Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16491 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. III, 13/07/2010, (ud. 20/05/2010, dep. 13/07/2010), n.16491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21906/2009 proposto da:

C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. CARONNA Andrea,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.V.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO MAGNO,

2/B, presso lo studio dell’avvocato GUZZI FRANCESCA, rappresentata e

difesa dagli avvocati GIOIA Giuseppe, SANGUEDOLCE SEBASTIANO, giusta

mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 593/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

20.2.09, depositata l’11/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA VIVALDI.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. RICCARDO FUZIO.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1. – E’ chiesta la cassazione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Palermo in data 20.2.2009 e depositata in data 1.4.2009 in materia di opposizione a decreto ingiuntivo.

Ai ricorsi proposti contro sentenze o provvedimenti pubblicati, una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio e dichiarato inammissibile, se si considera che la formulazione dei motivi per cui è chiesta la cassazione della sentenza non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis.

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, infatti, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta.

Nella specie il ricorrente, con cinque motivi, denuncia vizi di motivazione e violazioni di norme di diritto (artt. 91 e 92 c.p.c.).

Sotto il profilo dei vizi di motivazione, oggetto dei primi quattro motivi, deve rilevarsi quanto segue.

Nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

E’ stato più volte affermato che nella norma dell’art. 366 bis c.p.c., nonostante la mancanza di riferimento alla conclusività (presente, invece, per il quesito di diritto), il requisito concernente il motivo di cui al precedente art. 360 c.p.c., n. 5, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata; sicchè, non è possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è, conseguentemente, inidonea a sorreggere la decisione (Cass. 18.7.2007 n. 16002; Cass. 22.2.2008 n. 4646; Cass. 25.2.2008 n. 4719).

A tal fine, deve sottolinearsi che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, nelle ipotesi di vizio di motivazione, la relativa censura, dopo la riforma, deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze, nè in sede di formulazione del ricorso, nè in sede di valutazione della sua ammissibilità (in tali sensi la relazione al D.Lgs. n. 40).

Nella specie, l’indicazione del o dei fatti controversi rispetto ai quali si assume il vizio di motivazione non è per nulla puntuale, nè, tanto meno, sono puntualmente indicate le ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea sorreggere la decisione; risolvendosi, piuttosto i motivi in una “reintepretazione” delle risultanze probatorie, non consentita in sede di legittimità.

In ordine al quinto motivo, di violazione di norme di diritto (artt. 91 e 92 c.p.c.), da un lato deve rilevarsene la sua inammissibilità per essere il quesito proposto astratto, senza alcun riferimento al caso concreto.

Dall’altro, peraltro, deve sottolinearsene anche l’infondatezza, avendo la Corte di merito basato la statuizione di condanna alle spese sulla soccombenza con riferimento all’esito finale del giudizio.

Nè alcun rilievo riveste, nel caso in esame, l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., avvenuta ad opera della L. 18 giugno 2009 n. 69, art. 47, comma 1, lett. d), posto che la disposizione di diritto transitorio dell’art. 58, comma 5 della stessa legge dispone l’applicazione dell’art. 47 soltanto alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato, ovvero, nei casi in cui non sia stata prevista la pubblicazione, sia stato depositato successivamente all’entrata il vigore della suddetta legge (4 luglio 2009).

Nel caso in esame la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 1.4.2009″.

La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti.

Non sono state presentate conclusioni scritte, nè alcuna delle parti è stata ascoltata in Camera di consiglio.

Il ricorrente ha presentato memoria.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio – esaminati i rilievi contenuti nella memoria – ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.

Ha ritenuto di dovere osservare.

Con riferimento ai vizi di motivazione denunciati, l’indicazione dei relativi fatti controversi, della loro decisività e delle ragioni per le quali la motivazione si ritiene viziata non appare formulata puntualmente, specie se si tiene conto del rilievo che deve essere conferito alla decisività del fatto controverso, per ritenere la censura di vizio motivazionale ammissibile e rilevante.

Il richiamo dei precedenti formulato dal ricorrente nella memoria non è pertinente, posto che, nel caso in esame, la lettura dei motivi non consente per nulla di individuare “la chiara sintesi logico – giuridica delle questioni poste al vaglio del Giudice di legittimità”, ma piuttosto si concretizza in una nuova analisi delle valutazioni di fatto operate dal giudice di merito; non consentita in questa sede.

Quanto al motivo di violazione di norme giuridiche (artt. 91 e 92 c.p.c.), va ribadita la conclusione cui perviene la relazione, per l’astrattezza del quesito, ed in ogni caso, per la sua infondatezza.

Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

 

 

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