Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16455 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 03/05/2016, dep. 05/08/2016), n.16455

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1566-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

R.I.;

– intimata –

Nonchè da:

R.I., elettivamente domiciliata in ROMA VIALE XXI APRILE

11, presso lo studio dell’avvocato CORRADO MORRONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO SCIANANDRONE giusta delega in calce;

– controricorrente con ricorso incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1230/2014 della COMM.TRIB.REG. della PUGLIA,

depositata il 29/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/05/2016 dal Consigliere Dott. MARCO MARULLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che si riporta e

chiede l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto del

ricorso incidentale;

udito per il controricorrente l’Avvocato SCIANANDRONE che ha chiesto

il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso

incidentale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del

ricorso principale, assorbiti altri motivi e assorbito il ricorso

incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 29.5.2014 la CTR Puglia ha respinto gli appelli di entrambe le parti avverso la decisione che in primo grado, accogliendo il ricorso di R.I. e compensando tuttavia le spese di giudizio, aveva annullato, l’avviso di accertamento a mezzo del quale l’Agenzia delle Entrate – recependo le risultanze di pregresse indagini di polizia tributaria in ordine al deposito fiscale in gestione alla Work System s.r.l. – aveva provveduto a contestare, in considerazione del carattere virtuale del deposito effettuato dalla parte (“la merce introdotta nel deposito IVA non vi stazionava che per i minuti necessari all’espletamento degli adempimenti connessi all’utilizzo del beneficio”), il mancato versamento dell’IVA.

La CTR, confermando il deliberato di prima istanza, ha previamente giudicato corretta in relazione all’appello di parte la compensazione delle spese disposta dai primi giudici, in considerazione “della materia” e “della complessità delle questioni trattate”, nonchè del fatto che “il giudizio riguardasse anche interpretazione di norme”. Pronunciandosi poi analogamente in relazione all’appello dell’erario ha rilevato in senso ostativo che l’Agenzia si era limitata a ripropone le deduzioni e le difese avanzate innanzi ai giudici di primo grado, senza tuttavia specificare in alcun modo gli eventuali errori commessi dai medesimi “e/o la carenza e/o contraddittorietà della motivazione posta a base della decisione adottatta”.

Per la cassazione di detta sentenza l’erario si affida a tre motivi di ricorso, ai quali replica la parte con controricorso e ricorso incidentale basato su unico motivo.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1. Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia impugnante lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 posto che, pronuciandosi nei riferiti termini quanto al gravame incidentale da essa proposto, la CTR “non ha minimamente palesato il proprio convincimento essendosi limitato a ritenere genericamente condivisibile la sentenza di primo grado”, senza rendere comprensibile la materia del contendere e le posizioni delle parti e rinviando alla sentenza impugnata senza riportarne il contenuto, onde la relativa sentenza risulta nulla “per motivazione apparente”.

2.2. In disparte dalla preclusione di giudicato e dalle altre ragioni di inammissibilità fatte valere dalla controricorrente, il motivo è inammissibile poichè non coglie esattamente la ratio decidendi enunciata dal giudice di seconde cure in parte qua.

Invero, sebbene abbia rigettato perchè infondato il ricorso erariale – con ciò legittimando inizialmente la tesi che la sentenza, limitandosi a condividere le argomentazioni dei primi giudici ed omettendo di enunciare i motivi in fatto ed in diritto della decisione, sia affetta da un vizio di motivazione apparente – la CTR ha in realtà inteso rilevare, insieme alla concludenza delle argomentazioni fatte valere dei primi giudici (“la decisione dei primi giudici, le cui motivazioni, logiche ed esaustive il collegio, condividendole, fa proprie”), anche il fatto, pregiudiziale ed assorbente rispetto al formulato giudizio di merito, che l’atto d’appello fosse inammissibile per un difetto di specificità (“il collegio rileva che l’amministrazione appellante incidentale si è limitata a riproporre le deduzioni e le difese avanzate innanzi ai giudici di primo grado, senza in alcun modo specificare, sia in ordine al fatto, sia in ordine al diritto gli eventuali errori commessi dai primi giudici e/o la carenza e la contraddittorietà della motivazione posta a base della decisione adottata”) in chiara applicazione della preclusione stabilita per il processo tributario dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, prima parte.

Dunque non solo l’adesione alle ragioni accolte dai primi giudici ha ispirato il deliberato d’appello, ma anche il rilievo che l’appello erariale era privo di specificità, rilievo però che il motivo non intercetta.

