Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1647 del 27/01/2010

Cassazione civile sez. trib., 27/01/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 27/01/2010), n.1647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17446/2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

F.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE GIULIO CESARE

61, presso lo studio dell’avvocato DRISALDI LUCIANO, che la

rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 26/2003 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 25/11/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato GUIDA, che insiste

nell’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Roma F.L. impugnava l’avviso di accertamento relativo a maggiorazione dell’imposta Iva per l’anno 1994, fatto notificare dall’agenzia delle entrate, ufficio di questa città, e con il quale l’amministrazione comunicava di avere accertato un reddito complessivo di importo superiore, a fronte di quello dichiarato, sulla scorta del metodo induttivo seguito, con un’imposta da pagare in misura maggiore. Ella faceva presente che tale atto impositivo era da annullare, in quanto la percentuale di ricarico indicata era addirittura superiore a quella ritenuta congrua dall’A.F., mentre il metodo della media aritmetica seguito era errato.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio eccepiva che, nonostante la contabilità fosse formalmente regolare, tuttavia i costi riportati costituivano un elemento inattendibile a fronte dei limitati ricavi, secondo anche studi di settore, tenuto conto anche dell’esercizio successivo all’anno di riferimento; della zona di pregio dell’impresa, e comunque dell’antichità di essa, oltre che del valore della varia tipologia di merce trattata; perciò chiedeva il rigetto del ricorso introduttivo.

Il giudice adito, in accoglimento di esso, annullava quell’avviso con sentenza n. 193 del 2001.

Avverso la relativa decisione l’amministrazione proponeva appello, cui F. resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, ha rigettato il gravame con sentenza n. 26 del 20.10.2003, osservando che il ricalcolo effettuato dall’appellata si rivelava addirittura maggiore di quello ritenuto congrue dall’amministrazione, e comunque esso era “penalizzante” per la contribuente, nei cui confronti inoltre i valori accertati nel 1995 non potevano applicarsi, senza forti riserve, all’anno precedente.

Contro questa decisione il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

F. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era – stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate.

Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

1) Ciò premesso, col primo motivo la ricorrente agenzia delle entrate deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, e D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, nonchè insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto la CTR non ha considerato che l’ufficio si era basato su presunzioni semplici, ma aventi il carattere della gravità e concordanza, atteso che aveva seguito il pur legittimo criterio di accertamento analitico – induttivo, sulla scorta dei ricavi fondatamente desumibili dalle caratteristiche e condizioni dell’esercizio, tenuto conto dell’ubicazione nelle adiacenze di piazza del Pantheon; dei prodotti d’alto pregio e dell’antica tradizione della ditta.

Il motivo è fondato.

Invero, com’è noto, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non escludeva la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa di F., ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con gli studi di settore e la media risultante dagli altri esercizi aventi analoga tipologia di merce commercializzata (V. pure Cass. Sentenze n. 6337 del 03/05/2002, n. 11645 del 2001, n. 10649 del 2001).

Peraltro in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate,anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 951 del 16/01/2009, n. 11599 del 2007).

Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo sufficiente e giuridicamente corretto.

2)Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, artt. 2727 e 2729 c.c., oltre che insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, giacchè il giudice di seconda istanza non ha considerato che la verifica svolta nel 1995 aveva consentito di applicare una certa percentuale di ricarico, che, tenuto conto della commercializzazione dei vari prodotti nell’anno precedente e della mancanza di mutamento delle condizioni della merce, come pure della sua tipologia, non poteva non riferirsi anche all’esercizio precedente in relazione a tutta la merce trattata.

La censura va condivisa.

Com’è noto, in tema di IVA e con riguardo alla determinazione del volume di affari della contribuente, una volta stabilita con esattezza per un determinato esercizio, e cioè il 1995, la percentuale di incidenza di una determinata materia prima sul totale degli acquisti, tale percentuale può essere utilizzata anche per la determinazione del volume d’affari relativo a diversi anni d’imposta, e quindi anche a quello in questione, se la natura dell’attività imprenditoriale nel corso degli anni non sia cambiata, come nella specie, senza che l’appellata abbia fornito alcuna prova al riguardo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 12774 del 22/12/1998, n. 2940 del 15/05/1984).

Sul punto dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo sufficiente e giuridicamente corretto.

Ne discende che il ricorso dell’agenzia va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, con rinvio alla CTR del Lazio, altra sezione, per nuovo esame, posto che la causa non può essere decisa nel merito, stante il vizio di motivazione lamentato.

Quanto alle spese di questa fase come pure dei precedenti gradi di giudizio, sussistono giusti motivi per compensare quelle relative al rapporto tra il Ministero e la controricorrente, mentre le altre inerenti a quello con l’agenzia, se ne demanda il regolamento al giudice del rinvio stesso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’economia e delle finanze, e compensa le spese del relativo rapporto; accoglie quello dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le altre dell’intero giudizio, alla CTR del Lazio, altra sezione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2010

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