Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16504 del 05/07/2017

Cassazione civile, sez. III, 05/07/2017, (ud. 05/05/2017, dep.05/07/2017),  n. 16504

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30226/2014 proposto da:

F.M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TAGLIAMENTO 55, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO VITTOR giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AZIENDA PER L’ASSISTENZA SANITARIA N. (OMISSIS) già AZIENDA SERVIZI

SANITARI N (OMISSIS) BASSA FRIULANA, in persona del Direttore

Generale e legale rappresentante Dott. PI.GI.,

elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO D’ITALIA 106, presso lo

studio dell’avvocato VINCENZO CANNIZZARO, rappresentata e difesa

dall’avvocato DIEGO MODESTI giusta procura a margine del

controricorso;

V.M., AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA (OMISSIS), in

persona del Direttore Generale Dott. D.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, V. PORTA PINCIANA 6, presso lo studio

dell’avvocato MARCELLO COLLEVECCHIO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO MARPILLERO giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

P.G., FONDIARIA SAI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 452/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 30/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCELLO COLLEVECCHIO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE POMPEO PINTO per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Per un carcinoma alla mammella destra F.M.F. fu sottoposta nel (OMISSIS) all’ospedale di (OMISSIS) ad un intervento di mastectomia e, di poi, ad un ciclo di cure che mio – e radioterapiche presso il reparto di oncologia di detto nosocomio, ma accusò da subito seri malesseri, invano riferiti sia al suo medico di famiglia, Dott. P.G., che al personale di quel reparto; e solo nell'(OMISSIS), all’esito di una TAC, le fu diagnosticata una metastasi cerebrale, per la cui asportazione il (OMISSIS) fu con successo sottoposta ad una craniotomia all’Ospedale di (OMISSIS), eseguito dal Dott. V.M..

2. Rimossa la massa tumorale, ne esitarono tuttavia seri postumi (emiparesi facciale e sordità quasi totale dal lato sinistro), sicchè la F., ritenendo di essere stata curata non correttamente, citò il medico di base, l’Azienda per i Servizi Sanitari da cui questi dipendeva, il medico craniotomo e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria (OMISSIS) con atto del 09/12/2009, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificati in Euro 214.385,07; e, contestata da tutti i convenuti la propria responsabilità e chiamata dal P. in causa anche la propria assicuratrice della r.c. Fondiaria Ass.ni, con memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, ella estese la domanda anche ai danni patiti dal ritardo o dalle omissioni diagnostiche da parte dell’ospedale latisanese nel periodo immediatamente successivo all’esecuzione dell’intervento di mastectomia: ma, all’esito anche di c.t.u., l’adito tribunale di Udine rigettò le domande con sentenza n. 438/13, compensando le spese.

3. La corte di appello di Trieste, adita dalla F. con gravame principale, lo rigettò e compensò le spese, rilevando: da un lato, che le domande nei confronti dell’A.S.S. erano state articolate in citazione solo quanto ai ritardi diagnostici del medico di base ed all’esecuzione dell’intervento di craniotomia e non anche al trattamento successivo all’operazione di mastectomia presso il reparto di oncologia dell’ospedale di (OMISSIS), quest’ultima serie causale essendo stata addotta soltanto con la memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6 e quindi risultando inammissibile per novità; e, dall’altro lato, che le argomentazioni del consulente tecnico di ufficio sull’esclusione di un nesso causale tra i postumi e il ritardo diagnostico erano inequivocabili, sicchè doveva ascriversi ad un mero errore materiale l’omissione della negazione “non” nell’esplicitazione delle conclusioni dell’ausiliario.

4. Per la cassazione di tale sentenza di appello, pubblicata il 30/07/2014 col n. 452, ricorre oggi F.M.F., affidandosi a due motivi; degli intimati, mentre P.G. e la Fondiaria SAI spa non espletano attività difensiva in questa sede, resistono con separati controricorsi l’Azienda per l’Assistenza Sanitaria n. (OMISSIS) “Bassa Friulana e Isontina” (succeduta alla ASS n. (OMISSIS), originariamente citata) e, unitariamente e depositando altresì memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., per la pubblica udienza del 05/05/2017, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria “(OMISSIS) in uno al Dott. V.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente denuncia:

