Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16470 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 10/06/2021), n.16470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta M.C. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27442-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

contro

C.G., C.A., CH.GI.GI.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEL TRITONE, N. 102, presso

lo studio dell’avvocato A-I AVVOCATI ASSOCIATI IN ITALIA,

rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI FERRAJOLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4389/2014 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA

SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 20/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

I germani C.G., C.A. e C.G.G., proposero ricorso avverso gli avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva accertato nei loro confronti una plusvalenza non dichiarata di Euro 39.605,55 per ognuno dei contribuenti, conseguita dalla cessione nell’anno 2004 di terreni ubicati nel Comune di (OMISSIS). Con gli atti impositivi, ritenendo i terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, l’Amministrazione finanziaria aveva assoggettato l’operazione a tassazione separata, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 17 e art. 67, comma 1, lett. b), determinando una maggiore imposta.

I contribuenti adirono la Commissione tributaria provinciale di Bergamo, sostenendo che, non avendo quei fondi vocazione edilizia, per essere compresi dallo strumento urbanistico del Comune di (OMISSIS) in zone in parte sottoposte a vincolo paesistico-ambientale e in parte destinate a servizi e attrezzature pubbliche, il corrispettivo della cessione non era assoggettabile ad imposta a titolo di plusvalenza. Con sentenza n. 189/01/2010 il giudice di primo grado, riuniti i ricorsi, rigettò la domanda. Nel successivo grado d’appello la Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, con la pronuncia ora al vaglio della Corte, accolse l’impugnazione di C.G. e Ch.Gi.Gi.. Nelle more del giudizio C.A. aveva invece definito la lite ai sensi del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 39, comma 12, convertito. con modificazioni in L. 15 luglio 2011, n. 111. Il giudice regionale, dopo aver dichiarato l’estinzione del giudizio nei confronti di C.A., nel merito ritenne che non fossero assoggettabili a tassazione quei terreni che, pur astrattamente edificabili, non, lo fossero in concreto a causa di vincoli o limiti di edificabilità imposti dal piano regolatore comunale vigente al momento della cessione. Nel caso di specie lo strumento urbanistico del Comune di (OMISSIS) prevedeva, nella zona in cui insistevano i fondi ceduti, vincoli paesistico-ambientali (terreni costeggianti la sponda del lago di (OMISSIS)), così rientrando nelle zone identificate dal D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 142. Affermò inoltre che la possibilità di costruzione di locali accessori, prevista nel Piano regolatore del Comune, non determinava un “generale jus edificandi”, riconoscendo solo la facoltà di costruire limitatamente a fini strumentali.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, denunciando la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 67, 68 e 17, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni in L. 4 agosto 2006, n. 248, e del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente escluso l’edificabilità in concreto dei terreni, in contraddizione con le emergenze del certificato di destinazione urbanistica del Comune di (OMISSIS). Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni conseguente determinazione.

Si sono costituiti i contribuenti, eccependo l’inammissibilità del ricorso e nel merito contestandone le ragioni.

La causa è stata trattata nell’adunanza camerale del 24 febbraio 2021 ed all’esito decisa. La difesa dei C. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

Va preliminarmente esaminato l’eccepito giudicato esterno delle decisioni, che si assume siano definitive, pronunciate dalla Commissione tributaria provinciale di Milano tra l’Agenzia delle entrate e C.M. (324/24/2010), e dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia tra l’Agenzia medesima e C.C. (144/11/2013), germani e comproprietari del medesimo fondo, che hanno visto accolti i propri ricorsi. La difesa degli odierni controricorrenti sostiene che le due decisioni, per identità di petitum e causa petendi, farebbero stato anche nel presente contenzioso. L’eccezione è infondata.

Questa Corte, con principio che questo collegio condivide e a cui intende dare continuità, ha affermato che nel processo tributario l’efficacia del giudicato esterno presuppone non solo l’identità del petitum e della causa petendi, ma anche delle parti dei due giudizi, così che va esclusa ove ciascun contribuente sia tenuto, secondo la struttura delle obbligazioni divisibili di cui all’art. 1314 c.c., solo per la propria parte “pro quota”, non sussistendo il vincolo di solidarietà, con conseguente inapplicabilità dell’art. 1306 c.c., comma 2 (Cass., 15/07/2020, n. 15026). Nel caso di specie le posizioni dei contribuenti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria esulano del tutto da vincoli di solidarietà, tanto più che trattasi di Fondi pervenuti nella contitolarità dei germani per causa di successione.

