Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16459 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/06/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 10/06/2021), n.16459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta M.C. – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 240-2014 proposto da:

SERVHOTEL SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO D’ITALIA 102,

presso lo studio dell’avvocato NICOLETTA GERVASI, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

– intimati –

avverso la sentenza n. 64/2013 della COMM. TRIB. REG. PUGLIA,

depositata il 10/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/01/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

La SERVHOTEL s.r.l. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 64/11/2013, depositata il 10.05.2013 dalla Commissione tributaria regionale della Puglia, con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, era stato rigettato il ricorso introduttivo della contribuente avverso l’avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2005, notificato dall’Agenzia delle entrate all’esito di una verifica che, rilevando lo scostamento dallo studio di settore applicato, aveva induttivamente rideterminato i ricavi della contribuente, accertando maggiori imposte a titolo di Ires, Irap ed Iva.

Il ricorso era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Bari con sentenza n. 35/17/2012. L’appello proposto dall’Ufficio era stato invece accolto con la decisione ora ai vaglio della Corte. Il giudice regionale ha ritenuto che l’accertamento del maggior reddito non fosse solo fondato sullo scostamento dei redditi dichiarati dallo studio di settore applicato, ma sulle gravi incongruenze emerse tra i dati raccolti ed il dichiarato, pur tenendo conto degli esiti del contraddittorio ritualmente instaurato. Ha infine ritenuto correttamente determinate le sanzioni.

La società ha censurato la decisione con tre motivi:

con il primo per violazione del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies conv. con modificazioni in L. 29 ottobre 1993, n. 427, per non aver correttamente valutato, come richiesto dalla disciplina, gli elementi desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività;

con il secondo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 350 c.p.c., comma 1, n. 5, con riguardo alla specifica attività della società, alle sue reali potenzialità reddituali, nonchè alla inesistenza di uno studio di settore sull’attività economica esercitata (noleggio biancheria e non lavanderia);

con il terzo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12, comma 5, per aver equivocato le critiche elevate dalla contribuente in ordine al calcolo delle sanzioni.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con decisione nel merito.

Si è costituita l’Agenzia delle entrate, che ha eccepito l’inammissibilità dei motivi di ricorso e nel merito la loro infondatezza, chiedendone dunque il rigetto.

La causa è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 27 gennaio 2021.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la ricorrente critica la decisione per malgoverno dei principi che presidiano l’accertamento mediante l’applicazione degli studi di settore. La società, invocando il tenore letterale del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, ne lamenta una errata interpretazione da parte del giudice d’appello, perchè, a suo dire, non avrebbe valutato adeguatamente caratteristiche e condizioni di esercizio della specifica attività esercitata, senza rendersi conto della sua stagionalità, del numero di dipendenti assunti con contratto a tempo determinato in ragione della natura prevalentemente stagionale, della circostanza che le maggiori imposte versate afferivano proprio al periodo maggio-settembre, anche ciò indice del prevalente lavoro stagionale. Il motivo, quando non inammissibile, è infondato.

Deve premettersi che, con orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività- ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dell’accertamento. In tale sede quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali non sono state ritenute attendibili le allegazioni del contribuente. L’esito del contraddittorio peraltro non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, il cui onere probatorio grava sull’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente (Cass., Sez. U., 18/12/2009, n. 26635; più di recente, Cass. 31/05/2018, n. 13908; Cass. 12/04/2017, n. 9484; Cass. 20/09/2017, n. 21754; Cass. 07/06/2017, n. 14091). Attese quindi le conseguenze derivanti dalla ripartizione dell’onere probatorio, si è anche affermato che ogni qual volta il contraddittorio sia stato regolarmente attivato e il contribuente abbia omesso di parteciparvi, oppure, anche partecipando, non abbia allegato alcunchè per spiegare lo scostamento, l’Ufficio non è più tenuto ad offrire alcuna ulteriore dimostrazione della pretesa esercitata in ragione del semplice disallineamento del reddito dichiarato rispetto ai menzionati parametri (cfr. Cass., 20/09/2017, n. 21754 cit.; da ultimo anche 30/10/2018, n. 27617 e 20/06/2019, n. 16545). In questo caso infatti la rilevazione dello scostamento, a fronte dell’assenza di elementi con cui il contribuente ne spieghi la sussistenza, assume la dignità di indizio grave e preciso, idoneo, pur se unico, a supportare la dimostrazione dei fatto ancora sconosciuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c..

Così perimetrato l’alveo applicativo sulle regole di accertamento riconducibili agii studi di settore, occorre verificare se la pronuncia impugnata abbia disatteso la normativa, secondo l’interpretazione resa con i principi enucleati da questa Corte, oppure se ne abbia fatto corretta applicazione.

