Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16505 del 02/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16505 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 12157-2010 proposto da:
MANERBA S.P.A. 01935200285, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA,

VIALE PARIOLI 95, presso lo studio

dell’avvocato EPIFANI BIANCA MARIA, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CENNA
2013

PAOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1478
contro
•■•

DOLFINI

FABRIZIO

DLFFRZ68H22H501G,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA A. FABRETTI 8, presso lo

Data pubblicazione: 02/07/2013

studio dell’avvocato BOVE FILIPPO, che lo rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5142/2008 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/05/2009 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/04/2013 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato BOVE FILIPPO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilità, in subordine rigetto del
ricorso.

9196/2003;

SVOLGIMENTO DEL FATTO
1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 5142 del 2008, accoglieva,
per quanto di ragione, l’impugnazione proposta da Dolfini Fabrizio nei confronti
della società Manerba spa e condannava quest’ultima al pagamento, in favore del
primo, di complessivi euro 9.643.61, a titolo di provvigioni indirette e di provvigioni
dirette, oltre interessi dalle scadenze al saldo e rivalutazione monetaria ad oggi.
Compensava per intero le spese del doppio grado di giudizio e poneva le spese della
CTU definitivamente a carico dell’appellata.
2. Il Dolfini aveva proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di
Roma n. 25465 del 2012, con la quale lo stesso era stato condannato a pagare alla
società Manerba spa, in parziale accoglimento delle domande della medesima
formulate in primo grado, e in riferimento al pregresso rapporto di agenzia con essa
intercorso, euro 12.911,42, a titolo di penale per violazione del patto di non
concorrenza, sul presupposto che il recesso della proponente fosse stato adottato per
giusta causa, ed era stata respinta la domanda riconvenzionale, e quella per gli stessi
titoli proposta con altro ricorso poi riunito, tendenti al riconoscimento, in favore del
Dolfini ed a carico della società, delle provvigioni indirette, dell’indennità sostitutiva
di preavviso, dell’indennità di incassi, dell’indennità suppletiva di clientela, del
residuo provvigioni anno 1996, per un totale di £ 61.926.096.
3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la società
Manerba spa, prospettando tre motivi di ricorso.
4. Resiste con controricorso il Dolfini, che ha depositato memoria in
prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione del controricorrente di
inammissibilità del ricorso in quanto i motivi sarebbero inidonei ad assumere
rilevanza ai fmi della decisione.
Ed infatti, gli stessi sono formulati in modo compiuto e attengono alle
statuizioni della sentenza d’appello impugnata.
2. Con il primo motivo di ricorso, assistito dal prescritto quesito di diritto,
articolato in due punti, la società Manerba spa deduce violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2697 cc, degli artt. 210 e 421 cpc, in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 3, cpc, in ordine alla ripartizione dell’onere della prova
sull’esistenza del diritto alle provvigioni dirette ed indirette e sulla conseguente
illegittimità dell’ordine di esibizione delle scritture contabili in capo alla proponente.
Occorre ricordare, in proposito, che la Corte d’Appello, nel censurare la
decisione del Tribunale di non disporre la richiesta esibizione, essendo onere
dell’agente di provare i fatti costitutivi, ha affermato che nel giudizio promosso
dall’agente contro la ditta preponente per l’accertamento del suo diritto al
pagamento delle provvigioni dirette ed indirette sugli affari conclusi, è legittimo
l’ordine di esibizione, ex art. 210 cpc, delle scritture contabili impartito dal giudice
di merito alla medesima preponente. Pertanto, con ordinanza collegiale, ordinava, al
fine di superare le insufficienze della documentazione fornita dalla società al proprio
agente (art. 2 del d.lgs. n. 303 del 1991), l’esibizione delle fatture, o di
documentazione contabile equipollente, relativa alle vendite effettuate nel periodo
1993, 1994, 1995 e 1996, nonché disponeva CTU al fine di determinare l’ammontare
delle provvigioni indirette e dirette spettanti all’agente.
Dall’inottemperanza all’ordine di esibizione la Corte d’Appello ricavava, ai
sensi dell’art. 116, secondo comma, cpc, argomenti di prova. Affermava, altresì, il
giudice di secondo grado, che la documentazione acquisita nel corso della CTU, su
iniziativa della parte appellante, era, nella sostanza, la stessa prodotta dalla parte

