla disposizione contenuta nella L. n. 833 del 1978, art. 25, comma 8, con conseguente rigetto del motivo di ricorso per cassazione in esame.

3. Con il secondo motivo (omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (dipendenza della transazione 5 maggio 1987 dalla convenzione tra Usl e Laboratorio, con conseguente caducazione della prima per effetto della cessazione della seconda); violazione e falsa applicazione degli artt. 1965 e 1976 c.c.; della L.R. Veneto n. 8 del 1983, art. 10; L.R. Veneto n. 43 del 1993, art. 10 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) la sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui ha escluso il dedotto inadempimento della UsI alla transazione stipulata il 5 maggio 1987, sul rilievo del collegamento funzionale asseritamente esistente tra essa e la convenzione, la cui cessazione – avvenuta in data 31 marzo 1993, giusta il disposto della L.R. Veneto n. 8 del 1993, art. 10 – avrebbe comportato anche l’estinzione della transazione.

Anzitutto, secondo i ricorrenti, la statuizione della Corte di merito sarebbe viziata per avere omesso di motivare in ordine all’ “entità”, alla “natura”, alle “modalità” e alle “conseguenze” del rilevato collegamento funzionale tra il contratto di transazione e la convenzione di diritto pubblico, omettendosi in tal modo di dare conto delle ragioni per le quali gli obblighi sorti dalla transazione avrebbero dovuto ritenersi estinti con il venir meno della convenzione.

In secondo luogo, e principalmente, la statuizione sarebbe viziata da violazione di legge per avere indebitamente ritenuto che la convenzione si fosse estinta in data 31 marzo 1993. Deducono in proposito i ricorrenti che la L.R. Veneto 27 gennaio 1993, n. 8, art. 10 (il quale aveva previsto la “cessazione”, alla predetta data, delle convenzioni concluse tra le Usl e le strutture private) era stato novellato, a distanza di alcuni mesi, dalla successiva L.R. Veneto 1 settembre 1993, n. 43, che aveva posticipato la “decadenza” delle convenzioni al 31 dicembre 1993, tra l’altro subordinandola al mancato adempimento delle ulteriori prescrizioni previste dalla norma, relative alla rideterminazione del fabbisogno delle attività specialistiche ambulatoriali convenzionate e alla ridefinizione dei rapporti tra la struttura pubblica e le strutture private. Erroneamente, pertanto, la Corte di merito, aveva ritenuto estinta la transazione alla data del 31 marzo 1993 (epoca in cui era iniziato l’inadempimento agli obblighi nascenti dalla medesima) atteso che, anche ammettendo la sussistenza di un collegamento funzionale tra il rapporto pubblicistico e il negozio privatistico, il primo non era cessato alla predetta data e, di conseguenza, non si era verificata l’estinzione del secondo.

3.1. Anche questo secondo motivo di ricorso è nella sostanza infondato, in quanto non sussiste il dedotto inadempimento contrattuale, pur dovendosi correggere, ex art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione della Corte di merito su tale specifico capo di domanda.

Premesso che, secondo le allegazioni dei ricorrenti, l’inadempimento agli obblighi derivanti dalla transazione (in particolare a quello previsto dall’art. 5 del contratto, secondo cui la Usl si impegnava ad autorizzare gli utenti a rivolgersi alle strutture convenzionate ove non fosse stata in grado di assicurare, nel termine di tre giorni, il completamento della prestazione di laboratorio, mediante la consegna del referto) non era iniziato subito dopo la stipula della stessa ma soltanto a distanza di alcuni anni, con l’avvento del nuovo amministratore straordinario B.C., ci si deve chiedere se il contegno volto a ripristinare la precedente prassi più rigorosa (che subordinava il rilascio dell’autorizzazione all’impossibilità di provvedere, nel termine di legge, all’effettuazione del prelievo), pienamente rispettoso, per quanto si è sopra detto, del dato legislativo ma obiettivamente contrario alle prescrizioni contrattuali, integrasse o meno una fattispecie di inadempimento imputabile o, in altre parole, se tale contegno, obiettivamente inadempiente, fosse o meno scriminato da un impedimento derivante da causa non imputabile al debitore.

