Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16504 del 02/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16504 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: STILE PAOLO

SENTENZA
sul ricorso 14187-2011 proposto da:
SCHIAVELLO PIERDOMENICO SCHPDM54M21H501S, titolare
dell’omonima ditta individuale, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE CORTINA D’AMPEZZO 65,
presso lo studio dell’avvocato STEFANO NOLA, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1296

contro

LUCCHETTI MARCO LCCMRC62P1OH501X;
– intimato avverso la sentenza n. 5996/2010 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 02/07/2013

di ROMA, depositata il 15/09/2010 r.g.n. 2056/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
i
udienza del’ 11/04/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO
STILE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso.

Generale Dott. MARCELLO MATERA. che ha concluso per il

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 15/18 ottobre 2007, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice
del lavoro, in parziale accoglimento del ricorso di Lucchetti Marco, dichiarava
inefficace il licenziamento intimato allo stesso da Schiavello Pierdomenico in data
6.10.2004 e condannava quest’ultimo al risarcimento del danno nella misura di sei

ai mesi di settembre ed ottobre 2004 e del TFR, respingendo la proposta domanda
riconvenzionale.
Con atto depositato in data 3 marzo 2008, lo Schiavello proponeva appello
deducendo la erroneità della decisione laddove aveva ritenuto che il licenziamento
intimato con lettera del 6.9.2004 fosse stato tacitamente revocato per aver
consentito il datore di lavoro / la prosecuzione dei rapporto dopo la scadenza del
preavviso e che, quindi, allorquando il lavoratore era stato allontanato dal posto di
lavoro il 7.10.2004 era stato nuovamente licenziato. Tale conclusione, infatti, non
aveva tenuto conto della durata del preavviso stabilita dal CCNL di categoria in
venti giorni, e non in quindici come erroneamente indicato nella lettera di
licenziamento, e, comunque, non era fondata su una puntuale indagine sulle
effettive motivazioni che avevano portato alla prosecuzione del rapporto, senza
considerare che la continuazione dell’attività lavorativa poteva essere valutata
come idonea a costituire prosecuzione del rapporto solo in caso di durata molto
più lunga rispetto a quella di pochi giorni; deduceva, inoltre, relativamente al

quantum debeatur, che il Tribunale, pur avendo rilevato che il datore di lavoro
aveva corrisposto a mezzo di bonifici bancari la somma complessiva di E
63.687,72 a fronte di un compenso dovuto di E 50.312.92 come da buste paga
redatte sulla base del vigente CCL di categoria, aveva ritenuto che la maggior
somma erogata sarebbe servita a ‘coprire’ le tredicesime e quattordicesime
mensilità, i noi., le ferie e festività e lo aveva condannato al pagamento delle

mensilità nonché al pagamento, in favore del ricorrente, delle retribuzioni relative

retribuzioni dei mesi di settembre ed ottobre e dell’intero TFR. senza riconoscere
la ulteriore corresponsione della somma di E 1.500,00 e senza tener conto
erroneamente che le mensilità aggiuntive ed il mese di settembre risultavano
pagati in busta paga e che nel mese di ottobre erano dovuti solo i primi sei giorni.
L’appellante lamentava poi il mancato accoglimento della domanda

riconvenzionale avente ad oggetto la restituzione della somma di E 13.374,80 per
essere stata ritenuta “non sufficientemente argomentata in fatto e diritto”, in
quanto lo stesso Tribunale aveva accertato e riconosciuto che il pagamento della
maggior somma era stato effettuato in conto di future prestazioni poi mai eseguite
a causa della risoluzione del rapporto; insisteva, quindi, per l’accoglimento della
domanda riducendola a €10.145,01 a seguito della detrazione del TFR. ferie e
permessi residui e primi sei giorni di ottobre 2004, ancora dovuti.
Lucchetti Marco si costituiva contestando il fondamento dell’appello del quale
chiedeva il rigetto.
Con sentenza del 25 giugno/15 settembre 2010, l’adita Corte d’appello di Roma,
in parziale accoglimento del gravame ed in parziale riforma della sentenza
impugnata, confermata nel resto, condannava lo Schiavello al pagamento, in
favore del Lucchetti, della retribuzione relativa ai sei giorni di ottobre 2004 e del
TFR, oltre accessori come per legge.
A sostegno della decisione osservava che, avendo il datore di lavoro fatto svolgere
l’attività lavorativa anche dopo il periodo di preavviso, poiché risultava dai
documenti in atti che lo Schiavello aveva intimato il licenziamento all’appellato
con lettera dei 6 settembre 2004, pervenuta il 7 settembre 2004, con preavviso di
giorni 15 a decorrere dal 7 settembre 2004 (scadenza 21.09.2004), il protrarsi
dell’attività lavorativa per circa quindici giorni era idonea a configurare la revoca
tacita del recesso.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre Pierdomenico Schiavello con due
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motivi.
Il Lucchetti è rimasto intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso lo Schiavello denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 e 2118 cod.civ., degli artt. 112, 115, 116 e 437 cpc,

