Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16499 del 31/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 31/07/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 31/07/2020), n.16499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 22360 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

B.T., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore, dall’avv.

Grazia Tiberia Pomponi, presso lo studio della quale in Roma, alla

via Pietro Borsieri, n. 12, elettivamente si domicilia

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione RG n. 22360/2014

tributaria regionale del Veneto, sede staccata di Verona, pubblicata

in data 3 febbraio 2014, n. 202/15/14;

sentita la relazione sulla causa svolta dal consigliere Dott.ssa

Perrino Angelina-Maria nel corso dell’adunanza del 14 gennaio 2020.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Tiziano B. è imprenditore individuale;

– emerge dagli atti e dalla sentenza impugnata che l’Agenzia delle entrate recuperò maggiore materia imponibile in relazione all’anno d’imposta 2006, in base a rilievi analitici e all’esito di indagini bancarie, con avviso di accertamento che il contribuente impugnò, limitatamente al primo dei quattro rilievi analitici e a parte dei movimenti bancari esaminati dall’ufficio, ottenendo in primo luogo la riduzione in sede di autotutela dell’importo dei maggiori ricavi, pari alla differenza tra l’importo indicato nell’avviso e quello giustificato, e correlativamente dell’importo dei costi deducibili;

– la Commissione tributaria provinciale di Verona accolse comunque parzialmente il ricorso, limitatamente all’unico rilievo analitico ancora in contestazione e alla rilevanza del versamento di un assegno, che considerò relativo all’acquisto di un’autovettura;

– contro questa sentenza proposero appello principale dall’Agenzia e incidentale dal contribuente e la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto il primo e ha respinto il secondo;

– a sostegno della decisione, il giudice d’appello ha escluso l’esistenza di elementi idonei a far ritenere l’insussistenza dell’autorizzazione allo svolgimento delle indagini bancarie o comunque l’irregolarità di essa; ha sottolineato che l’accertamento è congruamente motivato in relazione a ciascuna delle operazioni rilevanti e che, a fronte delle presunzioni legali, il contribuente non è stato in grado di spiegare analiticamente tutti i movimenti a lui riferibili;

– contro questa sentenza propone ricorso il contribuente, che affida a quattro motivi, e che illustra con memoria, cui l’Agenzia delle entrate replica con controricorso.

Considerato che:

nel contempo inammissibile e infondato è il primo motivo di ricorso, col quale il contribuente denuncia la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, commi 1 e 2, e 7 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, nn. 2) e 7), là dove il giudice d’appello ha trascurato che l’assenza del provvedimento autorizzativo emerge dalla mancata produzione di alcunchè da parte dell’Agenzia nel corso del giudizio;

esso è inammissibile, perchè si sostanzia nell’aggressione del ragionamento presuntivo, rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, in base al quale la Commissione tributaria regionale ha desunto dalla menzione dell’autorizzazione nell’avviso di accertamento e dall’insussistenza dell’obbligo di esibizione dell’atto che l’autorizzazione effettivamente esistesse; sicchè il motivo risulta anche infondato, in base all’orientamento di questa Corte (tra varie, si veda Cass. 10 febbraio 2017, n. 3628), secondo cui l’autorizzazione prescritta ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicchè la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente;

il motivo va quindi respinto;

nel contempo inammissibile e infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, col quale il contribuente si duole della violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, con riguardo al passaggio dell’Ufficio dal metodo analitico a quello induttivo, in mancanza dei relativi presupposti;

– il motivo è inammissibile, là dove non aggredisce effettivamente (benchè la menzioni) la statuizione del giudice d’appello, secondo il quale a proposito delle indagini bancarie l’Agenzia non ha affatto svolto un accertamento induttivo, ma ha applicato presunzioni di legge, che il contribuente non ha superato; esso è poi infondato, in quanto l’Ufficio non ha compiuto alcun passaggio, ma ha giustapposto a quattro rilievi analitici l’indagine bancaria;

– il motivo va in conseguenza respinto;

– inammissibile e nel contempo infondato è anche il terzo motivo di ricorso, col quale il ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione dello statuto dei diritti del contribuente, art. 7, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, sostenendo che l’avviso di accertamento non fosse motivato, sia perchè non era prodotta l’autorizzazione allo svolgimento delle indagini bancarie, sia perchè non si esprimeva alcuna valutazione in ordine alle conclusioni del processo verbale di constatazione, acriticamente recepite;

– il motivo è inammissibile, perchè assume una situazione contrastante con l’accertamento di fatto contenuto in sentenza, in cui si legge che “l’avviso è stato motivato dettagliatamente per ciascuna delle operazioni rilevate nei conti esaminati”; esso è poi infondato, sia perchè, come già rimarcato, l’assenza dell’autorizzazione di per sè non si riverbera sull’illegittimità dell’avviso, sia perchè il recepimento delle risultanze del processo verbale di constatazione ne comporta l’assunzione di paternità da parte di chi lo recepisca;

inammissibile è infine il quarto motivo di ricorso, col quale il contribuente, dietro lo schermo della deduzione del vizio di motivazione, in realtà propone una rivalutazione del merito, perdipiù proponendo una censura d’insufficienza della motivazione inibita dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis;

il ricorso va quindi rigettato e le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il contribuente a pagare le spese, che liquida in Euro 5600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 31 luglio 2020

 

 

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