3.2. Al riguardo deve osservarsi che la L. 30 dicembre 1991, n. 412 (legge finanziaria per l’anno 1992), aveva dettato disposizioni generali in materia di assistenza sanitaria (art. 4).

In base a tali disposizioni, al Governo era attribuito il compito di determinare, con effetto dal 1 gennaio 1992, i livelli di assistenza sanitaria da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale nel rispetto delle disposizioni di legge, delle direttive comunitarie e, limitatamente alle modalità di erogazione, degli accordi di lavoro per il personale dipendente, nonchè gli standard organizzativi e di attività da utilizzare per il calcolo del parametro capitarlo di finanziamento di ciascun livello assistenziale per l’anno 1992 (art. 4, comma 1); alle Regioni era invece attribuita la facoltà di dichiarare, con apposito provvedimento programmatorio di carattere generale, la decadenza delle convenzioni in atto per la specialistica esterna e con le case di cura, nonchè di rideterminare il fabbisogno di attività convenzionate necessarie per assicurare i livelli obbligatori uniformi di assistenza (art. 4, comma 2).

In questa cornice era stata emessa la L.R. Veneto 27 gennaio 1993, n. 8, il cui art. 10, comma 1, aveva previsto, tra l’altro: che le Unità sanitarie locali provvedessero a rideterminare il fabbisogno delle attività specialistiche ambulatoriali convenzionate per assicurare i livelli uniformi di assistenza; che le convenzioni in essere con strutture private di persone fisiche o società cessassero alla data del 31 marzo 1993; che la conclusione di nuove convenzioni fosse subordinata al previo espletamento di specifica gara di appalto tra le strutture private aventi i requisiti, sulla base di modalità definite con Delib. della Giunta regionale, sentite le associazioni di categoria; e che tanto la rideterminazione del fabbisogno di attività specialistiche ambulatoriali convenzionate quanto la proposta di rapporti convenzionati per dette prestazioni con medici specialistici e istituzioni private, fossero effettuate nel rispetto dei criteri di massima valorizzazione dei servizi ambulatoriali direttamente gestiti e di utilizzo produttivo delle strumentazioni.

Nella medesima cornice era quindi intervenuta la successiva L.R. Veneto 1 settembre 1993, n. 43, la quale, riscrivendo l’art. 10 della precedente omologa fonte normativa, ne aveva reso più puntuali le prescrizioni: ribadendo la necessità che le Usl provvedessero, nello stringente termine di 30 giorni dalla sua entrata in vigore, a rideterminare il fabbisogno di attività specialistiche ambulatoriali convenzionate (art. 10, comma 1); riaffermando l’esigenza che, nello stesso termine, le Usl ridefinissero i rapporti di convenzione in atto con i medici specialistici e le istituzioni sanitarie private nel limite di un budget finanziario predeterminato (art. 10, comma 4); e prevedendo la decadenza delle convenzioni stesse ove tali prescrizioni non fossero state osservate entro la data ultima del 31 dicembre 1993 (art. 10, comma 4-bis).

3.3. Le richiamate disposizioni di legge statale e regionale, sopravvenute alla stipula della transazione del 5 maggio 1987, erano ovviamente vincolanti per la Usl e per il suo amministratore straordinario, il quale era tenuto ad orientare la gestione della struttura pubblica nel senso indicato dalle stesse e ad osservarne le specifiche prescrizioni, in particolare con riferimento alla predeterminazione del limite di budget finanziario da fissarsi in funzione della ridefinizione dei rapporti di convenzione attualmente esistenti con le istituzioni sanitarie private gestite da persone fisiche e da società, nonchè con riguardo alla necessità che la rideterminazione del fabbisogno di attività specialistiche convenzionate fosse effettuata nel rispetto dei criteri di massima valorizzazione dei servizi ambulatoriali direttamente gestiti.

In tale prospettiva, le illustrate norme di legge costituivano un atto della pubblica autorità sopravvenuto (c.d. factum principis) che inibiva alla Usl di continuare ad adempiere alle obbligazioni precedentemente sorte dalla transazione, la cui perdurante esecuzione, sebbene non fosse divenuta impossibile dal punto di vista naturalistico, avrebbe comportato tuttavia un costo (la violazione dei precetti legislativi) che non poteva ritenersi compreso nell’impegno contrattualmente assunto.