della legge n. 604/1966 e successive modifiche, dell’art 136 ceni commercio e
terziario del 2.7.2001 (art. 360 n.3), carente e/o insufficiente ed illogica
motivazione (art. 360 n.5 cpc)
Lamenta che la Corte d’appello abbia statuito che lo stesso avrebbe, con
comportamento concludente, revocato il licenziamento intimato al lavoratore il
6.9.2004, consentendo, in tal modo, la prosecuzione del rapporto per altri quindici
giorni.
Fa presente che detto Giudice, però, non avrebbe considerato quanto prospettato
dalla difesa in ordine alla circostanza per cui, a norma dell’art. 136 del CCNL
vigente all’epoca, “il preavviso di licenziamento decorre dal giorno 1 o dal giorno
16 del mese ed ha durata di venti giorni”; decorrendo, dunque, il preavviso
intimato il giorno 7 settembre solo dal 16 settembre ed avendo durata di venti
giorni, il rapporto sarebbe cessato il 6 ottobre 2004. Nessun nuovo licenziamento
verbale, dunque, sarebbe stato intimato al Lucchetti quando si presentò al lavoro il
7 ottobre, nonostante che, per errore, nella sua lettera di licenziamento il datore di
lavoro avesse indicato la decorrenza del 7 settembre ed una durata di soli quindici
giorni.
Come già precisato nel ricorso in appello, infatti, l’errata indicazione nella lettera
di licenziamento della decorrenza e della ridotta durata del preavviso, mai avrebbe
potuto modificare i termini legali in essere, in particolare per quel che attiene la
durata del preavviso che ben può essere superiore a quella contrattuale ma mai,
ovviamente, inferiore.
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Palese, pertanto, la violazione dell’art. 1362 cod.civ., non avendo, la Corte
d’appello, correttamente valutato il comportamento e la volontà delle parti alla
luce degli accadimenti riferiti alla fattispecie, ai sensi dell’art. 2118 c.c., che
stabilisce che ciascuno dei contraenti possa recedere dal contratto di lavoro dando
il preavviso nel rispetto dei termini e dei modi stabiliti dagli usi (evidentemente

anche del CCNL di categoria), e conseguentemente anche della legge 604/66 in
tema di licenziamenti individuali e dell’art. 136 del CCNL che fissa la durata del
preavviso.
La Corte territoriale, inoltre, avrebbe erroneamente ritenuto che la modifica del
termine di preavviso dovesse essere comunicata al lavoratore per iscritto. Inoltre,
la prosecuzione del rapporto di lavoro per pochi giorni, poi, non poteva
assolutamente essere considerata come revoca tacita del licenziamento.
Il motivo è infondato, in quanto, in punto di diritto, è erronea la prospettazione,
fatta nel presente ricorso, di un preavviso che decorrerebbe necessariamente sulla
base delle disposizioni contrattuali ed al di fuori di una espressa previsione nella
lettera di recesso; infatti, la concessione del preavviso non si pone come effetto
previsto dalla legge ma deve essere espresso dalla parte recedente (Cass. n.
9973/2003).
E’, pertanto, immune da vizi la statuizione della Corte territoriale che ha desunto
dalla prosecuzione di fatto del rapporto l’esistenza di una revoca tacita del
licenziamento con valutazione di merito, rapportata “alle motivazioni che possono
averla giustificata”, non suscettibile di sindacato in questa sede.
Con il secondo motivo il ricorrente denunciando violazione e falsa applicazione
dell’art. 2033 cod.civ., degli artt. 112, 115, 116 e 437 cpc, (art. 360 n.3), carente
e/o insufficiente ed illogica motivazione (art. 360 n. 5 cpc), lamenta che la Corte
territoriale abbia ignorato la domanda relativa alla compensazione tra le somme
pagate in più al Lucchetti da imputarsi a TFR, ferie e permessi residui, ed abbia
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rigettato la avanzata domanda riconvenzionale relativa alla restituzione delle
ulteriori somme erogate al lavoratore quali anticipazioni su future prestazioni
lavorative, poi non effettuate stante la cessazione del rapporto, ritenendo la
genericità dell’allegazione, sia relativamente agli importi elargiti che
all’imputazione, che alla data dell’ erogazione.

