Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16472 del 05/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 05/07/2017, (ud. 17/03/2017, dep.05/07/2017),  n. 16472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16173-2015 proposto da:

O.C., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti –

contro

NATIONALE SUISSE COMPAGNIA ITALIANA DI ASSICURAZIONI in persona del

procuratore Dott. T.R., D.L.D.,

P.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PASUBIO 2, presso lo

studio dell’avvocato MARCO MERLINI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIUSEPPE AUTIERO giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrenti –

nonchè contro

O.F., OR.FL., O.D., O.R.,

O.M., C.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1414/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 17/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/03/2017 dal Consigliere Dott. ROSSETTI MARCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO che ha concluso per la infondatezza del ricorso;

udito l’Avvocato ALESSANDRO GRACIS;

udito l’Avvocato MARCO MERLINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il (OMISSIS) O.A. perse la vita in conseguenza d’un sinistro stradale, allorchè venne investito da un autoveicolo mentre era in sella ad una bicicletta.

La moglie della vittima ( C.M.), cinque figli di essa ( C., F., Fl., D. e O.R.) ed un nipote ex filio ( O.M.) nel 2003 convennero dinanzi al Tribunale di Treviso il proprietario dell’autoveicolo ( P.M.), il conducente di esso ( D.L.D.) ed il loro assicuratore della r.c.a. (la società Nationale Suisse), chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza della morte del proprio familiare.

2. Con sentenza 9.4.2009 n. 724 il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo che la causazione del sinistro andasse ascritta a colpa esclusiva della vittima.

3. La sentenza venne appellata dai soccombenti.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 13.6.2014 n. 1414, rigettò il gravame condannando gli appellati alle spese.

Per quanto in questa sede ancora rileva, ritenne il giudice d’appello che la vittima fosse in colpa perchè omise di concedere la prescritta precedenza all’automobilista; impegnò contromano la strada percorsa da quest’ultimo; immediatamente prima dell’impatto cambiò imprevedibilmente la propria traiettoria, non consentendo alcuna manovra salvifica all’automobilista.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai congiunti di O.A., con ricorso fondato su cinque motivi ed illustrato da memoria.

La società Nationale Suisse ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione dell’art. 2054 c.c.); sia dal vizio di nullità processuale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4.

1.2. Sotto quest’ultimo profilo, i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza perchè fondata su una motivazione solo apparente, sicchè violerebbe l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.

1.2.1. La doglianza è manifestamente infondata.

Una sentenza può dirsi nulla, per violazione dell’obbligo di motivazione imposto dall’art. 132 c.p.c., solo quando la motivazione sia totalmente mancante, o totalmente incomprensibile. Nè l’una, nè l’altra di tali ipotesi ricorre al presente giudizio.

Nella sentenza impugnata, infatti, una motivazione c’è (pagine 68) e certamente non è incomprensibile: in essa si spiega con chiarezza che, ad avviso del giudice del merito, nulla potè fare l’automobilista per evitare di investire la vittima.

1.3. Per quanto concerne la censura consistente nella lamentata violazione dell’art. 2054 c.c., la doglianza dei ricorrenti è così riassumibile:

(a) la Corte d’appello ha accertato in fatto che l’automobilista procedeva alla velocità di 56 km/h, superiore a quella massima ivi consentita, di soli 50 km/h;

(b nondimeno, la Corte d’appello ha ritenuto irrilevante l’eccesso di velocità dell’automobilista, perchè maggiore di soli 6 km/h al consentito;

(c) tuttavia in prossimità di una intersezione l’automobilista doveva procedere ad una velocità anche inferiore ai 50 km/h, in ossequio al dovere di particolare prudenza imposto agli automobilisti in prossimità dei crocevia;

(d) la Corte d’appello ha trascurato di esaminare se la minore velocità esigibile dall’automobilista gli avrebbe consentito di evitare l’urto.

1.4. La censura è infondata.

La Corte d’appello ha escluso qualsiasi addebito concorsuale di responsabilità a carico di D.L.D. sul presupposto che:

(a) la condotta della vittima fu per lui imprevedibile;

(b) una minore velocità da parte dell’automobilista non avrebbe evitato nè l’impatto, nè la morte della vittima.

La Corte d’appello non ha dunque violato l’art. 2054 c.c., comma 2, in quanto ha ritenuto che la condotta di guida tenuta dal ciclista, oltre ad essere imprudente, fu anche la sola causa del sinistro.

Questa ricostruzione, giusta o sbagliata che fosse, costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in questa sede.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione degli artt. 140, 141, 142 e 145 C.d.S..

Nell’illustrazione del motivo si sostiene che la corte d’appello avrebbe violato le norme del codice della strada appena indicate, perchè ha ritenuto esente da colpa un automobilista che, in prossimità d’un crocevia, procedeva a 56 km/h.