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appellata, salvo per quanto concerneva le cd veline, assenti in quella della preponente
e necessarie, secondo quanto riportato nell’elaborato peritale, per la esatta
ricostruzione dei rapporti contabili tra le parti. Poiché tale documentazione veniva
acquisita dal CTU nel rispetto del contraddittorio, la loro utili77azione non
determinava la nullità della CTU, le cui conclusioni erano corrette e condivisibili.
Tanto premesso, va rilevato che la ricorrente espone, in ordine al primo
motivo di ricorso, le argomentazioni di seguito riportate in sintesi.
Assume la società che la Corte d’Appello si è sostituita alla parte nella
ricerca delle fonti di prova, in contrasto con il principio dell’ “onus probandi”, atteso
che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nel giudizio promosso
dall’agente per l’accertamento del suo diritto al pagamento delle provvigioni, grava
sullo stesso l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa, ovvero gli affari da lui
promossi e la loro esecuzione. Nella specie, peraltro, non sarebbero ravvisabili i
presupposti che rendono legittimo l’ordine di esibizione in questione, mancando la
specificità dell’istanza di esibizione e la necessità dell’acquisizione stessa.
Deduce altresì il ricorrente che, in tanto la Corte d’Appello poteva disporre la
CTU, in quanto la risoluzione della controversia fosse dipesa unicamente dalla
risoluzione di una questione tecnica, fattispecie non sussistente nel caso in esame.
La Corte d’Appello, in modo censurabile, riteneva raggiunta la prova del
diritto al pagamento di provvigioni dirette in ragione di documentazione, contestata
da essa società, depositata dall’agente in sede di operazioni peritali.
3. Con il secondo motivo di impugnazione, assistito dal prescritto quesito di
diritto, è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cc, in riferimento
all’art. 360, primo comma, n. 3, cpc, in ordine alla ripartizione dell’onere della prova
sull’esistenza del diritto alle provvigioni dirette ed indirette e sulla conseguente
illegittimità dell’esperimento della consulenza tecnica di ufficio.
Ad avviso della ricorrente, le medesime osservazioni svolte in merito
all’ordine di esibizione valgono anche per l’esperita CTU, assunta solo nel
procedimento di secondo grado. La violazione della disciplina dell’ordine di
esibizione determina l’illegittimità della disposta CTU. Quest’ultima non può
supplire all’onere probatorio della parte, tanto che l’avvalersi della stessa è rimessa al
giudice.
4. Con il terzo motivo di ricorso, in uno al richiesto quesito di diritto,
articolato in due punti, è prospettata violazione e/o falsa applicazione dell’art. 62
cpc, dell’art. 194 cpc e dell’art. 198, secondo comma, cpc, in riferimento all’art. 360,
primo comma, n. 3, cpc, in ordine alle illegittime modalità dell’esperimento della
consulenza tecnica.
Nullità della CTU ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 4, cpc.
La CTU sarebbe stata disposta in violazione del principio del contraddittorio
e del diritto di difesa con “abuso di indagine” ed arbitraria sostituzione dei criteri di
consulenza richiesti dalla Corte di Appello di Roma.
In mancanza dell’esibizione da parte di essa società della documentazione su
cui doveva svolgersi la CTU, essendo trascorsi più di dieci anni e non sussistendo per
essa l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, il CTU non poteva concordare
“successivi criteri” per la ricerca dei documenti con la richiesta di ausilio dei CTP.
5. I suddetti motivi, in ragione della loro connessione, devono essere trattati
congiuntamente.
Gli stessi non sono fondati e devono essere rigettati.
6. Ed infatti, questa Corte ha avuto modo di affermare, con orientamento che
si condivide e al quale si intende dare continuità (v., in particolare, Cass. n.
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14968/2011 e n. 7855/2004), i seguenti principi che mitigano il principio dell’onere
della prova, come dedotto dalla ricorrente anche in ragione del diritto comunitario.