Nella sentenza il giudice regionale, a fronte delle critiche rivolte dalla contribuente all’avviso di accertamento, ha avvertito che l’Ufficio non aveva basato gli esiti sul mero scostamento dai risultati dello studio di settore, ma al contrario aveva tenuto conto delle gravi incongruenze tra ricavi, compensi e redditi dichiarati, applicando a tal fine correttamente il cluster di riferimento (riguardante il noleggio di biancheria e il lavaggio industriale). Ha inoltre dato atto che l’Amministrazione finanziaria era pervenuta alle sue conclusioni, tenendo conto degli esiti del contraddittorio. Ha poi rilevato che “le eccezioni sollevate dalla società per giustificare lo scostamento, quali lo svolgimento dell’attività stagionale, la limitatezza del mercato di riferimento, la localizzazione territoriale della società, le spese sostenute per i cespiti ammortizzabili e per i costi di trasporto, o risultano smentite dagli atti di causa o risultano infondate, giacchè sia dal numero complessivo delle giornate lavorative retribuite che dall’esame dei libri matricola esibiti dalla società, risultano rapporti di lavoro già instaurati prima del 2005, protrattisi oltre tale data, senza soluzione di continuità, per cui l’attività espletata non può essere considerata stagionale; inoltre la localizzazione territoriale risulta persino strategica rispetto alla realtà turistico-alberghiera ed i costi e le spese complessive non si differenziano sostanzialmente rispetto ad altre annualità che hanno registrato risultati più apprezzabili, con minore incidenza dei costi sui ricavi”. A questo punto ha concluso affermando che le eccezioni sollevate dalla società non avevano scalfito l’accertamento

Ebbene, il tenore della pronuncia esclude radicalmente che il giudice regionale si sia limitato a valorizzare H mero scostamento tra il dichiarato e lo studio di settore, avendo invece ben rappresentato i risultati dei contraddittorio endoprocedimentale, e ben ponderato le ragioni espresse dalla contribuente nella fase giurisdizionale, giudicando tuttavia che gli esiti dell’accertamento non erano superati dagli elementi e dalle considerazioni difensive addotti dalla società. è appena il caso di evidenziare che proprio le argomentazioni su cui maggiormente ha insistito la contribuente, in particolare la stagionalità dell’attività esercitata, sono stati valutati alla luce degli elementi allegati dall’Ufficio, concludendo nei termini favorevoli all’Amministrazione finanziaria. Si tratta dunque di una valutazione analitica di tutto il materiale versato nel processo, dalla contribuente come dall’Agenzia delle entrate, in coerenza con i principi, elaborati da questa Corte, che presidiano l’accertamento mediante studi di settore.

Se poi con il motivo la società abbia inteso contestare le valutazioni e le conclusioni tratte dal giudice d’appello sugli elementi allegati al processo, ossia il processo di elaborazione critica dei giudizio cui è pervenuto l’organo giudicante, esso si rivelerebbe inammissibile, perchè si pretenderebbe una rivalutazione della vicenda nel merito, ciò che è inibito al giudice di legittimità.

Con il secondo motivo ci si duole di un vizio di motivazione con riguardo alla specifica attività della società, alle sue reali potenzialità reddituali, alla inesistenza di uno studio di settore sull’attività economica esercitata.

Va rammentato che la sentenza è stata depositata nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. Con esso non sono più ammissibili nei ricorso per cassazione le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, ma il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; 20/11/2015, n. 23828; 12/10/2017, n. 23940). Sicchè con la nuova formulazione del n. 5 lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia. Pertanto l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso, considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 29/10/2018, n. 27415). Ebbene, va intanto escluso che possa collocarsi nell’alveo del “fatto” la contestazione dello studio di settore applicato (inesistente, secondo la prospettazione difensiva della società, per l’attività di noleggio di biancheria ed introdotto specificamente solo nel 2009), tanto più che si trattava proprio dello studio indicato dalla società nella propria dichiarazione fiscale, come evidenziato dalla difesa della Agenzia delle entrate e come d’altronde evincibile dalle difese della ricorrente, secondo cui sarebbe stata obbligata all’utilizzo di quello studio di settore in assenza di altri (cfr. pag. 11 del ricorso, laddove si riporta uno stralcio della memoria d’appello). Disquisire pertanto sulla adeguatezza o meno dello studio di settore all’epoca applicabile, comprensivo, nei 2005, delle attività economiche della “lavanderia industriale” e del “noleggio di biancheria”, esula dal vizio di motivazione. Per mera completezza, nella motivazione della sentenza la Commissione regionale ha fatto espresso richiamo alla correttezza dei cluster di riferimento considerato dall’Ufficio (TG67U), per cui va comunque escluso l’omesso esame del “fatto”.

Quanto poi alla doglianza sull’erroneità del giudizio critico della Commissione regionale, che avrebbe invertito le regole sull’onere probatorio e non avrebbe tenuto conto degli elementi addotti dalla contribuente a giustificazione dei reddito dichiarato, a parte che valgono le considerazioni già espresse con riferimento al primo motivo, si tratta di argomenti difensivi che esulano dalla denuncia di un vizio di motivazione, del tutto inammissibili.

Con il terzo motivo la Servhotel lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, per aver equivocato le critiche elevate dalla contribuente in ordine al calcolo delle sanzioni.

La contribuente afferma che in sede d’appello aveva denunciato l’erroneo calcolo delle sanzioni, per mancata applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5. Sostiene in particolare che non fosse stato applicato il cumulo giuridico a reati della stessa indole, essendogli stata comminata invece la medesima sanzione del 100% per un’unica violazione in materia di IVA. Di contro l’Amministrazione finanziaria nega la circostanza, evidenziando che le sanzioni in materia di Iva afferissero a due diverse violazioni: l’omessa, infedele, tardiva registrazione delle fatture (citato D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, commi 1, 4 e 5), e la presentazione della dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta (medesimo D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4).

Il motivo, così come formulato, è inammissibile perchè carente, in violazione dei principio di autosufficienza, della riproduzione in ricorso quanto meno delle parti degli atti difensivi dei gradi di merito, in cui erano identificate le singole violazioni, le sanzioni comminate, gli errori commessi dall’Amministrazione ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5.

Il ricorso va dunque rigettato. Alla soccombenza della ricorrente segue la sua condanna alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

 

 

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