– col primo motivo, “violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, in relazione all’art. 163 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 5, per la ritenuta inammissibilità della domanda di risarcimento danni svolta nei confronti dell’ASS n. (OMISSIS) Bassa Friulana”, argomentando nel senso del dispiegamento, fin dall’atto di citazione, di un’azione di risarcimento del danno per inadeguato trattamento terapeutico complessivamente ricevuto dalla ASS n. (OMISSIS) Bassa Friulana e, in particolare, per la negligenza del suo medico di base Dott. P.G. nel trattamento dei sintomi postoperatori, per poi, con comparsa ex art. 183 c.p.c., comma 6, indicare quale specifico profilo di responsabilità il ritardo nella diagnosi del carcinoma cerebrale anche da parte del reparto oncologico del nosocomio latisanese;

– col secondo motivo, “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, lamentando avere la corte territoriale “sollevato d’ufficio una questione poi riportata in sentenza senza averla preventivamente sottoposta al contraddittorio delle parti”, quanto alla correzione del passaggio della c.t.u. e conseguentemente della sentenza in ordine alla non diretta correlabilità dei pure riscontrati deficit al ritardo diagnostico delle metastasi.

2. Il primo motivo, a non voler considerare che non sono trascritti in ricorso gli atti da cui ricavare la fondatezza o meno della censura (e cioè l’atto di citazione e la memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6) e che è rimessa al giudice del merito, se congruamente motivata, la valutazione di novità o meno della domanda (tra molte: Cass. 12/01/2006, n. 422), è infondato, perchè comunque, nella specie, effettivamente è stato violato dall’attrice in primo grado il limite posto dalle preclusioni assertive o di merito dall’art. 183 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis.

3. Infatti, integra una non consentita mutatio libelli anche il fatto che la parte introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (da ultimo: Cass. 28/01/2015, n. 1585; in precedenza, tra moltissime: Cass. 20/07/2012, n. 12621); e si ha allora, nella specie, che con la memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, è stata proposta in modo inammissibile, perchè nuova e tardiva, una domanda in cui è diversa la serie di fatti indicati come causali (ovverosia come danno-evento) e quindi determinativi delle conseguenze dannose (o danno-conseguenza) per le quali si agisce e cioè in cui è diverso il fatto costitutivo in senso stretto della pretesa risarcitoria e così irredimibilmente diversa è la causa petendi.

4. Ora, i fatti costitutivi con tale memoria prospettati – le omissioni o negligenze specifiche del reparto oncologia di (OMISSIS) integrano una serie causale con ogni evidenza diversa – da un punto di vista soggettivo ed oggettivo – da quella posta originariamente a base della richiesta di risarcimento, integrata – stando a quanto sommariamente si ricava dai soli atti direttamente accessibili da questa Corte – dalle omissioni e negligenze del medico di base e poi del nosocomio udinese quanto all’intervento di craniotomia; e tale irriducibile diversità della serie causale addotta quale causa petendi della domanda risarcitoria risulta evidente per la diversità obiettiva della responsabilità che si vorrebbe prospettare tra quella di un medico di base e le sue complessive e generiche competenze e quella di un personale specializzato – e quindi dal ben più penetrante dovere di diligenza ed attenzione ai sintomi seri della paziente – di un reparto di oncologia per colpe specifiche nel c.d. follow-up postoperatorio, non potendo certo bastare la circostanza della dipendenza di tutti dalla medesima unità sanitaria ad unificare la doglianza iniziale, ben circoscritta alla colpa del primo, in una complessiva ed indifferenziata censura all’operato di ogni e qualunque dipendente del datore di lavoro dell’originario convenuto o di ogni e qualunque struttura a questo facente in qualsiasi modo capo o riferimento, quand’anche – evidentemente – in relazione agli esiti o sviluppi delle prestazioni di cura della medesima infermità e della sua evoluzione.

5. Il motivo è quindi infondato, alla stregua del seguente principio di diritto: “integra una mutatio libelli, non consentita con la memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, la deduzione, in una domanda risarcitoria fondata sulla responsabilità sanitaria di dipendenti di aziende sanitarie pubbliche ed ascritta a specifiche e ben determinate condotte, di diverso titolo di responsabilità per differenti condotte, ascritte a diversi dipendenti o strutture sanitarie, benchè facenti capo alla stessa azienda sanitaria e nell’ambito delle cure somministrate in occasione della medesima infermità”.

6. Anche il secondo motivo è infondato, perchè, nell’avere la corte territoriale ritenuto che la consulenza tecnica abbia omesso per mero errore materiale nella stesura della relazione di inserire la negazione (recte, avverbio di negazione, essendo sempre sottinteso il verbo di riferimento) “non” prima di definire “correlabile al ritardo diagnostico” il quadro pur severo delle complicanze residuate alla ricorrente, non può ravvisarsi nè una questione nuova, ma, a stretto rigore, neppure una questione in senso tecnico.