L’agente che intenda ottenere il pagamento delle provvigioni sugli affari
conclusi o della indennità di cessazione del rapporto, commisurata ad esse, ha l’onere
di provare in giudizio l’avvenuta conclusione di tali affari e non può supplire al
mancato assolvimento dello stesso mediante richiesta generica di esibizione della
contabilità aziendale del preponente (Cass. 9 luglio 1996 n. 6258, 7 giugno 2002 n.
8310). Questo indirizzo non può dirsi interamente superato a seguito della nuova
formulazione dell’art. 1749 c.c., il quale ora stabilisce che: “l’agente ha diritto di
esigere che gli siano fornite tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo
delle provvigioni liquidate ed in particolare un estratto dei libri contabili” (comma 3),
precisando che “È nullo ogni patto contrario alle disposizioni del presente articolo”
(comma 4: disposizione introdotta dal D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, art. 4).
Il rigore del criterio indicato dalla risalente giurisprudenza di questa Corte,
deve essere tuttavia ora molto mitigato, anche alla luce delle più recenti disposizioni
di legge e delle successive osservazioni formulate con la sentenza 19 febbraio 2002
n. 13721. Con tale decisione, questa Corte ha avuto modo di precisare che nel
giudizio promosso dall’agente contro la ditta preponente per l’accertamento del suo
diritto al pagamento di provvigioni dirette ed indirette sugli affari conclusi, è
legittimo l’ordine di esibizione l’art. 210 c.p.c., delle scritture contabili impartito dal
giudice di merito alla medesima preponente, anche con riferimento ai contratti per i
quali non è applicabile, per ragioni temporali, il D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303,
art. 2, che, nel riconoscere – in attuazione della direttiva comunitaria 18 dicembre
1986 n. 86 del 653 – il diritto dell’agente ad ottenere un estratto delle scritture
contabili, ha fornito un autorevole criterio interpretativo delle norme previgenti.
Tuttavia, questo principio deve essere coordinato con la funzione di
strumento istruttorio residuale assegnata dall’ordinamento all’ordine di esibizione
predetto, che può pertanto essere utilizzato solo se la prova del fatto non sia
acquisibile “aliunde” e se l’iniziativa non abbia finalità meramente esplorative.
Nel caso di specie, con motivazione conforme ai suddetti principi, in
relazione al diritto dell’agente di esigere che gli siano fornite tutte le informazioni
necessarie per verificare l’importo delle provvigioni, la Corte d’Appello, ha
disposto l’esibizione delle fatture o di documentazione contabile equipollente relativa
alle vendite effettuate nel periodo 1993, 1994, 1995 e 1996. La specificità della
documentazione oggetto dell’ordine di esibizione essendo connessa alla domanda
proposta dal Dolfini di riconoscimento del diritto alle provvigioni nel periodo in
contestazione.
La CTU, quindi, veniva disposta legittimamente per un esame tecnico della
suddetta documentazione, come integrata nello svolgimento della CTU con criteri
che la Corte d’Appello (il cui ordine di esibizione, giova precisarlo, aveva già ad
oggetto le fatture o la documentazione contabile equipollente) ha avvalorato e fatto
propri deducendone, in particolare, l’acquisizione con il rispetto dei principi del
contraddittorio.
Va, altresì, considerato che ai sensi dell’art. 198 cpc, ed in particolare della
disposizione di cui al comma 2, è consentito all’ausiliario del giudice, con il
consenso delle parti, di esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa
(v. Cass., n. 24549 del 2010), qualora non avulsi dal contesto probatorio già
introdotto nel giudizio, come nel caso di specie in ragione dell’oggetto dell’ordine di
esibizione.
6. Il ricorso deve essere rigettato.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
5

PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
lite che liquida in euro cinquanta per esborsi ed euro tremila per compenso
professionale oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 23 aprile 2013
•dente

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