Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16497 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. II, 11/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 11/06/2021), n.16497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25771/2019 proposto da:

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO

BORSIERI 12, presso lo studio dell’avvocato ANGELO AVERNI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIOVITO ALTAMURA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE LECCE, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 19/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Il Tribunale di Lecce, con decreto pubblicato il 19 giugno 2019, respingeva il ricorso proposto da D.A., cittadino della Costa d’Avorio, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. Il Tribunale riteneva non necessario procedere all’audizione del richiedente formulata senza indicare alcuno specifico aspetto meritevole di essere chiarito mediante l’ascolto diretto rispetto a quanto dichiarato dinanzi la commissione territoriale.

3. Il richiedente aveva riferito di essere stato costretto ad espatriare perchè era stato sorpreso mentre consumava un rapporto sessuale con un uomo. In tale occasione era stato anche picchiato. Dopo essere stato ricoverato in ospedale aveva deciso di lasciare il paese. In caso di rientro temeva per la sua incolumità.

Il Tribunale rigettava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto i fatti narrati dal richiedente oltre a non essere credibili non attenevano a persecuzioni per motivi di razza, nazionalità, religione, opinioni politiche o appartenenza ad un gruppo sociale. Il Tribunale rigettava anche la domanda di protezione sussidiaria atteso che il racconto non era attendibile, in quanto intriso di contraddizioni e di elementi vaghi e generici, essendo del tutto inverosimile che il fatto che il richiedente fosse stato costretto a lasciare il suo paese a causa della sua omosessualità. Pertanto non emergevano elementi tali da far ritenere sussistenti le esigenze di protezione di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Quanto alla protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), doveva evidenziarsi che mancavano i presupposti connessi alla situazione di conflitto o instabilità interna e, in ogni caso, la situazione generale del paese non era caratterizzata da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato come risultante dalle fonti internazionali.

Con riferimento alla protezione umanitaria il Tribunale evidenziava che doveva confermarsi l’insussistenza di una condizione di vulnerabilità tenuto conto della mancanza di integrazione e della situazione soggettiva del ricorrente non caratterizzata neppure da idonee risorse economiche.

3. D.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto decreto sulla base di due motivi di ricorso.

4. Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 35 bis, comma 9 e D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7 e 14.

La censura attiene alla violazione dell’obbligo di cooperazione che impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante poteri di indagine e di acquisizione documentale. Nella specie l’accertamento non sarebbe stato adeguatamente svolto, essendosi il Tribunale limitato all’apodittica considerazione che la situazione di conflitto e di rischio generalizzato non riguarderebbe il paese di provenienza del ricorrente. Il ricorrente contesta la mancanza di riferimento a fonti internazionali e alle ragioni della ritenuta scarsa credibilità del racconto soprattutto in riferimento alla sua condizione di omosessualità.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

La censura attiene al mancato riconoscimento della protezione umanitaria in assenza di un’approfondita audizione volta all’esame individuale per l’accertamento della vulnerabilità in concreto. Il Tribunale avrebbe omesso ogni approfondimento istruttorio non esaminando a fondo la vicenda narrata in relazione alla fuga dalla Costa d’Avorio e alle conseguenze di un eventuale rimpatrio.

4. I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

Il ricorrente formula un primo motivo del tutto generico e privo di elementi di specificità, limitandosi a richiedere una diversa valutazione del racconto al fine di affermarne la credibilità. Occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del Giudice, ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass., 14 novembre 2017, n. 26921).

Anche nel caso il racconto del richiedente riguardi la sfera sessuale, il Giudice non può ritenersi esonerato dal motivare le ragioni per le quali egli deve essere ritenuto credibile sulla scorta dei consueti parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Nella specie, il Tribunale ha ampiamente motivato sulle ragioni per le quali il racconto non poteva ritenersi credibile, confermando la valutazione già espressa dalla Commissione territoriale.

A questo proposito deve dunque richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il giudizio in ordine alla credibilità del racconto del richiedente, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

La critica formulata nei motivi costituisce, dunque, una mera contrapposizione alla valutazione che il Tribunale ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone adeguata motivazione, neppure censurata mediante allegazione di fatti decisivi emersi nel corso del giudizio che sarebbero stati ignorati dal giudice di merito. In particolare, con riferimento alla genericità, inverosimiglianza e contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente.

Il Tribunale, inoltre, ha fatto esplicito riferimento alle fonti internazionali dalle quali ha tratto la convinzione che la Costa d’Avorio non possa ritenersi una zona rientrante tra quelle di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Il potere-dovere di cooperazione istruttoria, correlato all’attenuazione del principio dispositivo quanto alla dimostrazione, e non anche all’allegazione, dei fatti rilevanti è stato dunque correttamente esercitato con riferimento all’indagine sulle condizioni generali del Paese, benchè la vicenda personale narrata sia stata ritenuta non credibile dai giudici di merito (Cass. n. 14283/2019).

Deve ribadirsi che, in tema di protezione sussidiaria, anche l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui alla norma citata, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Inoltre, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), deve evidenziarsi che il racconto del richiedente non è stato ritenuto credibile e che, in tal caso, non si impone l’esercizio dei poteri ufficiosi circa l’esposizione a rischio del richiedente in virtù della sua condizione soggettiva.

In ordine al riconoscimento della protezione umanitaria, il diniego è dipeso dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità, peraltro neanche allegata. Il racconto del ricorrente, inoltre, non è stato ritenuto credibile in relazione alle ragioni che hanno dato origine alla partenza e la situazione del paese non è stata ritenuta soggetta ad una violenza indiscriminata. All’accertamento compiuto dai giudici di merito viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

5. In conclusione il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2100 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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