Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16502 del 31/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 31/07/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 31/07/2020), n.16502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16831/13 R.G. proposto da:

D.C., quale erede di D.U. e P.A.,

rappresentato e difeso, in virtù di procura in calce al ricorso,

dall’avv. Luigi Quercia, con domicilio eletto presso lo studio

dell’avv. Livia Ranuzzi, in Roma, Viale del Vignola, n. 5;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Puglia n. 7/9/13 depositata in data 17 gennaio 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate notificava a D.U. e P.A. due avvisi di accertamento con i quali contestava l’omessa dichiarazione, per l’anno 2002, di plusvalenza derivante dalla vendita di suolo con destinazione edificatoria, ceduto con atto pubblico al prezzo di Euro 206.583,00.

Con distinti ricorsi i contribuenti impugnavano gli atti impositivi, eccependo la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, la carenza di motivazione degli atti e l’inesistenza del presupposto impositivo, non avendo mai percepito il corrispettivo; affermavano, in particolare, che il contratto di compravendita era simulato e che in realtà, con scrittura privata di pari data, avevano stipulato un contratto preliminare di permuta in forza del quale la società acquirente del suolo si era impegnata a cedere loro alcuni fabbricati che sarebbero stati costruiti sul medesimo terreno. Con i due atti contestuali le parti avevano manifestato la volontà di porre in essere una permuta del suolo di proprietà dei coniugi con alcuni degli immobili che la società avrebbe costruito, immobili che erano stati poi consegnati nell’anno 2003, come da verbale di consegna del 4 novembre 2003.

La Commissione provinciale adita, previa riunione dei ricorsi, li rigettava con sentenza che veniva impugnata con distinti ricorsi da P.A. e da D.C., nella qualità di erede di D.U., nel frattempo deceduto. Gli appellanti ribadivano la natura simulata della cessione del suolo edificatorio, trattandosi di permuta, sottolineando che il presupposto impositivo non si era verificato nell’anno 2002, ma nell’anno 2003, quando era avvenuta la consegna degli immobili.

La Commissione tributaria regionale rigettava gli appelli.

In particolare, rilevava che l’atto di compravendita del suolo, stipulato in data 26 giugno 2002, conteneva una chiara dichiarazione di incasso della somma fissata a titolo di prezzo, per cui correttamente l’Ufficio aveva applicato la disciplina fiscale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, lett. b), trattandosi di atto pubblico che faceva piena prova, fino a querela di falso, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attestava essere avvenuti in sua presenza; per inficiare la prova legale dell’atto pubblico era necessario proporre la querela di falso, che non era stata tuttavia presentata.

Osservava che i contribuenti avevano prodotto una fotocopia di un preliminare di permuta, redatto in data 26 gennaio 2000, e una copia di un preliminare per l’acquisto di alcune unità immobiliari, redatto in data 26 giugno 2002, entrambi stipulati con scritture private, le cui firme non erano state autenticate, e che la documentazione allegata dai contribuenti al fine di dimostrare la simulazione dell’atto di compravendita del suolo ed il mancato pagamento del corrispettivo non era idonea ad assolvere l’onere della prova. Riteneva, quindi, non provata la simulazione dell’atto di compravendita del suolo e sussistenti i presupposti per la ripresa a tassazione.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione D.C., nella qualità di erede di D.U. e di P.A., deceduta, con tre motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il contribuente, deducendo nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., si duole che il giudice d’appello, pur essendo stata dedotta l’illegittimità dell’accertamento per avere l’Ufficio assoggettato a tassazione nell’anno 2002 una plusvalenza mai realizzatasi in mancanza di percezione del prezzo di cessione del suolo, aveva omesso di pronunciarsi su tale specifica eccezione, ritenendo di dover statuire sulla validità della prova di un negozio di permuta sotteso all’atto pubblico di compravendita del suolo.

Nel corso del giudizio di merito aveva depositato documenti da cui emergeva che nell’anno 2003, a fronte della cessione del suolo di cui all’atto pubblico del 26 giugno 2002, vi era stata la consegna ai coniugi D.- P. degli immobili costruiti sul suolo stesso, per cui non era mai stato versato, nell’anno 2002, il prezzo per l’acquisto del terreno; in particolare, aveva prodotto numerose raccomandate aventi data certa, indirizzate l’8 ottobre 2003, il 21 ottobre 2003 ed il 30 ottobre 2003 dalla Costruzioni Crescente s.r.l. ai coniugi D.- P., con le quali la società, proprio in attuazione della effettiva volontà negoziale, aveva invitato i coniugi a prendere in consegna i predetti appartamenti, consegna che era poi avvenuta in data 4 novembre 2003.