Esaminando allora il merito, il motivo è fondato per le considerazioni di seguito esplicitate.

L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza, sotto il profilo dell’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Commissione regionale nell’interpretazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b), per aver negato l’applicabilità dell’imposta a corrispettivo della cessione del terreno sull’assunto della sua inutilizzabilità edificatoria. La critica dell’Amministrazione finanziaria muove dalla constatazione che il suddetto terreno era sostanzialmente compreso dagli strumenti urbanistici nelle aree a destinazione edificatoria, ancorchè non di natura residenziale.

La destinazione dei terreni a vocazione agricola o edificatoria, quale spartiacquè nell’applicazione di regolamentazioni normative distinte, ed i criteri di identificazione della loro destinazione, sono stati oggetto di ampia riflessione nella giurisprudenza di legittimità, toccando peraltro numerose vicende, dal tema dell’applicabilità della disciplina sulla espropriazione e determinazione dell’indennizzo ai sensi della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis, a quelli, vicini alla materia oggetto di controversia, dell’assoggettabilità a tassazione a titolo di imposta di registro o di Invim, su questi ultimi tributi elaborandosi peraltro orientamenti, i cui risultati si sono riversati sulle imposte dirette e in particolare, per quanto qui d’interesse, sulla inclusione dei corrispettivi nei redditi diversi per l’emersione di plusvalenze.

Va rammentato che il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b), prevede la tassazione delle plusvalenze: 1) realizzate mediante cessione onerosa di immobili acquistati o costruiti da non più di 5 anni, esclusi quelli acquisiti per successione e quelli destinati ad abitazione principale; 2) realizzate, in ogni caso, a seguito di cessione onerosa di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.

Poichè la finalità della norma è quella di tassare una ricchezza prodotta, nel rispetto del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., tra le operazioni produttive di plusvalenze sono state comprese le cessioni di terreni ad utilizzazione edificatoria, che perda loro semplice vocazione fanno presumere un incremento di valore rispetto ad una destinazione agricola.

Così normativamente perimetrata l’area della rilevanza fiscale delle operazioni di cessione di cespiti immobiliari, in tema di imposta di registro, ma poi anche in materia di Invim, si pose la questione se, ai fini della destinazione edificatoria dei terreni, fosse necessario uno strumento urbanistico già approvato e perfezionato (Cass., 27/12/2001, n. 16202; 26/03/2003, n, 4426), o invece si rivelasse sufficiente la sua mera adozione, ancorchè non ancora approvato nè accompagnato da piani particolareggiati di attuazione (per il registro cfr. Cass., 18/09/2003, n. 13817; in tema di Invim, Cass., 22/03/2002, n. 4120; 19/04/2006, n. 9130).

Sulla questione intervenne il Legislatore, che con il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, dispose che “Ai fini dell’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.

Il contrasto fu quindi formalmente superato dalle Sezioni unite, secondo cui, in tema di imposta di registro, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 223 del 2006, art. 36, che aveva fornito l’interpretazione autentica del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’inadplicabilità del sistema di valutazione automatica previsto dal D.P.R. n. 131 cit., art. 52, comma 4, dev’essere desunta dalla qualificazione ad esso attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. La Corte affermò che l’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica era sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, senza che potessero assumere alcuna rilevanza eventuali vicende successive incidenti sulla sua edificabilità, quali la mancata approvazione o la modificazione dello strumento urbanistico, in quanto a valutazione del bene dev’essere compiuta in riferimento al momento del suo trasferimento, che costituisce il fatto imponibile, avente carattere istantaneo. Chiarì a tal fine che l’impossibilità di distinguere -ai fini dell’inibizione del potere di accertamento – tra zone già urbanizzate e zone in cui l’edificabilità è condizionata all’adozione di piani particolareggiati o di piani di lottizzazione non impedisce peraltro di tener conto, nella determinazione del valore venale dell’immobile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione.

