Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1647 del 19/01/2022

Cassazione civile sez. I, 19/01/2022, (ud. 24/09/2021, dep. 19/01/2022), n.1647

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19225/2019 proposto da:

Alpem S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via XXIV Maggio n. 43, presso lo

studio dell’avvocato Curcuruto Monica, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Zimmitti Sebastiano, giusta procura in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

Cheboksarsiy Agreagatnij Zavod O.A.O., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Flaminia n. 318, presso lo studio dell’avvocato Cappuccilli

Vittorio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Senini Enrica, giusta procura speciale per Notaio

O.I.V. ad interim in sostituzione della titolare Notaio

R.E.G. di (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2697/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2021 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – Alpem S.r.l. ricorre per un mezzo, illustrato da memoria, nei confronti di Chboksarsky Agreagtny Zaod O.A.O., in sigla Chaz, società di diritto russo, contro la sentenza del 18 giugno 2019 con cui la Corte d’appello di Milano ha respinto l’opposizione avverso decreto del Presidente della Corte di accoglimento del ricorso proposto da Chaz al fine del riconoscimento dell’efficacia nel territorio italiano di un lodo arbitrale reso tra le parti da un collegio istituito presso la Camera arbitrale internazionale operante presso la Camera di commercio ed industria della Federazione Russa a Mosca, lodo che portava condanna della società italiana al pagamento, in favore di quella russa, della somma di Euro 1.323.946,40.

Ha in breve, per quanto rileva, osservato la Corte d’appello, replicando all’assunto di Alpem S.r.l., la quale lamentava di non essere stata posta in condizioni di partecipare al procedimento arbitrale per il fatto che le comunicazioni sull’instaurazione dell’arbitrato erano state da essa inviate in lingua russa ed in carattere cirillico, senza traduzione in lingua italiana, che la stessa società aveva accettato il regolamento della Camera arbitrale, che prevedeva l’impiego della lingua russa.

2. – Chaz resiste con controricorso e deposita memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. – L’unico mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1363 c.c., dell’art. 840 c.p.c., comma 3, nn. 2 e 4, della Convenzione di New York, articolo V, 1, (B), nonché del regolamento CE 1393/2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è suddiviso in paragrafi:

-) dopo il primo, che riassume le motivazioni addotte dalla Corte territoriale, la società ricorrente sostiene, nel secondo paragrafo, che il giudice di merito sarebbe incorso in violazione dei canoni ermeneutici contemplati dall’art. 1362 e soprattutto dal successivo art. 1363, che impone all’interprete di valutare le clausole contrattuali le une per mezzo delle altre: in particolare si sottolinea che l’art. 9 del contratto stipulato tra le parti non cita il Regolamento della Camera arbitrale, e neppure prevede l’arbitrato come unica via giudiziale, ponendosi soprattutto l’accento sulla circostanza che ulteriori due norme del contratto, gli artt. 10.5 e 10.7, prevedono specificamente l’utilizzo della doppia lingua, italiana e russa, per le comunicazioni tra le parti, tanto più che il richiamo della Corte d’appello alla normativa russa sull’arbitrato non era pertinente, dal momento che il contratto prevedeva l’applicabilità non del diritto russo, ma di quello internazionale; inoltre la sentenza impugnata aveva errato nel ritenere che la lingua russa avesse prevalenza su quella italiana, ai sensi degli artt. 10.5 e 10.7 del contratto, trattandosi di previsione concernente la discrepanza di significato;

-) nel terzo paragrafo si sostiene che la stessa Corte d’appello avrebbe riconosciuto che Alpem S.r.l. aveva accettato la lingua russa quale lingua prevalente, ribadendosi la tesi della violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.;

-) nel quarto e quinto paragrafo la ricorrente sostiene che le comunicazioni effettuate in lingua russa dalla Camera arbitrale avrebbero integrato una violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa tale da impedire il riconoscimento del lodo;

-) nel sesto paragrafo si richiama l’art. 5 del regolamento CE 1393/2007, che, in combinato disposto con l’art. 8, imporrebbe, in materia di notificazione, che l’organo mittente avverta espressamente l’organo ricevente che il destinatario può rifiutare di ricevere l’atto, se questo non è tradotto in una lingua compresa dallo stesso destinatario, il che renderebbe priva di senso l’affermazione della Corte d’appello concernente l’accettazione senza riserve della notifica.

