Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1648 del 24/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 24/01/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 24/01/2020), n.1648

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18581-2018 proposto da:

T.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

VALDINIEVOLE, 8, presso lo studio dell’avvocato BEATRICE CECI, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELA

CAPANNOLO, LUIGI CALIULO, MANUELA MASSA, CLEMENTINA PULLI, NICOLA

VALENTE;

– controricorrente –

avverso il decreto n. Cronol. 44603/2018 del TRIBUNALE di ROMA,

depositato il 09/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RIVERSO

ROBERTO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Tribunale di Roma, con il decreto n. 44603/2018, pronunciando ex art. 445 bis c.p.c., in sede di accertamento tecnico preventivo in materia di invalidità civile, non omologava l’accertamento del requisito sanitario relativo al ricorso promosso da T.L. e condannava la stessa ricorrente al pagamento delle spese relative al compenso liquidato al ctu non ostandovi il disposto dell’art. 152 disp. att. c.p.c..

avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione T.L. con un motivo illustrato; l’INPS ha resistito con controncorso;

è stata comunicata alle parti la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c. in tema di esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari, atteso che il ricorrente aveva fotiiiulato l’apposita dichiarazione prevista dalla norma citata ai fini dell’esonero delle spese di tutte le spese processuali, nelle quali rientrano anche quelle relative alla consulenza tecnica espletata nel giudizio ex art. 445 bis c.p.c.;

il ricorso è fondato. Ed invero secondo l’orientamento che si è affermato sul punto all’interno della giurisprudenza di legittimità (Cass. 17644/2016, 4481/2000, 4589/1998) ed al quale va dato seguito, nelle cause previdenziali e assistenziali, il soccombente che soddisfi i requisiti per ottenere l’esonero dalle spese processuali di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c. non può essere gravato dall’onere di sostenere le spese della consulenza tecnica d’ufficio. Più nel dettaglio, il suesposto articolo prevede che la parte soccombente non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito come limite

per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato. E questa Corte

di Cassazione, ha ritenuto di confermare, da ultimo con la sentenza n. 17644/2016, l’estensione di tale disciplina anche alle spese di consulenza tecnica posto che ” l’onere delle spese di consulenza tecnica d’ufficio non si sottrae alla comune disciplina delle spese processuali e che pertanto le stesse, a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c. non possono gravare sul soccombente nei confronti del quale sussistano le condizioni per l’esonero previste dalla richiamata disposizione”.

Pertanto, il tribunale avrebbe dovuto (nonostante la soccombenza del ricorrente) porre per intero le spese di c.t.u. a carico dell’Istituto previdenziale, per le quali va estesa la medesima disciplina prevista per l’esenzione dalle spese processuali.

La sentenza impugnata si rivela perciò illegittima (Cass.n. 14566/2019) nella parte in cui violando l’art. 152 disp. att. c.p.c. ha condannato il soccombente al pagamento delle spese relative al compenso liquidato al etti pur rientrando la stessa parte ricorrente nel regime di esenzione stabilito dalla normativa;

il ricorso va quindi accolto, la sentenza deve essere cassata in parte qua e la causa va decisa nel merito dovendosi dichiarare che la parte ricorrente non fosse quindi tenuta a pagare le spese di ctu il cui pagamento va invece posto a carico dell’INPS.

Le spese del giudizio di legittimità seguono invece la soccombenza come in dispositivo.

Avuto riguardo all’esito del giudizio non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in parte qua e decidendo nel merito dichiara che T.L. non fosse tenuta a pagare le spese di ctu nel giudizio ex art. 445 c.p.c. il cui pagamento va invece posto a carico dell’INPS. Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 550 di cui Euro 350 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’adunanza camerale, il 25 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 24 gennaio 2020

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