Tale valutazione secondo i ricorrenti sarebbe erronea, in quanto il codice della strada impone agli utenti di regolare la velocità in funzione delle condizioni di tempo e luogo: pertanto, in prossimità d’un crocevia ed in presenza d’una persona anziana (quale era, nel nostro caso, la vittima) in sella ad un bicicletta, D.L.D. conducente del veicolo investitore – avrebbe dovuto tenere una velocità inferiore sia a quella effettivamente tenuta (56 km/h); sia al limite ritenuto “prudente” dalla Corte d’appello (50 km/h).

2.1. Il motivo è infondato.

E’ vero che il generale dovere di prudenza imposto ai conducenti di veicoli a motore dall’art. 140 C.d.S., impone loro di tenere velocità anche inferiori al massimo consentito, quando ciò sia necessario in considerazione delle circostanze di tempo e luogo.

Ma proprio tale principio comporta che lo stabilire se, in un determinato momento ed indeterminato luogo, sia doveroso o meno tenere una velocità inferiore al massimo consentito, è essa stessa una valutazione di fatto riservata al giudice del merito.

Sicchè tutte le deduzioni contenute nell’illustrazione del motivo si infrangono contro un ostacolo insormontabile: e cioè che stabilire quale sarebbe dovuta essere la condotta alternativa corretta di D.L.D. nel momento e nel luogo nel quale avvenne il sinistro, non è valutazione che può chiedersi a questa Corte.

La Corte d’appello, ritenendo che una velocità di 50 km/h sarebbe stata prudenziale, ha ricostruito un fatto storico, non ha espresso un giudizio giuridico: le discussioni sulla correttezza di tale ricostruzione debbono dunque arrestarsi con l’esaurimento del giudizio d’appello.

3. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso.

3.1. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè pongono questioni analoghe.

Con ambedue i motivi i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata avrebbe violato sia l’art. 2054 c.c., comma 2; sia l’art. 41 c.p.; sia vari precetti del codice della strada.

Deducono – in sintesi – che la Corte d’appello avrebbe errato:

– nel non avere attribuito rilievo causale all’eccesso di velocità tenuto da D.L.D.;

– nel non avere attentamente valutato quale sarebbe potuto essere l’esito della condotta alternativa corretta dell’automobilista;

– nell’avere attribuito importanza decisiva, per l’attribuzione della colpa, alla ritenuta “imprevedibilità” della manovra del ciclista;

– nel non avere considerato che proprio la velocità tenuta dall’automobilista gli impedì di adottare manovre di emergenza a fronte di quella manovra imprevedibile;

– nell’avere troppo frettolosamente ritenuto superata, da parte dei convenuti, la presunzione posta a loro carico dall’art. 2054 c.c., comma 2.

3.2. Ambedue i motivi sono inammissibili, per le medesime ragioni già indicate al p. 2.1..

4. Il quinto motivo di ricorso.

4.1. Col quinto motivo di ricorso (formulato in via subordinata al rigetto dei precedenti) i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. E’ denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 41 c.p.; art. 2054 c.c.; artt. 140, 141, 143 e 145 C.d.S..

Deducono, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato le regole sulla causalità giuridica, nell’escludere l’efficienza causale della condotta dell’automobilista.

4.2. Il motivo è manifestamente inammissibile.

E’ pacifico infatti, nella giurisprudenza di questa Corte, che soltanto l’errore compiuto dal giudice di merito nell’individuare la regola giuridica in base alla quale accertare la sussistenza del nesso causale tra fatto illecito ed evento è censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Per contro, l’eventuale errore commesso dal giudice di merito nell’individuazione delle conseguenze che sono derivate dall’illecito, alla luce della regola giuridica applicata, costituisce una valutazione di fatto, come tale sottratta al sindacato di legittimità (Sez. 3, Sentenza 4, n. 4439 del 25/02/2014).

Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ritenuto che la minore velocità (da essa ritenuta prudenziale, con valutazione come s’è detto qui non sindacabile) non avrebbe evitato il danno: ha, dunque, compiuto un giudizio controfattuale, consistente nell’ipotizzare cosa sarebbe avvenuto se fosse stata tenuta, al posto della condotta illecita, quella alternativa corretta.

Il criterio causale applicato, dunque, fu corretto: lo stabilire poi se corretti furono altresì gli esiti di quella valutazione, anche in questo caso esula dal perimetro dei poteri di questa Corte.

5. Le spese.

5.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

 

La Corte di cassazione:

(-) rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso; dichiara inammissibili gli altri;

(-) condanna C.M., O.C., O.F., Or.Fl., O.D., O.R., O.M., in solido, alla rifusione in favore di Nationale Suisse s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 7.800, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di C.M., O.C., O.F., Or.Fl., O.D., O.R., O.M., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2017

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