Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16483 del 05/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 05/07/2017, (ud. 05/04/2017, dep.05/07/2017),  n. 16483

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19679-2014 proposto da:

COMUNE MELFI, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato

in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 17, presso lo studio dell’avvocato

GIANCARLO VIGLIONE, rappresentate e difeso dall’avvocato MARIO

ROMANELLI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del

ministro p.t., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 163/2014 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 16/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

5/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata il 29 novembre 2004 il Ministero delle Finanze espose che: 1) l’Ufficio del Registro di Melfi, nei mesi di giugno, luglio, settembre e ottobre dell’anno 1983 aveva trasmesso al Comune di Melfi processi verbali relativi al mancato pagamento della tassa di circolazione da parte di numerosi proprietari di autoveicoli, perchè procedesse alla notifica degli stessi entro il 31 dicembre 1993, termine entro il quale si sarebbe prescritta la pretesa tributaria, 2) la richiesta del predetto Ufficio di restituzione degli atti con relata di notifica aveva sortito esito negativo; 3) l’Ufficio del Registro aveva denunciato l’accaduto alla competente Procura delle Repubblica, che aveva sequestrato gli atti, 4) tale situazione aveva determinato un danno pari a Lire 249.149.765, pari all’ammontare dei tributi non riscossi.

Tanto premesso, il Ministero delle Finanze convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Potenza, il Comune di Melfi chiedendone la condanna al risarcimento dei danni quantificati come sopra precisato.

Il Comune convenuto si costituì chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale adito, con sentenza del 2 novembre 2004, accolse parzialmente la domanda e condannò il convenuto al pagamento della somma di Euro 60.000,00, oltre rivalutazione ed interessi.

La Corte di appello di Potenza, con sentenza depositata il 16 maggio 2014, rigettò l’appello principale proposto dal Comune di Melfi e accolse, invece, l’appello incidentale proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, condannando il Comune di Melfi al pagamento, in favore del detto Ministero, a titolo di capitale, della somma di Euro 128.675,11, oltre rivalutazione e interessi come riconosciuti nella sentenza impugnata, nonchè al pagamento delle ulteriori spese processuali.

Avverso la sentenza della Corte di appello il Comune di Melfi ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione della L. n. 142 del 1990, art. 64. Violazione della L. n. 265 del 1999, art. 10”, il ricorrente sostiene che, stante l’abrogazione del T.U. n. 382 del 1934, art. 273, e la conseguente insussistenza di un obbligo in capo al Comune di notificare gli atti dell’Amministrazione Finanziaria, non sarebbe configurabile “un rapporto di preposizione tra gli Enti in parola”, qualificato come mandato ex lege, la cui violazione avrebbe potuto costituire fonte di responsabilità in capo al Comune ricorrente.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60”, il Comune di Melfi lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto applicabile alla fattispecie la norma di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, sostenendo il Comune che tale norma prevede specifici casi nei quali gli atti dell’Amministrazione centrale possono essere notificati mediante messi comunali sicchè della stessa non sarebbe possibile un’interpretazione analogica e che, nella specie, la disciplina applicabile ratione temporis, sarebbe quella dettata dalla L. 24 gennaio 1978, n. 27, che, per la notificazione dei processi verbali e delle ingiunzioni di pagamento emesse dall’ufficio del Registro, non prevedrebbe esplicitamente, in capo all’Ufficio o al Comando da cui dipenda l’agente accertatore ovvero in capo all’Ufficio del Registro, l’avvalimento dei messi comunali.

Ad avviso del ricorrente, pertanto, il Comune non avrebbe potuto essere obbligato da parte dell’Amministrazione Finanziaria ad eseguire, tramite i propri messi comunali, le notifiche in questione.

3. I motivi primo e secondo, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente.

3.1. La questione che viene all’esame è stata già esaminata da questa Corte più volte. In particolare con la sentenza n. 23462 del 19/11/2010 è stato osservato che la giurisprudenza costante di legittimità a partire “da S.U. n. 10929/97,… colloca il rapporto tra l’Amministrazione richiedente e il Comune nell’alveo del mandato ex lege” ed è stato evidenziato che “proprio in tema di avviso di accertamento tributario… si sono avute altre pronunce in tal senso (Cass. n. 5987/98 e Cass. n. 23679/08) con l’ulteriore precisazione che la violazione di quel mandato costituisce fonte di responsabilità esclusiva a carico del Comune, non essendo ravvisabile l’instaurazione di un rapporto di servizio diretto tra l’Amministrazione finanziaria e messo comunale che opera alle esclusive dipendenze del Comune. Infatti, i messi comunali agiscono nell’adempimento degli obblighi di prestazione che derivano dal rapporto di impiego pubblico che li legano al comune, nella cui struttura sono inseriti e in quest(o) rapporto trovano titolo e giuridico fondamento a ogni loro pretesa connessa con l’esercizio dell’attività notificatoria, ancorchè svolta nell’interesse e per conto delle altre Amministrazioni (Cass. S.U. n. 6409/05; Cass. n. 26459/06)”. Con la medesima citata sentenza del 2010 è stato pure precisato che la disposta abrogazione del del T.U. n. 383 del 1934, art. 273, che consentiva pure, per quanto qui interessa, l’impiego dei messi comunali per le notifiche a beneficio dell’Amministrazione richiedente, prescrivendo la gratuità dell’adempimento, “non rileva per l’Amministrazione finanziaria, in quanto per essa vige, come disciplina speciale, la norma di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60. Il che riceve indirettamente conferma dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, che prevede per il messo comunale la notifica degli atti dell’Amministrazione finanziaria anche di natura processuale, eccetto il ricorso per cassazione (Cass. n. 18291/04)”.

3.2. Alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza appena richiamata, alla quale va data continuità in questa sede, i due motivi in scrutinio risultano del tutto infondati.

4. Con il terzo motivo, rubricato “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, il ricorrente rappresenta di avere, nel corso del giudizio di merito, ampiamente dedotto e provato anche la propria impossibilità, ovvero l’insuperabile difficoltà di poter procedere ad una tempestiva notifica degli atti, sia in ragione di un numero minimo di messi in servizio, sia in relazione al brevissimo tempo concessogli per l’esecuzione della notifica di moltissimi atti e sul punto la Corte di merito non avrebbe argomentato se non asserendo che, “in esecuzione di un mandato conferito dalla legge all’ente comunale, spetta a quest’ultimo munirsi degli strumenti per farvi fronte adeguatamente”.

4.1. Il motivo all’esame va disatteso, avendo la stessa parte ricorrente, nell’illustrazione del motivo, dato conto delle argomentazioni con le quali la Corte di merito ha disatteso le doglianze proposte dal Comune sulla questione in parola, sicchè non sussiste il lamentato omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti, atteso che il fatto storico cui ha fatto riferimento la parte, senza peraltro neppure evidenziarne in qualche modo la decisività, è stato comunque preso in considerazione dalla Corte di merito.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

6. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore del controricorrente, in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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