Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16467 del 31/07/2020
Cassazione civile sez. trib., 31/07/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 31/07/2020), n.16467
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28773-2014 proposto da:
SOGESTIM SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI FRENTANI 2-C, presso lo
studio dell’avvocato GIANLUCA GRECO, rappresentata e difesa
dall’avvocato GEROLAMO ANGOTTI, giusta procura in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1384/2014 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di
ROMA, depositata il 08/04/2014; udita la relazione della causa
svolta nella pubblica udienza del 11/12/2019 dal Consigliere Dott.
RITA RUSSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GIOVANNI GIACALONE che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato ANGOTTI che si riporta agli
scritti.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1.- In data 17 dicembre 1977 la Guardia di Finanza ha rilevato, con processo verbale di contestazione, che la società Sima s.a.s. oggi SO.GEST.IM. s.r.l. aveva omesso di registrare un contratto di costituzione del diritto d’uso di beni immobili rinvenuto presso la sede della società. Nel 1985 il contratto era stato registrato e l’ufficio aveva emesso, nel 1987, avviso di accertamento di maggior valore dei beni. La società contribuente ha impugnato detto secondo atto impositivo assumendo che l’avviso non è motivato e l’assenza dei presupposti per l’azione accertatrice dell’ufficio, in quanto il contratto rinvenuto nella sede della società era una semplice proposta senza sottoscrizione. Il ricorso della contribuente è stato accolto in primo grado, ma il giudice di secondo grado ha riformato la sentenza accogliendo l’appello della Agenzia.
La Commissione Tributaria Centrale, adita dalla società, con sentenza depositata in data 8 aprile 2014, ha rigettato il ricorso della contribuente, ritenendo l’avviso congruamente motivato ed inconferente il richiamo al contratto non concluso.
2.- Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la società affidandosi a quattro motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
3.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 634 del 1972, art. 74, nella parte in cui la Commissione Centrale ha ritenuto che l’ufficio non fosse decaduto dal potere accertativo. Secondo la contribuente si sarebbe verificata la decadenza perchè l’ufficio non ha notificato l’avviso di accertamento di maggior valore nei termini decorrenti dal processo verbale di contestazione della Guardia di Finanza del (OMISSIS). Con il secondo motivo del ricorso la parte deduce il vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, nella parte in cui la CTC ha ritenuto non acquisita la prova certa della data della stipula del contratto non registrato.
Il primo motivo è inammissibile perchè risulta essere stato proposto solo in grado di appello, e peraltro con la memoria integrativa. La sentenza impugnata, infatti, afferma che con la memoria integrativa dell’11 marzo 1994 la parte, in aggiunta ai motivi originari ha chiesto che venisse dichiarata la decadenza; a fronte di ciò e a fronte di specifica eccezione di inammissibilità del novum in appello, opposta dalla Agenzia, la ricorrente non allega e non dimostra che il motivo fosse già stato proposto con il ricorso di primo grado. Da ciò consegue l’assorbimento del secondo motivo del ricorso.
4.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 7, e del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, in quanto l’avviso di accertamento non era sufficientemente motivato, facendo esso unicamente riferimento alla stima dell’UTE.
Il motivo è inammissibile perchè l’avviso di accertamento non risulta trascritto nè prodotto.
E’ infatti principio già affermato da questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, che “i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza” (Cass. 29093/2018).
5.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 24 Cost., art. 100 c.p.c., e del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16; la parte deduce che avrebbe errato la CTC nel ritenere inammissibile la questione relativa alla diversa natura del contratto sottoposto a registrazione, e cioè che esso fosse non già contratto costitutivo del diritto d’uso ma una semplice proposta o contratto di locazione, sul presupposto che tale rilievo avrebbe dovuto essere proposto avverso l’avviso di liquidazione per l’omessa registrazione dell’atto e non avverso l’avviso di accertamento impugnato.
Il motivo è infondato. L’avviso di accertamento del maggior valore, oggetto della odierna impugnazione è riferito al contratto costitutivo del diritto d’uso sottoposto volontariamente dalle parti a registrazione e con riguardo al quale, dunque, non si fa questione della diversa natura del contratto.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 oltre al rimborso elle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2020