Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16462 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 03/05/2016, dep. 05/08/2016), n.16462

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLA Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13328-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MARLENE SRL, S.M., S.F.;

– intimati –

Nonchè da:

MARLENE SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

S.M. in qualità di socio e legale rappresentante pro tempore,

S.F. in qualità di socio e legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA ALBERICO II 33,

presso lo studio dell’avvocato VALENTINA FERRIGNI, rappresentati e

difesi dall’avvocato GIOVANNI D’INNELLA giusta delega in calce;

– controricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 2381/2014 della COMM.TRIB.REG. della Puglia,

depositata il 21/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2016 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del ricorso

incidentale;

udito per il controricorrente l’Avvocato DAMASCELLI per delega

dell’Avvocato D’INNELLA che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale e l’accoglimento del ricorso incidentale, l’Avv. deposita

in udienza una cartolina di ricevimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso principale, assorbito l’incidentale

motivo 1 e rigetto motivo 2.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Direzione Provinciale delle entrate BAT, in data 10.08.2011, con avviso n. (OMISSIS) per l’anno di imposta 2005, accertava nei confronti della società Marlene dei F.lli S.M. e F. SNC maggiori ricavi non contabilizzati e l’omesso versamento di IVA.

L’atto era stato emesso sulla base del pvc redatto in data 06.04.2011 dalla G. di F., Compagnia di Andria, che aveva contestato alla contribuente l’indebito utilizzo del deposito fiscale gestito “virtualmente” dalla Work System, sottraendo le merci al pagamento dei diritti di confine, nell’ammontare risultante dalle autofatturazioni emesse ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, comma 3. La contestazione si fondava sulla circostanza che la Work System non era stata autorizzata alla gestione del deposito IVA e che la merce non aveva materialmente sostato nel deposito fiscale, che non aveva svolto le funzioni di stoccaggio e di custodia dei beni in esso introdotti, in violazione del D.L. n. 331/1993, art. 50 bis.

I maggiori ricavi accertati erano stati imputati per trasparenza ai soci, con separati avvisi di accertamento nn. TVS0020700849/2011 e TVS0020700850/2011.

Tutti gli avvisi di accertamento, erano impugnati dalla società e dai soci con esito sostanzialmente favorevole, sia in primo che in secondo grado.

2. Con la sentenza n. 2381/13/14, depositata il 21.11.2014, la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, respingeva l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate e l’appello incidentale proposto dalle parti private.

Il giudice di appello preliminarmente riteneva sussistente il difetto di competenza funzionale dell’Agenzia delle entrate ad accertare e riscuotere l’IVA all’importazione prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70, in quanto rientrante “pacificamente” tra i diritti di confine, il cui accertamento era riservato all’Agenzia delle dogane.

Nel merito affermava che, comunque, non si ravvisavano elementi di prova in ordine al comportamento elusivo della contribuente.

In particolare rimarcava che la società aveva documentalmente provato per l’anno di imposta 2005 la correttezza e la legittimità del proprio operato nel rispetto della normativa; che la Work System gestiva un deposito fiscale regolarmente autorizzato, come si evinceva dall’archiviazione del procedimento penale; che la G. di F. aveva mosso le sue contestazioni sulla scorta di dichiarazioni rese da terzi, non conseguenti ad un esame documentale; che l’Ufficio non aveva prodotto elementi di prova a sostegno di quanto contestato.

Quanto all’appello incidentale, affermava la sussistenza dei presupposti per il raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento, introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, commi 24, 25 e 26; rimarcava che la disposizione era applicabile nel caso in esame, in quanto la decorrenza era stata stabilita dal D.L. 223 del 2006, art. 37, comma 26, dal periodo di imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del D.L. (04.07.2006) i termini ordinari di accertamento non erano ancora perenti.

Escludeva altresì la sussistenza dei presupposti per accogliere la richiesta di condanna per lite temeraria avanzata dalle parti private.

3. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione articolato su tre motivi, al quale replicano i controricorrenti proponendo anche ricorso incidentale su due motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1. Il ricorso principale è articolato in tre motivi.

1.2. Con il primo motivo si denuncia violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 5, convertito con L. n. 427 del 1993 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Osserva la ricorrente che, non essendovi stato accertamento dell’Agenzia delle Dogane per il recupero dell’IVA all’importazione, legittimo era l’intervento dell’Agenzia delle Entrate operato non mediante il recupero dell’IVA all’importazione bensì mediante il disconoscimento della detrazione conseguita con l’estrazione della merce da un deposito “virtuale”, mediante autofattura.

