Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16500 del 02/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16500 Anno 2013
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: DIDONE ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 19980-2012 proposto da:
VILLANI LUISA VLLLSU45D63G9640, elettivamente domiciliata
in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e
difesa dall’avvocato FIERRO FRANCESCO, giusta mandato a
margine del ricorso per revocazione;

– ricorrente contro
IACOMINO ANNA, elettivamente domiciliata in ROMA, presso la
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
TRUNFIO NICOLA, giusta procura a margine del controricorso;

– contron’corrente nonchè contro
FALLIMENTO CARANNANTE TOMMASO n. 738/88,
MAIONE FRANCESCO;

Data pubblicazione: 02/07/2013

- intimati avverso la sentenza n. 5620/2012 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE del 4.10.2011, depositata il 05/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ROSARIO
GIOVANNI RUSSO che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Ric. 2012 n. 19980 sez. M1 – ud. 14-05-2013
-2-

14/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE.

Ritenuto in fatto e in diritto
1.- La Prima Sezione civile di questa Corte, con sentenza del 5.4.2012 n. 5620,
pronunciando sul ricorso proposto da:
MAIONE FRANCECO e VILLANI LUISA contro IACOMINO ANNA, e
FALLIMENTO CARANNANTE TOMMASO, in persona del curatore, pro
tempore avverso il provvedimento del Tribunale di Napoli in data 17 ottobre 2008 n.
5797108, ha così deciso per la parte che interessa:
«Francesco Maione e Luisa Villani propongono ricorso per cassazione, sulla base di
un solo motivo illustrato con memoria, nei confronti del Fallimento Carannante
Tommaso e del curatore, avv. Anna Maria Iacomino, avverso il provvedimento in data
17 ottobre 2008, con il quale il Tribunale di Napoli, Sezione fallimentare, ha liquidato,
nella misura di Euro 16.107,81, il compenso in favore di detto curatore, tenendo conto
di un attivo di Euro 804.703,60 e di un passivo di Euro 1.472.462,00.
Ha resistito con controricorso l’avv. Iacomino, mentre il Fallimento intimato non ha
svolto difese».
«2. Con un unico motivo di ricorso, Francesco Maione e Villani Luisa – denunciando
violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al D.M. 27
novembre 1976 e successive modificazioni e integrazioni, e premesso che il Fallimento
Carannnate Tommaso ha visto omologato un concordato fallimentare nell’aprile 2008
ed è stato dichiarato chiuso con provvedimento 15 luglio 2008 – deducono che,
diversamente da quanto indicato nel provvedimento impugnato, dove l’attivo
fallimentare è stato quantificato in Euro 804.703,60, l’attivo effettivamente realizzato
dall’avv. Iacomino è pari a zero, atteso che, del suddetto attivo, Euro 382.325,00 sono
stati realizzati dal precedente curatore De Fusco Renato ed altri Euro 512.839,92 da un
altro curatore, De Fusco Guido, per un totale di Euro 895.164,92, con la conseguenza
che non solo la Iacomino nessun attivo ha mai realizzato, ma che, al contrario, al
termine del suo incarico, risulta un ammanco dall’attivo complessivamente realizzato di
Euro 43.164,00. Di conseguenza, sotto il profilo dell’attivo realizzato, non poteva
essere riconosciuto un compenso superiore al minimo di Euro 516,46.
3. I ricorrenti deducono inoltre che:
– era in facoltà del Tribunale corrispondere al curatore fino allo 0,37% del passivo
accertato, ma ciò solo in ipotesi di chiusura in forma diversa dal concordato, e in ogni
caso si sarebbe dovuto motivare il riconoscimento di maggior favore, che nella
fattispecie in esame, però, non avrebbe potuto trovare applicazione, stante l’esito
negativo dell’operato posto in essere dall’ultimo curatore;
– in ogni caso quanto spettante alla curatela avrebbe dovuto essere diviso tra i curatori
che si sono succeduti nel tempo, rag. Grisolia, avv. Renato De Fusco e avv. Guido De
Fusco, e tuttavia gli importi loro riconosciuti hanno già ecceduto il massimo dei
compensi liquidabili;
– anche ammesso che l’avv. Guido De Fusco abbia rinunciato al proprio compenso,
detta rinuncia sarebbe dovuta andare a beneficio della massa e non del curatore che a
lui è succeduto;