RITENUTO CHE:

4. – Il ricorso va respinto.

Il composito motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. 4.1. – Quanto agli argomenti svolti nel secondo e terzo paragrafo. Il contratto stipulato tra le parti contiene all’art. 9 una clausola compromissoria, trascritta nella sentenza impugnata, del seguente tenore: “Qualsiasi disputa o disaccordo che possa sorgere dal presente contratto dovrà essere risolto per le vie amichevoli, ma in caso di impossibilità a raggiungere un accordo, tranne la giurisdizione ai tribunali generali, verrà risolto nel tribunale da arbitrato commerciale internazionale presso la Camera di Commercio ed Industria della Russia a Mosca”.

A tal riguardo, replicando agli argomenti in proposito svolti dalla società odierna ricorrente, la Corte territoriale ha rilevato “che nessun rilievo assume il fatto che il contratto sia stato stipulato in lingua italiana e russa e la previsione che la corrispondenza fra le parti dovesse essere redatta in doppia lingua, poiché la lingua dell’arbitrato è disciplinata dal regolamento arbitrale applicabile al procedimento prescelto dalle parti”: e ciò perché, avendo le parti stipulato “una clausola compromissoria per arbitrato amministrato e cioè un arbitrato “istituzionale”, deve ritenersi che abbiano implicitamente accettato l’applicazione del regolamento in essere presso l’organismo prescelto”, regolamento che espressamente prevedeva, salvo diverso accordo, l’impiego della lingua russa.

Ciò premesso, la società ricorrente si è in buona sostanza disinteressata di tale piana motivazione – se le parti hanno affidato la soluzione di controversia ad un arbitrato amministrato, hanno perciò stesso, in mancanza di previsioni di segno diverso, recepito il relativo regolamento arbitrale -, ribadendo la tesi già sostenuta in sede di merito, secondo cui l’art. 9 del contratto neppure citava il Regolamento della Camera arbitrale, né prevedeva l’arbitrato come unica via giudiziale, mentre gli artt. 10.5 e 10.7, contemplavano specificamente l’utilizzo della doppia lingua, italiana e russa, per le comunicazioni tra le parti.

Nel che, lungi dal concretizzarsi una critica alla sentenza impugnata, non si rinviene altro che la contrapposizione al ragionamento svolto dal giudice di merito di un ragionamento diverso, ed a sé più favorevole.

Il ricorso, cioè, non spiega:

-) né in qual modo le parti potrebbero aver affidato la soluzione della controversia ad un arbitrato amministrato, senza recepire il relativo regolamento, ed in mancanza di una previsione contrattuale ad hoc;

-) né per qual ragione la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere non pertinente il richiamo alla lingua prevista per le comunicazioni tra le parti, chiarendo attraverso quale passaggio logico la previsione pattizia in tema di comunicazione tra le parti potesse mai obbligare non solo le parti, ma, per non esplicitate ragioni, anche la Camera arbitrale;

-) né per quale ragione l’inciso contenuto dell’art. 9 del contratto, “tranne la giurisdizione ai tribunali generali”, potesse dispiegare un qualche effetto impeditivo dell’impiego da parte della Camera arbitrale, della lingua prevista dal regolamento di essa.