Per espressa previsione normativa il riferimento allo strumento urbanistico anche solo adottato doveva applicarsi anche in tema di imposte dirette, e dunque all’art. 67 cit. in materia di plusvalenze.

L’intervento della Sezioni unite all’indomani della introduzione della disciplina normativa sgombrò peraltro il campo da dubbi sulla sua efficacia temporale, perchè la Corte ebbe anche ad affermare che l’art. 36 cit. aveva natura interpretativa, con la sua conseguente applicabilità retroattiva.

Il doppio intervento, normative e giurisprudenziale, sancendo la definitiva validità del secondo orientamento giurisprudenziale, ha prospettato, come sottolineato in dottrina, la creazione di un concetto di “edificabilità” ai fini tributari, diverso da quello accolto nel diritto amministrativo, perchè avvalla il riconoscimento di un criterio di edificabilità in astratto e non in concreto, fondato sullo strumento urbanistico più generale, senza attribuire rilievo agli strumenti attuativi.

Il punto fermo messo dalle Sezioni unite e dal Legislatore non sopì tuttavia ogni contrasto. Si era infatti già proposta la questione se, pur esclusa la destinazione agricoli del terreno dallo strumento urbanistico generale, i vincoli di destinazione già presenti in esso, e più ancora negli strumenti attuativi, potessero incidere sulla utilizzazione edificatoria del fondo.

La questione era già presente nella giurisprudenza anteriore al 2006, che infatti era intervenuta con riguardo, ad esempio, alla espropriazione di un suolo con destinazione a verde pubblico attrezzato, affermando che in tema di imposte sui redditi, ai sensi della L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 11, comma 5, allo scopo di escludere l’imponibilità ai fini IRPEF delle plusvalenze da redditi diversi previsto dal D.P.R. n. 917 del 1986, rt. 81, comma 1, lett. b) (ratione temporis vigente, ora art. 67), non rileva che l’area espropriata si trovi all’interno della zona destinata a verde pubblico attrezzato (VAT), poichè tale previsione generale non è di per sè sufficiente ad escludere la sua inerenza alle zone omogenee considerate dal menzionato art. 11, comma 5, dovendosi avere riguardo alla destinazione effettiva dell’area (Cass., 19/08/2004, n. 16231).

La controversia sull’interpretazione della previsione di vincoli degli strumenti urbanistici che intervengono nei casi specifici superò temporalmente l’arresto del 2006, e la stessa legge interpretativa, non trovando ancora in quei riferimenti una risposta, ed emergendo di contro il dubbio se l’area, quando soggetta a restrizioni, conservi una suscettibilità edificatoria.

La giurisprudenza formatasi nel corso degli anni successivi al 2006 ha pertanto affrontato anche tale aspetto, avvallando in senso ampiamente maggioritario una nozione tendenzialmente estensiva del concetto di “edificabilità” ai fini tributari. A tal fine ha innanzitutto negato che l’edificabilità dei terreni sia vincolata dalla destinazione all’edilizia residenziale. Sulla questione per il vero si rinvengono precedenti contrari, seconde cui un’area destinata dallo strumento urbanistico vigente a verde pubblico, pur essendo inserita nei piano regolatore generale in zona di completamento residenziale, non può considerarsi “suscettibile di utilizzazione edificatoria”, ex art. 81 cit., dovendosi dunque escludere l’emersione di una plusvalenza da cessione a titolo oneroso, quand’anche sia ipotizzabile un’edificabilità residua finalizzata all’attrezzatura del verde pubblico (Cass., 17/07/2008, n. 19668; si veda anche 11/05/2009, n. 10713).

