Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16498 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. II, 11/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 11/06/2021), n.16498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25779/2019 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO BORSIERI,

presso lo studio dell’avvocato ANGELO AVERNI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIOVITO ALTAMURA;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE INTERNAZIONALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE LECCE;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 26/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Lecce, con decreto pubblicato il 26 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da B.L., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale riteneva non necessario procedere all’audizione del richiedente formulata senza indicare alcuno specifico aspetto meritevole di essere chiarito mediante l’ascolto diretto rispetto a quanto dichiarato dinanzi la commissione territoriale.

3. Il richiedente aveva riferito di essere stato costretto ad espatriare perchè il padre aveva venduto una casa di cui era proprietario ad insaputa dei suoi fratelli, zii del richiedente, e quando questi lo avevano scoperto lui aveva deciso di scappare perchè volevano sapere dove si era nascosto il padre. Gli zii lo volevano denunciare perchè anche lui aveva partecipato alla vendita della casa familiare e la polizia lo aveva arrestato, dopo una settimana era uscito con la garanzia della madre. In caso di rimpatrio temeva di incontrare gli stessi problemi e di dover testimoniare al processo.

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto i fatti narrati dal richiedente non erano relativi a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale. Il Tribunale rigettava anche la domanda di protezione sussidiaria atteso che allo tesso modo non emergevano elementi tali da far ritenere sussistenti le esigenze di protezione di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Quanto alla protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), doveva evidenziarsi che mancavano i presupposti connessi alla situazione di conflitto o instabilità interna e, in ogni caso, la situazione generale del paese non era caratterizzata da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato come risultante dalle fonti internazionali.

Con riferimento alla protezione umanitaria il Tribunale evidenziava che doveva confermarsi l’insussistenza di una condizione di vulnerabilità tenuto conto della mancanza di integrazione e della situazione soggettiva del ricorrente non caratterizzata neppure da idonee risorse economiche.

4. B.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di i motivi di ricorso.

5. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 35 bis, comma 9 e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7 e 14.

La censura ha ad oggetto il diniego di protezione sussidiaria per l’irrilevanza delle circostanze di fatto narrate dal richiedente. Sarebbe stato onere del Tribunale, in ottemperanza al dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza, di attivare i propri poteri istruttori per accertare l’effettiva situazione del Gambia. Nel caso di specie l’accertamento non sarebbe stato adeguatamente svolto non essendovi un sufficiente riferimento alle fonti internazionali e sarebbe stata erroneamente valutata l’assenza di una minaccia di un danno grave.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3.

In sostanza, si lamenta che il Tribunale avrebbe trascurato di considerare la situazione di speciale vulnerabilità personale, correlata all’oggettiva situazione del Gambia ed il percorso di integrazione che il richiedente ha avviato in Italia.

3. I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Nella specie il Tribunale ha ritenuto che il racconto del richiedente, a prescindere dalla sua credibilità, non contenesse elementi tali da poter desumere una situazione di persecuzione o di rischio grave.

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito.

Il Tribunale ha anche motivato sia in relazione alla situazione soggettiva del ricorrente sia in ordine alla situazione complessiva del paese di provenienza, sicchè è del tutto evidente che non vi è stata alcuna violazione di legge o omessa motivazione nell’accezione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ne consegue che la censura si risolve in una richiesta di nuova valutazione dei medesimi fatti.

Come si è detto il Tribunale ha esaminato, richiamando varie fonti di conoscenza, la situazione generale del paese di origine del ricorrente, precisando che, in base alle fonti, deve escludersi una situazione di violenza indiscriminata in conflitto armato.

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo, quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti, è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del paese.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, anche in questo caso il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che il percorso di integrazione documentato non fosse sufficiente per ritenere sussistente una condizione di elevata vulnerabilità in caso di rimpatrio forzoso nel paese di origine. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

4. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2100 più spese prenotate a debito;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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