I giudici di merito, nel rilevare che “l’atto di compravendita dei suoli stipulato in data 26 giugno 2002 contiene una precisa ed incontrovertibile dichiarazione di incasso avvenuto delle somme richieste”, avevano omesso di verificare se, a prescindere da quanto dichiarato dalle parti, il prezzo fosse stato percepito nell’anno d’imposta 2002; il giudice si era quindi soffermato a valutare se gli elementi probatori offerti fornissero prova dell’accordo simulatorio e non, invece, se dimostrassero che il contenuto della dichiarazione di riscossione del corrispettivo, resa nell’atto pubblico, non rispondesse al vero.

2. Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione del disposto di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 81 e 82, vigenti ratione temporis, perchè i giudici di appello, in violazione del criterio di cassa, che presiede la determinazione della plusvalenza, hanno ritenuto legittimo l’assoggettamento a tassazione della stessa nell’anno 2002, nonostante fosse stato dimostrato in giudizio che in tale anno nessun prezzo era stato corrisposto a fronte della cessione del suolo.

Evidenzia, al riguardo, di avere dimostrato, documentalmente, mediante il verbale di consegna del 4 novembre 2003 e le raccomandate indirizzate in data 8, 21 e 30 ottobre 2003, che la vendita del suolo dissimulava, in realtà, una permuta dello stesso con unità immobiliari che la società acquirente aveva realizzato e che il prezzo non era stato corrisposto nell’anno 2002, per cui la plusvalenza si era, in realtà, realizzata nel 2003.

Dagli atti di causa emergeva, infatti, che in data 26 giugno 2002 i coniugi D.U. e P.A. avevano ceduto alla Costruzioni Crescente s.r.l. il suolo sito in Barletta, dichiarando nell’atto pubblico che il prezzo, stabilito in Euro 206.583,00, era stato in precedenza pagato dalla società acquirente; in pari data, tuttavia, le parti avevano concordato che la Costruzioni Crescente s.r.l. avrebbe ceduto ai predetti coniugi alcuni dei fabbricati che sarebbero stati realizzati sul medesimo suolo, a fronte del trasferimento alla società della somma, di pari importo, di Euro 206.583,00; la contestualità dei contratti e la coincidenza degli importi concordati evidenziavano il concreto intento dei coniugi D.- P., che non era quello “apparente” di cedere il suolo a fronte della percezione di un corrispettivo, ma quello di permutare il medesimo terreno con alcuni degli appartamenti che la Costruzioni Crescente s.r.l. avrebbe realizzato sullo stesso.

Il giudice di appello, a fronte di tali elementi probatori, mai contestati dall’Ufficio, aveva concluso per la legittmità degli avvisi di accertamento, nonostante negli atti accertativi l’Ufficio avesse ritenuto conseguita la plusvalenza nell’anno 2002, e non nell’anno 2003, anno di consegna delle unità immobiliari; come previsto dal citato art. 82, la plusvalenza doveva essere tassata secondo il principio di cassa, ossia nell’anno di effettiva percezione, che, nel caso in esame, non era avvenuta nel 2002, anno di stipula del contratto di compravendita del suolo, ma solo nel 2003, anno di consegna delle unità immobiliari oggetto di permuta del predetto suolo.

3. Con il terzo motivo il contribuente deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c., ribadendo che il giudice di appello non ha posto a fondamento della decisione impugnata i fatti e le circostanze, non specificamente contestati dall’Ufficio, addotti in giudizio per dimostrare che la plusvalenza non si era realizzata nell’anno 2002, ma nell’anno 2003.

In considerazione dell’atteggiamento processuale dell’Agenzia delle entrate, il giudice di appello, ad avviso del ricorrente, avrebbe dovuto astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato.

4. L’esame dei motivi dedotti dal ricorrente può essere svolto unitariamente, poichè attengono tutti all’accertamento, che si assume scorrettamente compiuto dall’Amministrazione finanziaria, nonchè alla valutazione che di esso è stata effettuata, nel processo, da parte del giudice tributario.

L’accertamento compiuto dall’Amministrazione, con il quale si contesta una plusvalenza percepita e non dichiarata nel 2002, si è basato sulla dichiarazione dei coniugi D.U. e P.A., genitori dell’odierno ricorrente, contenuta nell’atto pubblico di compravendita del 26 giugno 2002, rogato da un notaio, dalla quale risultava che gli stessi avevano percepito dalla società acquirente, a titolo di pagamento del prezzo di acquisto di un terreno edificabile sito in Barletta, la somma di Euro 206.583,00

Secondo la prospettazione difensiva del ricorrente, l’atto pubblico di compravendita – contrariamente alle apparenze – dissimulava una permuta dello stesso con unità immobiliari che la società acquirente avrebbe realizzato sul medesimo, per cui il corrispettivo della cessione del suolo sarebbe rappresentato non dalla somma di denaro che le parti venditrici avevano dichiarato di avere incassato, rilasciandone quietanza, ma piuttosto dalle unità immobiliari realizzate e consegnate nell’anno 2003.

