Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1647 del 23/01/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 23/01/2018, (ud. 05/10/2017, dep.23/01/2018),  n. 1647

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 13 ottobre 2015 la Corte di Appello di Roma ha respinto il reclamo proposto da L.L. nei confronti di Poste Italiane Spa avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, formulata dal lavoratore in relazione all’ordinanza che aveva rigettato l’impugnativa di licenziamento comminato dalla società in data 27 dicembre 2012.

La Corte territoriale ha condiviso l’assunto del primo giudice che aveva collocato il momento iniziale per la decorrenza del termine di trenta giorni, ai fini dell’opposizione, al 20 dicembre 2013, data in cui la cancelleria del Tribunale, “effettuata con esito negativo la notifica telematica dell’ordinanza, ha provveduto al deposito dell’atto in cancelleria”; con la conseguenza di ritenere inammissibile l’opposizione depositata in data 18 giugno 2014.

Al cospetto dell’impugnazione con cui il L. lamentava che la cancelleria avrebbe dovuto effettuare la notificazione dell’ordinanza al numero di fax del difensore Avv. Magnanti indicato nel ricorso introduttivo e solo in subordine all’indirizzo PEC e che, comunque, l’esito negativo della notificazione telematica doveva addebitarsi ad un “disguido tecnico”, la Corte di Appello ha richiesto specifica attestazione della cancelleria del Tribunale; da essa e dalla documentazione in atti ha ritenuto che “il messaggio inviato all’Avv. Magnanti all’indirizzo PEC è stato rigettato e che a successiva ricerca in pari data presso il registro INIPEC ha avuto come risultato l’utente non esiste”, rigettando pertanto il reclamo.

2. Per la cassazione di tale sentenza ricorre L.L. con due motivi. Resiste con controricorso la società, depositando memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione ed erronea applicazione della L. n. 183 del 2011, art. 25, comma 1, n. 2, nonchè omessa applicazione dell’art. 125 c.p.c., sostenendo che, dal momento che non era stato possibile procedere alla comunicazione mediante PEC all’indirizzo dell’Avv. Magnanti, la cancelleria del Tribunale avrebbe dovuto trasmettere la comunicazione a mezzo fax, essendo stato indicato il numero telefonico nell’atto introduttivo del giudizio.

Il motivo è infondato.

Secondo il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 convertito, con modificazioni, nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, comma 4: “Nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”. Il comma 6 dispone poi: “Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”. Aggiunge il comma 8 che: “Quando non è possibile procedere ai sensi del comma 4 per causa non imputabile al destinatario, nei procedimenti civili si applicano l’art. 136, comma 3, e gli art. 137 c.p.c. e ss..”.

Ne deriva che, in seguito all’entrata in vigore di detta legge, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

Laddove non sia possibile ricorrere alla posta elettronica certificata “per cause imputabili al destinatario” le comunicazioni e le notificazioni vanno effettuate “mediante deposito in cancelleria”.

Solo ove vi sia una “causa non imputabile al destinatario” si rende applicabile la disciplina dell’art. 136 c.p.c. (il ricorrente impropriamente richiama l’art. 125 c.p.c.) il cui comma 3 – secondo il quale, se non è possibile procedere a mezzo PEC, il biglietto di cancelleria contenente la comunicazione viene trasmesso a mezzo telefax o è rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica esordisce con “salvo che la legge disponga diversamente” (cfr. in argomento Cass., Sez. U., 31 maggio 2016, n. 11383; conf. Cass. n. 6369 del 2017).

Pertanto è conforme a diritto la decisione dei giudici di merito che, ritenendo evidentemente imputabile al difensore destinatario la mancata ricezione del documento informatico, ha ritenuto sufficiente il deposito in cancelleria ai fini del decorso del termine di decadenza previsto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 51.

In proposito vale rammentare che questa Corte ha ritenuto imputabile al destinatario della notificazione a mezzo PEC anche la circostanza che la casella dell’utente non sia in grado di accettare il messaggio, trattandosi di evento che dipende dallo stato della casella del destinatario ed è, quindi, oggettivamente riferibile alla sfera di controllo dell’avvocato, il quale deve preoccuparsi di scongiurare un tale accadimento (Cass. n. 25968 del 2016).

2. Il profilo di detta imputabilità è affrontato, sebbene in forme non perspicue, dal secondo mezzo di gravame con cui, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si denuncia l’omesso esame “da parte della Corte di Appello dell’attestazione telematica, in cui mancava totalmente il nome del destinatario e non si indicava a chi era stata fatta la notifica” nonchè “l’omesso esame della scheda estratta dal sito del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, comprovante la titolarità dell’indirizzo PEC indicato in ricorso dall’Avv. Magnanti”.

La censura è inammissibile in quanto priva di adeguata autosufficienza, non riportando nel corpo dell’illustrazione del motivo il contenuto rilevante degli atti richiamati, e perchè tende ad una valutazione della documentazione già effettuata dai giudici di merito in ordine agli accertamenti svolti circa l’imputabilità o meno della mancata comunicazione a mezzo PEC.

3. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna del soccombente al pagamento delle spese liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto infine della sussistenza per il ricorrente dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2018

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