R.G. 42_19980_2012

– non esistendo nel fallimento la fii,rtira del custode, la custodia dovrebbe competere al
curatore e, se questi si avvale dell’opera di un custode, il relativo compenso andrebbe
detratto da quello del curatore; nel caso di specie il curatore Iacomino si è avvalso di
un custode (avv. Maggio), al quale sono stati liquidati compensi con rimesse varie e il
Tribunale, nel liquidare il compenso alla Iacomino, non ha tenuto conto di quanto già
erogato al custode Maggio.
4. Osserva il collegio che il ricorso è inammissibile sotto molteplici profili. In primo
luogo, è privo dell’esposizione sommaria dei fatti rilevanti di causa, a cui il ricorrente
supplisce illegittimamente attraverso il mero e generico rinvio al contenuto – non
precisato in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione di cui
all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – di documenti allegati al ricorso stesso v. foglio 1,
lett. a) e c), del ricorso per cassazione: “Nel fallimento Carannante Tommaso si sono
avuti i fatti esposti, tra gli altri, al CSM con l’atto che si deposita”; “Nel corso della
gestione Iacomino si sono avuti i fatti di cui al riepilogo datato 10.11.08, che si
produce”. Deve infatti ritenersi che, per soddisfare il requisito dell’esposizione
sommaria dei fatti di causa, previsto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma
1, n. 3, è indispensabile che dal contesto del ricorso (ossia solo dalla lettura di tale atto
ed escluso l’esame di ogni altro documento, compreso il provvedimento impugnato) sia
possibile desumere una conoscenza del “fatto” sostanziale e processuale, sufficiente per
bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice
a quo, non potendosi distinguere, ai fini della detta sanzione d’inammissibilità, fra
esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente (Cass. S.U. 2006/11653; Cass.
2008/15808; 2010/5660) e neppure affidare alla Corte la selezione delle parti rilevanti
dei documenti prodotti e quindi l’individuazione e la valutazione dei fatti, che
costituisce attività estranea alla funzione del giudizio di legittimità.
5. L’unico motivo di ricorso è inoltre privo, quanto al dedotto vizio di violazione e falsa
applicazione del D.M. 27 novembre 1976, della formulazione – ai sensi dell’art. 366 bis
c.p.c., applicabile alla fattispecie ratione temporis, essendo stato il provvedimento
impugnato depositato il 17 ottobre 2008 – del quesito di diritto, che non può essere
desunto dal contenuto del motivo, non idoneo ad integrare il rispetto del requisito
formale specificamente richiesto dalla citata disposizione (Cass. 2007/16002;
2007/23153; 2008/20409), nè dalla semplice formulazione del principio di diritto che
la parte ritiene corretto applicare alla fattispecie (Cass. 2008/16941), quando tal
formulazione sia priva, come nel caso di specie, della precisazione della diversa regola
di diritto applicata nel provvedimento impugnato (Cass. S.U. 2008/2658; Cass.
2008/19769; 2008/24339).
Deve altresì osservarsi che l’asserito vizio di motivazione, peraltro prospettato del tutto
genericamente, non è stato illustrato, come previsto dall’art. 366 bis c.p.c., con la chiara
indicazione del fatto controverso in ordine al quale la motivazione sarebbe mancante o
delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renderebbe
inidonea a giustificare la decisione, attraverso un momento di sintesi (omologo del
quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non
ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità e da evitare che all’individuazione di dette ragioni possa pervenirsi solo