L’orientamento maggioritario tuttavia ha ritenuto, ai contrario, che non può escludersi l’imponibilità delle plusvalenze da redditi diversi, prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 81 (ora art. 67), comma 1, lett. b), per la sola circostanza che il terreno ceduto si trovi all’interno di zona vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (Cass., 28/11/2014, n. 25273; inoltre si veda la 16/10/2015, n. 20950, la quale ha riconosciuto vocazione edificatoria, pur limitata, ad un terreno ricadente in zona E, in quanto le norme tecniche di attuazione del piano regolatore consentivano l’affidamento della realizzazione di attrezzature ed impianti d’interesse generale soggetti terzi, anche privati, mediante la stipula di apposita convenzione; la 15/07/2016, n. 14503, per l’ipotesi di un’area inclusa in zona destinata dal piano regolatore generale a servizi pubblici o di interesse pubblico, quali parcheggi, strade, verde pubblico attrezzato; la 30/10/2018, n. 27604, che ha ritenuto imponibile la plusvalenza, in quanto il terreno, pur inserito, secondo lo strumento urbanistico vigente, in una zona vincolata a fini pubblicistici, ai momento della cessione faceva parte di un progetto che, in base al nuovo regolamento urbanistico del Comune, prevedeva la realizzazione di un complesso sportivo e di una multisala, con funzioni commerciali, espositive e culturali). Si è in particolare considerata irrilevante la sola circostanza che il terreno ceduto si trovi all’interno di zona vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico, dovendosi avere riguardo alla destinazione effettiva dell’area, in quanto la potenzialità edificatoria, desumibile oltre che da strumenti urbanistici adottati o in via di adozione, anche da altri elementi, certi ed obiettivi, che attestino una concreta attitudine dell’area all’edificazione, è un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore dei terreni e rappresenta, pertanto, un indice di capacità contributiva ai sensi dell’art. 53 Cost. (cfr. anche Cass., 15/07/2015, n. 14763; 05/03/2014, n. 5161). Ed infatti si sottolinea che se i vincoli o le destinazioni per finalità pubbliche incidono senz’altro nella determinazione del valore venale dell’immobile, ciò comporterà una valutazione in base alla maggiore o minore potenzialità edificatoria, senza escludere però l’oggettivo carattere edificabile, atteso che i vincoli d’inedificabilità assoluta, stabiliti in via generale e preventiva nel piano regolatore generale, vanno tenuti distinti dai vincoli di destinazione che non fanno venir meno l’originaria natura edificabile.

Quello che in altri termini viene valorizzato è l’edificabilità di un terreno, che permetta, sia pure entro determinati limiti, la realizzazione di nuove costruzioni, con conseguente imponibilità nel caso di cessione della plusvalenza emergente, atteso che il cit. art. 67, comma 1, lett. b), assoggetta a tassazione la plusvalenza derivante dalla cessione di terreno su cui lo strumento urbanistico vigente autorizza, a qualunque titolo e per qualunque scopo, di edificare, non rilevando cosa ed a qual fine si costruisca (Cass., 23/11/2016, n. 23845; sulla stessa posizione cfr. 19/06/2013, n. 15320).

D’altronde, si afferma, l’edificabilità è deducibile dalla lettera della norma, la quale non richiede che le aree siano destinate solamente alla edilizia residenziale, e dunque va inteso nel senso che ricomprende nella sua previsione anche le vocazioni edificatorie diverse, includendo le opere edilizie proprie del verde pubblico o del verde speciale. Di contro non è pertinente il richiamo ad arcomenti tratti dalla non tassabilità dei proventi degli espropri di quelle medesime aree, perchè, si è sottolineato, trattandosi di due situazioni diverse -corrispettivo da vendita e indennizzo da esproprio-, rientra nella ciscrezionalità del legislatore l’assoggettamento a due diversi regimi fiscali (Cass., 31/03/2011, n. 7329).

Questo Collegio condivide il percorso interpretativo seguito dall’orientamento ampiamente maggioritario della giurisprudenza. L’unico limite alla sottoposizione dell’operazione di cessione al regime delle plusvalenze può riconoscersi alle fattispecie in cui sia stato apposto un vincolo assoluto di inedificabilità, ad esempio nelle ipotesi in cui vincoli ambientali o paesistici o idrogeologici – apposti anche da autorità sovraordinate agli Enti che presidiano alla formazione degli strumenti urbanistici -, neutralizzino in concreto ogni utilizzazione edificatoria del terreno. Anche in questo caso tuttavia occorre chiarire che si rende necessario accertare se il limite assoluto su determinate superfici operi con compensazioni, ossia con lo scambio e maggiorazione degli indici di fabbricabilità riconosciuti a favore di terreni limitrofi, che tornino dunque utili anche al cedente. In tal senso una spia dell’utilizzabilità edificatoria del terreno (ancorchè indiretta ed in senso puramente economico) è data proprio dal corrispettivo della cessione, quando esso, nonostante l’apparente assoluta inedificabilità, venga ceduto ad un prezzo ben più elevato del normale valore agricolo corrente nella zona in cui l’operazione economica si è perfezionata. (cfr. Cass., 10 febbraio 2021, n. 3243).