1.3. Con il secondo motivo si denuncia violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50 bis, comma 5, convertito con L. n. 427 del 1993 e del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 16 e 17 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Osserva la ricorrente che poichè il deposito aveva carattere virtuale, e dunque illecito, non spettava la detrazione dell’IVA, da considerare riferita ad operazione inesistente.

1.4. Con il terzo motivo si denuncia omessa motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Osserva la ricorrente che la CTR ha omesso di valutare la natura virtuale del deposito, che non derivava unicamente dalle dichiarazioni dei terzi, ma anche dagli ulteriori elementi oggettivi risultanti dall’avviso di accertamento, ed in particolare: la merce, nella quasi totalità dei casi, veniva annotata su registri di carico-scarico nello stesso giorno sia in entrata che in uscita ed il tempo che ciascun mezzo impiegava per l’espletamento della pratica IVA spesso non superava i quindici minuti; molti operatori emettevano le autofatture con data antecedente il giorno di ingresso nel deposito; non è mai stato esibito un contratto di deposito.

1.5. I motivi secondo e terzo vanno esaminati prioritariamente risultando connotati di decisività in applicazione del principio della “ragione più liquida” (Cass. SS.UU. n. 9936/2014, sez. 6 – L n. 12002/2014) che, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre.

I due motivi sono da valutare unitariamente in ragione del vincolo di connessione.

1.6. Trattasi di motivi infondati alla luce della sentenza della Corte di Giustizia in C272/13 Equoland.

Invero, l’Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui al D.L. n. 331 del 1993, n. 331, art. 50 bis, comma 4, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 427 del 1993, qualora costui abbia già provveduto all’adempimento, sia pur tardivo, dell’obbligazione tributaria nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile mediante un’autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell’IVA, realizzata dall’importatore per effetto dell’immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13 Equoland (Cass. 29 luglio 2015, n. 16109 e n. 15988; 8 settembre 2015, n. 17815 e 8 settembre 2015 n. 17814; 29 luglio 2015, n. 16109; si veda anche Cass. 19 settembre 2014, n. 19749).

1.7. L’accoglimento di secondo e terzo motivo determina l’assorbimento del primo motivo, privo di decisività.

2.1. Il ricorso incidentale è articolato su due motivi.

2.2. Primo motivo – I controricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, e del D.Lgs. n. n. 74 del 2000, art. 5 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Sostengono che la ratio della disposizione si fonda sulla opportunità di estendere i tempi di accertamento in occasione della sussistenza degli obblighi di denuncia all’AGO per i fatti ricadenti nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, e lamentano che nel caso in esame la CTR non aveva indicato il reato al quale aveva riconnesso il raddoppio del termine.

2.3. Secondo motivo – I controricorrenti denunciano la violazione dell’art. 96 c.p.c. in tema di lite temeraria (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) in merito al rigetto da parte della Commissione Regionale della richiesta di condanna dell’Agenzia al risarcimento del danno per lite temeraria, motivato dalla “specificità e complessità dell’oggetto del contendere unitamente al non univoco orientamento giurisprudenziale” (fol. 9 della sentenza impugnata).

2.4. La disamina del primo motivo è assorbita dal rigetto del ricorso principale.

2.5. Il secondo motivo è infondato e va respinto.

2.6. Invero dal complesso delle questioni esaminate nella sentenza impugnata, risulta la difficoltà dell’orientamento unitario posto a fondamento della decisione impugnata, al quale si è pervenuti a seguito della già citata decisione della Corte di giustizia.

3.1. In conclusione il ricorso principale va rigettato per infondatezza dei motivi secondo e terzo, assorbito il primo.

Il ricorso incidentale va rigettato perchè il primo motivo è assorbito dal rigetto del ricorso principale ed il secondo motivo è infondato.

3.2. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate.

3.3. L’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass. 29 gennaio 2016, n. 1778; 14 marzo 2014 n. 5955).

3.4. Con riferimento ai ricorrenti in via incidentale, si deve, invece, dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte degli stessi, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del cit. D.P.R. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte di cassazione,

Rigetta il ricorso per infondatezza dei motivi secondo e terzo, assorbito il primo;

– rigetta il ricorso incidentale, assorbito dal rigetto del ricorso principale il primo motivo ed infondato il secondo motivo;

– le spese del giudizio di legittimità si compensano;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto: a) della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del stesso art. 13, comma 1 bis; b) della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del cit. D.P.R. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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