Appare dunque irrilevante stabilire se e quando la transazione si sia estinta, dovendosi ritenere scriminato il contegno obiettivamente inadempiente della Usl dalla ineludibile necessità di rispettare le sopravvenute disposizioni legislative, la cui emanazione non poteva essere ragionevolmente prevista al momento dell’assunzione dell’obbligazione.

Ne discende il rigetto del motivo di ricorso in esame, in quanto, modificata la motivazione nel senso appena illustrato, il dispositivo della sentenza impugnata resta conforme a diritto.

4. Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 164 e 342 c.p.c.; omessa contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (la rilevanza della riduzione del budget operata dalla Usl rispetto alla domanda risarcitoria (artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)), i ricorrenti si dolgono della declaratoria di inammissibilità del motivo di appello volto a censurare la statuizione con cui il tribunale aveva ritenuto che la riduzione del budget da Lire 700 milioni a Lire 950.000 era legittima in quanto conseguenza dell’interpretazione data alla norma di cui al D.L. n. 678 del 1981, art. 3, comma 3.

Secondo i ricorrenti, tale motivo di appello erroneamente sarebbe stato ritenuto generico dalla Corte territoriale, atteso che, al contrario, esso era stato formulato sulla base del duplice specifico rilievo che la statuizione del primo giudice fosse fondata su una motivazione apodittica e che la riduzione del budget fosse invece riconducibile ad un intento persecutorio.

4.1. Questo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto i ricorrenti non hanno trascritto il motivo di appello al fine di consentire a questa Corte di valutarne la dedotta specificità sulla base del solo contenuto del ricorso, con ciò violando il consolidato orientamento secondo cui ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr., da ultimo, Cass. 11/04/2017, n. 9274).

5. Con il quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2049, 2934, 2935 c.c., nonchè dell’art. 345 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto “nuova”, e pertanto inammissibile, la doglianza circa il carattere permanente dell’illecito extracontrattuale asseritamente commesso dalla Usl, che escluderebbe la prescrizione del diritto al risarcimento alla luce del rilievo che la cessazione dell’attività dannosa sarebbe avvenuta con la sentenza dichiarativa di fallimento (4/4/1996) mentre la citazione sarebbe stata notificata il 28/3/2001, dunque prima della scadenza del termine di cinque anni previsto dell’art. 2947 c.c., comma 1.

5.1. Questo motivo è assorbito dalla pronuncia di rigetto emessa sugli altri, in virtù della quale deve escludersi che sia stata accertata la commissione degli illeciti contrattuali ed extracontrattuali denunciati dai ricorrenti, cosicchè non assume rilevanza la questione della prescrizione dei diritti risarcitori che sarebbero sorti da quegli stessi illeciti.

Del resto, la stessa Corte di merito, prima di prendere posizione sulla specifica doglianza con cui era stato dedotto il carattere permanente dell’illecito, ha affermato che le censure proposte avverso la statuizione della sentenza di primo grado che aveva ritenuto prescritto il diritto al risarcimento del danno extracontrattuale erano infondate, posto che tale statuizione era stata emessa ad abundantiam, e che l’eccezione di prescrizione doveva ritenersi assorbita dalla pronuncia di rigetto intervenuta sul merito in senso proprio. Pertanto la deduzione circa il carattere permanente dell’illecito, anche se non fosse stata “nuova”, avrebbe dovuto ugualmente reputarsi inammissibile per difetto di interesse, in quanto volta a confutare una statuizione che il giudice di primo grado avrebbe potuto anche omettere e che, in ragione del suo carattere ultroneo, non aveva oggettivamente la funzione di sorreggere la decisione, già fondata su altre decisive ragioni.

6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese del giudizio legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. La liquidazione è unica in ragione dell’unicità del rapporto processuale intercorso tra il Laboratorio snc e S.F., da un lato, e L’Azienda Ulss n. (OMISSIS), la Gestione Liquidatoria ex Ulss n. (OMISSIS) e B.F., dall’altro lato. La circostanza che i secondi abbiano resistito con distinti controricorsi e abbiano depositato distinte memorie ex art. 378 c.p.c., è poi irrilevante ai fini della liquidazione delle spese trattandosi di atti processuali dal contenuto sostanzialmente sovrapponibile.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 5 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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