Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16495 del 11/06/2021

Cassazione civile sez. II, 11/06/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 11/06/2021), n.16495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25258/2019 proposto da:

A.M.S., domiciliato in ROMA presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato CARLA

MANNETTI, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

17/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/02/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 A.M.S., cittadino del Bangladesh, impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di essere fuggito dal Bangladesh a causa delle minacce subite dagli zii, che dopo la morte del padre, avevano accampato pretese sui beni immobili della sua famiglia, in precedenza appartenuti al nonno paterno, senza tenere conto delle precarie condizioni economiche del richiedente e della sua famiglia. Aggiungeva che tali minacce erano degenerate in atti di violenza che lo avevano costretto dapprima ad abbandonare il villaggio sino a dover espatriare. Invocava quindi in via principale il riconoscimento della tutela sussidiaria ed in subordine di quella umanitaria.

Il tribunale di Bologna con il decreto del 17 luglio 2019 rigettava la domanda rilevando che la vicenda narrata pur risultando credibile, quanto all’esistenza di contasti con i familiari paterni ed in merito alle rivendicazioni economiche di questi ultimi, non denotava tuttavia una situazione tale da legittimare la concessione della richiesta protezione, risolvendosi la situazione narrata in un contrasto di carattere privato ed ispirato da ragioni economiche, sicchè anche la decisione del ricorrente di migrare era dettata da ragioni esclusivamente economiche.

Andava quindi esclusa la possibilità di riconoscere lo status di rifugiato, come del pari doveva escludersi una situazione di violenza generalizzata in Bangladesh, come comprovato dalle COI più aggiornate, che escludevano che in quel paese vi fosse una situazione di conflitto armato tale da esporre la popolazione civile ad un pericolo siffatto.

Nè infine poteva accedersi alla domanda di protezione umanitaria, e ciò anche alla luce del raffronto comparativo tra la situazione del richiedente in Italia (ove risultava svolgere un’attività lavorativa a tempo determinato parziale misto) e quella nel paese d’origine, ove tuttora conservava i riferimenti affettivi e familiari.

Propone ricorso per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale di Bologna A.M.S. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 ed 11, artt. 50 bis e 276 c.p.c., in quanto il Tribunale ha delegato ad un giudice onorario, poi non facente parte del collegio che ha deciso la causa, l’esame del ricorrente.

Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, avuto riguardo alla pacifica giurisprudenza di questa Corte che ha anche di recente ribadito che (Cass. n. 4887/2020) in materia di protezione internazionale, non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito il giudice onorario di tribunale abbia proceduto all’audizione del richiedente, rimettendo poi la causa per la decisione al collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione, poichè del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, recante la riforma organica della magistratura onoraria, consente ai giudici professionali di delegare, anche nei procedimenti collegiali, compiti e attività ai giudici onorari, compresa l’assunzione di testimoni, mentre l’art. 11 del medesimo D.Lgs., esclude l’assegnazione dei fascicoli ai giudici onorari solo per specifiche tipologie di giudizi, tra i quali non rientrano quelli di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis (conf. Cass. n. 7878/2020).

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. da 2 a 6 e art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di protezione sussidiaria, ritenendo che il richiedente avesse deciso di abbandonare il Bangladesh per motivazioni esclusivamente economiche.

La censura è inammissibile.

La condizione generale del Paese di provenienza del richiedente la protezione, rilevante non soltanto nell’ambito della valutazione della sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, ma anche ai fini del riconoscimento della tutela umanitaria, è infatti stata apprezzata adeguatamente dal Tribunale. La decisione impugnata dà atto che le fonti privilegiate consultate dal giudice di merito (informazioni generali sul Bangladesh pubblicate sul sito dell’E.A.S.O. e rapporti dell’Human Rights Watch relativi agli anni 2017 e 2018) confermano che anche alla luce della situazione dedotta dal ricorrente, questi non sarebbe esposto ad un rischio in caso di rimpatrio, tale da giustificare la concessione della misura di protezione richiesta. In tal modo il giudice di merito ha valutato i profili di rischio evidenziati dalle fonti consultate, ed in particolare quello specificamente riferito a determinate categorie soggettive e quello generale esistente nel Paese, ed ha ritenuto il primo irrilevante a fronte della non appartenenza del richiedente la protezione ad una delle categorie a rischio, ed il secondo inidoneo a raggiungere il livello previsto ai fini del riconoscimento della protezione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e ciò anche alla luce della natura meramente economica della causa che ha determinato il contrasto con i parenti del padre.

Detta duplice valutazione, che si sostanzia in un giudizio di merito e non è inficiata da illogicità manifeste o da irriducibili contrasti logici, è sottratta al sindacato di questa Corte.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta nella sintesi dei motivi la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, mentre nella rubrica successivamente deduce la nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per motivazione apparente o inesistente, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.P.R. n. 394 del 1999, artt. 11 e 29, ed del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 bis.

Si deduce che è stata altresì rigettata la domanda di protezione umanitaria senza però procedere all’effettiva valutazione comparativa come richiesta dalla giurisprudenza di legittimità, senza che l’esame del richiedente avesse permesso di far emergere i dati a tal fine rilevanti.

Il motivo è inammissibile in quanto anche in tal caso si risolve nella sollecitazione del ricorrente a questa Corte a procedere ad un novellato riesame dei fatti di causa, inde pervenire ad una più appagante soluzione rispetto a quella offerta dal giudice di merito con ampia ed articolata motivazione.

Il Tribunale ha in realtà dato piena attuazione alle verifiche che la giurisprudenza di questa Corte sollecita ai fini della delibazione della domanda di protezione umanitaria, evidenziando come, proprio alla luce di quanto riferito dal ricorrente, circa le ragioni del proprio espatrio, non ricorresse una condizione di vulnerabilità effettiva, aggiungendo che il pur lodevole tentativo di inserimento lavorativo in Italia non poteva far propendere per l’accoglimento della domanda, a fronte del radicamento nel paese di origine di legami affettivi e familiari. Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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