attraverso la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo e all’esito di
un’attività di interpretazione svolta dal lettore (Cass. S.I.T. 2007/20603; Cass.
2007/16002; 2008/8897).
6. Deve altresì osservarsi che il ricorso si fonda sull’enunciazione di numerosi elementi
di fatto, senza che i ricorrenti, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso
per cassazione, abbiano indicato nel ricorso medesimo se e in quali atti tali elementi di
fatto siano stati prospettati al giudice che ha effettuato la liquidazione del compenso
(Cass. 2006/3664; 2007/4843).
7. Rileva infine il collegio che vanno dichiarati inammissibili i motivi di ricorso
enunciati e illustrati dai ricorrenti nelle “note difensive” in data 10 febbraio 2009, in
quanto costituiscono motivi di censura nuovi, tardivamente proposti, e che non
possono essere prese in considerazione le circostanze di fatto enunciate nelle note
medesime, che avrebbero dovuto semmai essere esposte nel ricorso per cassazione,
alla stregua di quanto osservato al precedente punto
4. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, ma nulla deve disporsi in
ordine alla spese del giudizio di cassazione, stante la rilevata inammissibilità del
controricorso della Iacomino e non avendo il Fallimento Carannante Tommaso svolto
attività difensiva>>.
2.- Per le ragioni innanzi esposte la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.
Contro la predetta decisione Villani Luisa ha proposto ricorso per revocazione ai sensi
dell’art. 391 bis c.p.c. formulando sette motivi.
Resiste con controricorso Iacomino Anna.
1.1- E’ stata depositata la relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Il relatore ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
La relazione – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio
– è stata comunicata al P.M. e notificata alle parti.
Nel termine di cui all’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. la ricorrente ha depositato memoria.
L’errore revocatorio, previsto dall’art. 395, n. 4 cod. proc. civ., deve essere un errore
di percezione e deve avere rilevanza decisiva. In quanto errore di percezione, e non
errore di diritto, esso deve consistere nella erronea supposizione dell’esistenza di un
fatto, o della sua inesistenza, che, dal confronto con gli atti e i documenti della causa
risulti escluso in modo incontrovertibile. Non si è invece in presenza di un errore
percettivo, ma eventualmente di un errore di giudizio, quando il fatto su cui l’errore è
caduto ha costituito oggetto di decisione. Inoltre, per essere rilevante in sede di giudizio
di revocazione, l’errore lamentato deve essere stato decisivo, ovvero la decisione deve
fondarsi appunto sulla erronea supposizione (Sez. 3, Sentenza n. 605 del 17/01/2003).
A norma dell’art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., una sentenza può essere
oggetto di revocazione solo quando sia effetto del preteso errore di fatto e cioè
unicamente nell’ipotesi in cui il fatto che si assume erroneo costituisca il fondamento
della decisione revocanda o rappresenti l’imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa
logica di tale decisione, sì che tra il fatto erroneamente percepito, o non percepito, e la
statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da
determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa (Sez. un., n.
1666/2009).

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4.- Il ricorso è inammissibile perché nessuno dei sette motivi posti a base
dell’impugnazione per revocazione risponde ai requisiti indicati sub 3.
Non il primo, perché se fosse fondato la Corte avrebbe soltanto emesso per errore una
pronuncia di inammissibilità con sentenza anziché con ordinanza. Mancherebbe
persino l’interesse ad una simile doglianza, peraltro manifestamente infondata perché
la circostanza che l’inammissibilità non venga dichiarata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
non preclude alla Corte, in pubblica udienza, di rilevare e dichiarare inammissibile un
ricorso.
Non il secondo perché la mancata riunione dei ricorsi non ha avuto incidenza causale
sulla decisione di inammissibilità: il ricorso inammissibile per difetto di forma non per
questo cessa di essere tale sol perché riunito ad altro ricorso.
Non il terzo perché l’erronea valutazione circa l’autosutlicienza di un ricorso potrebbe,
al più, costituire errore di giudizio e non di percezione (se così non fosse, il collegio
chiamato a decidere sulla revocazione dovrebbe ripetere un’autonoma valutazione
dell’autosutlicienza e il rimedio ex art. 391 bis c.p.c. si trasformerebbe in un quarto
grado di giudizio).
Non il quarto perché il ricorso è stato ritenuto «inammissibile sotto molteplici
Profili» e la motivazione successiva alla prima (relativa all’autosufficienza) è stata
formulata ad abundantiam. Peraltro, anche l’idoneità dei quesito di diritto (o della
sintesi del fatto controverso: quinto motivo) costituisce oggetto di una valutazione che
può essere erronea ma non affetta da errore di percezione, salvo il caso (che non
ricorre nella concreta fattispecie) di quesito formalmente esistente che si affermi nella
decisione come inesistente.
Non il sesto, mancando la decisività, una volta chiarito che il ricorso era inammissibile
per altri motivi (inidoneità dei quesiti) oltre a quello relativo all’autosufficienza.
Neppure il settimo, infine, perché attiene al contenuto della memoria e anche in tal
C5() manca la decisività del presunto errore, non venendo meno l’inammissibilità per
violazione dell’art. 366 bis c.p.c.
3. – Il ricorso, quindi, deve essere dichiarato inammissibile. Le spese processuali liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento)
delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 2.100,00 di cui euro 100,00 per
esborsi oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 maggio 2013

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