7. In primo luogo, in tal modo la corte territoriale non ha affatto introdotto una questione nuova di fatto sulla cui base sarebbe stata decisa la controversia, ma ha invece soltanto – e nulla di più che proceduto alla lettura corretta delle risultanze della consulenza tecnica di ufficio, la quale, attentamente esaminata in ogni suo passaggio argomentativo o motivazionale, aveva appunto escluso ogni nesso causale tra le condotte utilmente dedotte dall’attrice ed i postumi a lei residuati o, in ogni caso, le conseguenze dannose lamentate; si tratta, in secondo luogo, di una lettura nella sua sostanza corrispondente a quella già data dal giudice di primo grado ed alle tesi, ampiamente dibattute tra le parti fino a quel momento, sostenute dai convenuti originari, tanto da risolversi in una mera valutazione critica, previa riduzione a congruità, delle materiali manifestazioni espressive o grafiche in cui l’elaborato dell’ausiliario del giudice si era articolato, previa eliminazione di quello che è definito un mero errore materiale e cioè l’omissione di un avverbio negativo, il “non” prima della qualificazione di “correlabile al ritardo diagnostico” del quadro delle complicanze pure certamente sussistente.

8. L’interpretazione del principio della terza via data dall’odierna ricorrente, secondo la quale, ogniqualvolta il giudicante intendesse accingersi a dare di uno degli atti del giudizio una lettura diversa da quella prospettata dalla parte, dovrebbe prima sottoporre quest’ultima alle parti, sarebbe del resto – se non francamente aberrante, comunque – da respingere, non tutelandosi il diritto al contraddittorio fino al punto da garantire alla parte di interloquire sui singoli passaggi argomentativi e prima che essi siano anche solo ipotizzati in mente sua dal giudicante, cioè nei momenti obiettivamente riservati al foro interno del decidente e propri della sua attività propriamente intellettiva di elaborazione del materiale, ma solo in merito all’oggetto della questione nel suo complesso: questione che, per quanto fin qui detto, è stata nella specie dalle parti ampiamente discussa ed atteneva al fatto che la consulenza tecnica, nonostante il tenore letterale della conclusione, avesse o non avesse, nel corso o sviluppo delle sue argomentazioni, escluso qualsiasi nesso causale tra le condotte ritualmente ascritte dall’attrice alle controparti e le pure riscontrate negative conseguenze al suo stato di salute.

9. Pertanto, il motivo è infondato alla stregua del seguente principio di diritto: “non integra questione nuova da sottoporre preventivamente alle parti, a pena di nullità della successiva sentenza per violazione del principio del divieto della terza via previsto dal capoverso dell’art. 101 c.p.c., la lettura delle conclusioni di una consulenza tecnica di ufficio in modo congruente con le sue argomentazioni, anche quando comporti il riconoscimento della materiale omissione di un avverbio di negazione (nella specie, un non prima di correlabile) quanto alla correlabilità causale di una serie di condotte di sanitari ed un danno alla persona”.

10. L’infondatezza dei due motivi impone il rigetto del ricorso; e tuttavia le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in base alle stesse gravi ed eccezionali già apprezzate dai giudici di secondo grado, obiettivamente sussistenti nella fattispecie, caratterizzata dall’erogazione di cure da parte delle strutture pubbliche obiettivamente concretatasi in un ritardo diagnostico comunque esitato in un primo momento in una serissima compromissione della salute della ricorrente, benchè, almeno allo stato, neutralizzata da un successivo intervento, peraltro solo parziale, con postumi seri ed invalidanti – sebbene causalmente non riconducibili – e soprattutto assai invasivo e devastante anche da un punto di vista psicologico, pure in sè considerato per l’intervallo intercorso.

11. Ancora, l’ammissione della ricorrente al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, essendo ella esentata dal versamento di quello fin dall’inizio, esclude la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito (in senso analogo: Cass. 02/09/2014, n. 18523; Cass. ord. 22/03/2017, n. 7368).

12. Infine, ricorrendo i presupposti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 2 (codice in materia di protezione dei dati personali), a tutela dei diritti e della dignità delle persone coinvolte ed in ragione dell’oggetto della pronuncia deve essere disposta, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’omissione delle indicazioni delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

PQM

 

Rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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