Il ricorrente, con i mezzi in esame, sostiene che la sentenza di secondo grado non avrebbe adeguatamente valutato le prove dallo stesso portate, tutte volte a dimostrare la mancata percezione del prezzo indicato nell’atto pubblico di compravendita e, di conseguenza, l’insussistenza della contestata plusvalenza nell’anno 2002.

4.1. I motivi non sono fondati.

4.2. Come già evidenziato, gli atti impositivi poggiano su un atto pubblico sottoscritto dai genitori del ricorrente e contenente una inequivoca dichiarazione di percezione di una somma di denaro stabilita a titolo di prezzo per la cessione del suolo edificabile; da questo dato certo, l’Ufficio ha preso le mosse per compiere l’accertamento, avendo riscontrato che la plusvalenza percepita non era stata dichiarata nell’anno 2002.

La decisione dei giudici di appello, partendo dal medesimo fatto certo, fa corretta applicazione del principio in base al quale una volta che l’Amministrazione abbia dimostrato, attraverso l’accertamento tributario, l’esistenza di una capacità reddituale, ricade sul contribuente l’onere di offrire prova dell’inesistenza di essa, ed in particolare della base da cui essa è stata tratta.

Tale onere il ricorrente sostiene di avere assolto assumendo la simulazione del contratto di compravendita e della dichiarazione di percezione del prezzo, ma la prova documentale prodotta a supporto della fondatezza dell’eccezione di simulazione del negozio, come ritenuto dalla Commissione regionale, non è idonea a dimostrare l’assunto difensivo.

Sul punto, i giudici di appello, procedendo ad una valutazione della documentazione offerta, puntuale ed immune da vizi logici, hanno correttamente posto in rilievo che il ricorrente si è limitato a produrre mere fotocopie del contratto preliminare di permuta del 25 gennaio 2000 e del contratto preliminare di acquisto delle unità immobiliari del 26 giugno 2002, dalle quali non è possibile desumere nè l’autenticità dei contratti, nè la certezza della data di stipulazione, nonchè copie delle lettere raccomandate, con le quali l’impresa costruttrice invitava i coniugi D.- P. a prendere possesso degli immobili, di cui non risulta neppure dimostrato l’invio, risultando in bianco lo spazio destinato alla indicazione dei soggetti destinatari e del loro indirizzo.

In difetto di prova del perfezionamento degli atti di acquisto delle unità immobiliari, che il contribuente assume essere la contropartita della vendita del suolo, del tutto logicamente i giudici di appello hanno considerato non supportata da validi elementi di prova la simulazione relativa del contratto di compravendita ed hanno, di conseguenza, ritenuto che l’atto di vendita del suolo si sia perfezionato mediante il versamento, da parte della società acquirente, del corrispettivo nello stesso indicato in favore dei venditori.

L’apprezzamento delle risultanze probatorie svolte dai giudici di merito – secondo i quali nell’anno oggetto di accertamento vi è stato il pagamento del corrispettivo ed è quindi sussistente il presupposto per la tassazione della plusvalenza – appare congruo ed immune da vizi e le censure svolte dal ricorrente con i mezzi in esame tendono in realtà ad una revisione del percorso argomentativo seguito dai giudici di secondo grado e sono sostanzialmente finalizzate ad ottenere una inammissibile rivisitazione del materiale probatorio già sottoposto al vaglio dei giudici di merito, pur facendo apparire i motivi come fondati su violazioni di legge.

Va, infatti, evidenziato che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 24054 del 12/10/2017).

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 14468 del 2015; Cass., sez. 6 – 2, ordinanza n. 24054 del 12/10/2017).

Nella specie, il ricorrente, pur denunciando con il secondo ed il terzo mezzo violazioni di legge, mira in realtà ad una inammissibile diversa valutazione del merito, che avrebbe dovuto, peraltro, essere fatta valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nei limiti consentiti dalla nuova formulazione temporalmente applicabile.

4.3. Parimenti infondato è anche il primo motivo di ricorso, posto che “La violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda; tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione” (Cass. Sez. 3, ordinanza n. 906 del 17/01/2018). Tale principio non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti (Cass., sez. 1, ord. n. 29200 del 13/11/2018)

Nel caso in esame, i giudici di appello hanno ritenuto legittimo l’accertamento operato dall’Amministrazione finanziaria, ponendo a fondamento del loro convincimento esclusivamente i fatti dedotti ed allegati dalle parti, sicchè non è configurabile il vizio di cui all’art. 112 c.p.c. denunciato dal ricorrente.

5. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 31 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2020

 

 

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