Anche questo motivo non può essere accolto.
Inverg la Corte territoriale, ritenendo parzialmente fondato il motivo d’appello su
quanto ancora dovuto all’originario ricorrente, ha osservato che dalle buste paga
prodotte dallo Schiavello, regolarmente firmate per ricevuta dal Lucchetti,
emergeva il pagamento della retribuzione del mese di settembre 2004 mentre,
quanto a quella di ottobre 2004, spettava solo quella relativa i primi sei giorni
effettivamente lavorati; così come doveva ancora riconoscersi al Lucchetti il TFR.
la cui corresponsione era pacificamente non avvenuta.
Inoltre —precisa la Corte di merito- non poteva essere detratta la somma di C.
1500,00 in quanto la copia del bonifico era stata prodotta solo nel grado d’appello,
con conseguente inammissibilità di tale produzione (Cass. S.U. n.8202/2005),
tanto più che, vista la data del bonifico (24.10.2004), non erano ravvisabili i
motivi, neppure specificamente allegati, per cui l’appellante sarebbe venuto in
possesso di tale documento solo dopo il giudizio di primo grado.
Quanto poi alla domanda riconvenzionale, la Corte territoriale ha osservato come
l’originario convenuto avesse dedotto che il Lucchetti aveva percepito importi
maggiori rispetto a quelli dovuti giustificati da una continua richiesta di anticipi
sia di stipendio che di liquidazioni. Ha ritenuto, tuttavia, tale allegazione del tutto
generica, quanto agli importi asseritarnente anticipati, alla relativa singola
imputazione ed alla data della erogazione, con conseguente inammissibilità della
relativa prova, peraltro, neppure specificamente richiesta (v. capitoli di prova in
calce alla memoria di primo grado); prova, peraltro, che avrebbe dovuto essere
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documentale, tenuto conto dell’oggetto (richieste, ricevute di anticipi ecc.).
Sicché, in sua mancanza, doveva ritenersi che tutte le somme erogate mediante
bonifico, sia quelle risultanti dalle buste paga in atti sia quelle ulteriori, iiavessero
il proprio titolo nell’attività lavorativa effettivamente resa dal Lucchetti, potendo
essere imputabili per es., a lavoro straordinario, premi ecc icome tali non

Né appare conferente il riferimento operato in ricorso all’orientamento di questa
Corte, secondo cui la ripetizione deell’indebito, derivante dal fatto che la
prestazione eseguita (il pagamento) non trova riscontro nell’oggettiva esistenza di
una obbligazione (la prestazione lavorativa), non richiede una indagine sulla
natura dell’avvenuto pagamento, giacché detta giurisprudenza (Cass. n.
2209/1998; Cass. n. 4893/1991, ecc.) si riferisce al caso in cui il datore di lavoro
assuma di avere erogato per errore al proprio dipendente somme non dovute; ciò
che non risulta avvenuto nella specie, il che ha indotto la Corte territoriale a
valutare i fatti nel senso appena esposto, dando rilievo alla circostanza che i
dedotti anticipi datoriali non risultavano dimostrati da prove documentali.
Non ravvisandosi, in tale iter argomentativo le dedotte violazioni di legge ed i
denunciati vizi motivazionali, il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese non avendo il Lucchetti svolto attività difensiva.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Roma, 11 aprile 2013.

ripetibili.

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