Orbene, in ciò è manifesta la violazione del principio secondo cui i motivi di ricorso per cassazione devono concretizzarsi in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo (Cass. 11 gennaio 2005, n. 359; Cass. 12 marzo 2005, n. 5454; Cass. 29 aprile 2005, n. 8975; Cass. 22 luglio 2005, n. 15393; Cass. 24 gennaio 2006, n. 1315; Cass. 14 marzo 2006, n. 5444; Cass. 17 marzo 2006, n. 5895; Cass. 31 marzo 2006, n. 7607; Cass. 6 febbraio 2007, n. 2540; Cass. 28 agosto 2007, n. 18210; Cass. 28 agosto 2007, n. 18209; Cass. 31 agosto 2015, n. 17330).

Resta da dire che la ricorrente ha invocato la generica previsione contrattuale di applicazione del diritto internazionale, il che non scalfisce punto la motivazione addotta dalla Corte d’appello, che, dopo aver inquadrato il problema osservando che anche la legge processuale russa, in sostanziale analogia con la disciplina interna, consente alle parti di concordare la lingua da utilizzare, ma prevede altresì che, in caso di mancato accordo, sia il collegio arbitrale a determinare la lingua o le lingue da utilizzare, ha infine ribadito che, come si è già detto, il regolamento della Camera arbitrale prevede l’utilizzo della lingua russa: non scalfisce tale motivazione sia perché non argomenta in ordine all’applicabilità del non meglio identificato diritto internazionale anche alla disciplina da osservare in sede di arbitrato amministrato, sia perché non spiega in qual modo detto non meglio identificato diritto internazionale avrebbe impedito alla Camera arbitrale di applicare il proprio regolamento ed utilizzare quindi la lingua russa.

4.2. – La tesi della violazione del principio del contraddittorio è manifestamente infondata.

Essa, in effetti, viene a cadere, rimane assorbita, una volta constatato che la ricorrente ha accettato il Regolamento della Camera arbitrale che prevedeva l’uso della lingua russa.

Ma, al di là di quanto precede, non occorre dilungarsi a rammentare che la violazione dell’ordine pubblico, ostativa al riconoscimento, è ravvisabile solo in casi eccezionali, di violazione di principi fondamentali dello Stato richiesto (Cass. 8 gennaio 2017, n. 1239). Il giudice deve cioè verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell’ordinamento, sicché non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all’intero processo, ponendosi in contrasto con l’ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio (Cass. 3 settembre 2015, n. 17519).

Nel caso in esame la violazione dell’ordine pubblico processuale, sotto specie di violazione del diritto di difesa dell’odierna ricorrente, è evidentemente da escludere: o meglio, lo sarebbe anche se Alpem S.r.l. non avesse accettato il Regolamento della Camera arbitrale. Come si è detto, la ricorrente lamenta di non aver potuto partecipare al procedimento arbitrale perché le comunicazioni in proposito inviate dalla Camera arbitrale di Mosca erano redatte in russo, ma questa tesi è insostenibile: per una società che intrattenga rapporti commerciali con altra società estera, con la quale sia insorta controversia, costituisce infatti manifestazione di evidente negligenza il non approfondire il significato di corrispondenza redatta nella lingua dello Stato di appartenenza di detta società; e la negligenza diviene ancor più grave a fronte del disinteresse manifestato dalla ricorrente per un atto che, come nel caso in esame, recava l’intestazione in lingua inglese “The International Commerciai Arbitration Court at the Chamber of Commerce and Industry of the Russian Federation”, intestazione il cui significato non è plausibile sia sfuggito alla società destinataria della comunicazione. Ed è ovvio che non può certo discorrersi di violazione del diritto di difesa una volta constatato che l’ignoranza del procedimento arbitrale è da imputare alla stessa società che se ne duole.

4.3. – La questione della violazione dell’art. 5 del regolamento CE 1393/2007, è anch’essa assorbita, restando soltanto da evidenziare che, naturalmente, il dato normativo non è richiamato a proposito, visto che il regolamento non si applica in Russia.

5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

 

 

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