Esaminando ora la fattispecie all’attenzione di questa Corte, il giudice d’appello non ha tenuto conto di nessuno dei principi qui riportati. Si è limitato di contro ad affermare che l’astratta edificabilità non è sufficiente a ricondurre la cessione, e il suo corrispettivo, nell’ipotesi prevista dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. b. E’ invece necessario che in concreto i terreni abbiano una utilizzabilità edificatoria, esclusa dalla presenza di “vincoli speciali o limiti d’inedificabilità imposti dal piano regolatore comunale vigente al momento della cessione dell’immobile”. Nello specifico ha rilevato la sussistenza di tali vincoli, riconducibili al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, ritenendo che le eccezioni alla inedificabilità previste dal piano regolatore del Comune di (OMISSIS) fossero ininfluenti, al pari delle deroghe esistenti per i terreni a destinazione agricola.

La decisione si pone già in contrasto con il principio enunciato nel 2006 dalle Sezioni unite, e persino con il D.L. n. 223 del 2006, art. 36. Non tiene affatto conto che della proprietà fondiaria ceduta, come riporta la sentenza medesima, il 32% della superficie (cioè oltre mq. 3.500) ricadeva in zona destinata a “servizi e attrezzature pubbliche”, ossia a verde, impianti sportivi, luoghi di culto ed edifici scolastici. Persino le superfici cadenti in aree sottoposte a vincoli paesistico-ambientali, per avere superficie maggiore di mq 3.000 (la p.lla (OMISSIS), estesa mq. 6.460), hanno una seppur marginale edificabilità, così come la medesima sentenza riconosce. Manca inoltre ogni attenzione volta a spiegare il perchè la cessione – ad una impresa edilizia – di una superficie di 13.505 mq sia avvenuta al prezzo di Euro 206.580,00, valore certamente poco consono a terreni agricoli.

La sentenza va dunque cassata e il processo rinviato alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia, che in diversa composizione, oltre che a liquidare le spese del giudizio di legittimità, deciderà la controversia tenendo conto del seguente principio di diritto: “In tema di imposte sui redditi, per escludere l’imponibilità ai fini Irpef delle plusvalenze da redditi diversi, conseguibile dalla cessione di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, prevista dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 1, lett. b), è irrilevante che il terreno ceduto si trovi all’interno di zona vincolata ad utilizzo meramente pubblicistico o paesistico-ambientale, dovendosi avere riguardo alla destinazione effettiva dell’area, in quanto la potenzialità edificatoria, desumibile dagli strumenti urbanistici, adottati o in via di adozione, oltre che da altri elementi, costituisce indice di capacità contributiva ex art. 53 Cost.. I vincoli o le destinazioni per finalità pubbliche possono incidere nella determinazione del valore venale del terreno, ma non possono escludere del tutto l’oggettivo carattere edificabile. L’unico limite alla sottoposizione dell’operazione di cessione del terreno al regime delle plusvalenze deve riconoscersi nell’ipotesi del vincolo assoluto di inedificabilità, apposto anche da autorità sovraordinate agli Enti che presidiano alla formazione degli strumenti urbanistici, idoneo a neutralizzare ogni utilizzazione edificatoria del terreno, e anche in questo caso si rende necessario accertare se il limite assoluto su determinate superfici operi con compensazioni, ossia con lo scambio e maggiorazione degli indici di fabbricabilità riconosciuti a favore di terreni limitrofi, che tornino utili anche al cedente. Una spia dell’utilizzabilità edificatoria del terreno (ancorchè indiretta ed in senso puramente economico) è data dal corrispettivo della cessione del terreno, quando esso, nonostante l’apparente assoluta inedificabilità, configuri un prezzo ben più elevato del normale valore agricolo corrente nella zona in cui l’operazione economica si è perfezionata”.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, cui demanda, in diversa composizione, anche la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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