3.1. Con il secondo motivo l’Agenzia impugnante si duole in via subordinata per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 50-bis, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 70 atteso che la CTR, ritenendo l’incompetenza di essa ricorrente ad accertare l’elusione posta in essere dalla contribuente, “ha violato la prima norma in epigrafe”, che legittima l’espletata azione accertatrice, risultando invero doveroso, a fronte della illiceità del deposito operato dalla parte, “perchè meramente virtuale”, l’intervento dell’Agenzia delle Entrate”, che può intendersi operato non mediante il recupero dell’IVA all’importazione, in tal caso sussistendo la competenza dell’Agenzia delle Dogane, ma mediante il disconoscimento delle detrazione di imposta contenute nelle stesse autofatture.

3.2. Con il terzo motivo, sempre svolto in via subordinata, l’Agenzia deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 poichè, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, condividendo sul punto le ragioni della decisione di primo grado, come pure precisato da Corte Cost. 247/11 “unica condizione affinchè operi la normativa sul raddoppio dei termini è la constatazione dell’esistenza di una violazione per la quale sussista l’obbligo di denuncia di reato tributario ai sensi dell’art. 331 c.p.p. indipendentemente dalla circostanza che tale obbligo sia stato o meno adempiuto”.

3.3. La cognizione di entrambi i motivi – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto soggetti ad una comune declaratoria di rito – è preclusa dall’eccezione di giudicato opposta preliminarmente dalla controricorrente.

Invero costei ha fatto osservare che tra le altre ragioni di doglianza avverso l’atto impugnato aveva avuto cura di rappresentare la propria estraneità alla vicenda in discussione, non avendo essa provveduto all’estrazione dei beni dal deposito IVA e non essendo perciò parte del rapporto sostanziale di imposta. Il giudice di primo grado – come la controricorrente testualmente documenta, anche ai fini dell’autosufficienza dell’eccezione – aveva accolto il così sollevato difetto di legittimazione passiva osservando che “dalla documentazione prodotta… risulta che la merce oggetto di autofatturazione veniva importata ed estratta dal deposito IVA di (OMISSIS) dalla Erman s.r.l.” e traendo da ciò la conclusione, anche in ragione della mancata contestazione dell’ufficio e della mancata produzione del p.v.c., che la doglianza dovesse essere accolta. Ora, osserva ancora la controricorrente, poichè il giudice d’appello confermando la decisione di primo grado ha pure confermato il capo della decisione di primo grado in punto di difetto di legittimazione passiva e la detta statuizione non è stata censurata dall’Agenzia, deriva “il consolidamento della decisione sul punto con conseguente formazione del giudicato”.

La tesi è ineccepibile avendo questa Corte (4293/16; 22753/11; 20118/06) più volte rilevato il difetto di interesse del ricorrente allorchè le censure che esso muove alla decisione di appello non investano tutte le rationes decidendi, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, che sorreggono e l’impugnato pronunciamento, il quale, quand’anche le ulteriori ragioni di doglianza risultassero fondate, non per questo giustificherebbe la richiesta pronuncia cassatoria, potendo contare, ai fini della sua persistente legittimità, sulle ragioni che non avendo formato oggetto di ricorso sono divenute definitive.

Ne consegue che non avendo il punto in discussione formato oggetto di doglianza in questa sede, costituendo esso distinta ed autonoma ragione giustificatrice della decisione, la ricorrente non ha più interesse ad ottenere una pronuncia in ordine alle censure di cui ai motivi in disamina, in quanto il loro eventuale accoglimento non renderebbe per questo l’impugnata decisione meno fondata.

4.1. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la R. eccepisce a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contrarietà dell’impugnata decisione in punto di spese, avendo la CTR violato il precetto dell’art. 92 c.p.c., comma 2 laddove ha confermato la decisione di primo grado che ne aveva disposta la compensazione, malgrado “non potessero considerarsi prevalenti le ragioni di fatto e diritto che avevano portato all’accoglimento del ricorso”.

4.2. Il motivo è infondato.

Posto che l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo vigente al tempo prevedeva che la compensazione delle spese potesse essere disposta dal giudice, oltre che in caso di reciprocità della soccombenza, solo se “concorrono altre e gravi ragioni”, nella specie non sussiste la lamentata violazione di legge, dal momento che la CTR, rigettando lo specifico motivo di gravame, si è esattamente attenuta al detto disposto normativo, ravvisando la legittimità in parte qua dell’impugnata decisione sul presupposto che la compensazione operata nella specie dai primi giudici era giustificata dalla “materia”, dalla “complessità delle questioni trattate” e dal fatto che il “riguardava anche interpretazioni di norma”, di modo che ciò di cui il ricorrente incidentale si duole con il motivo in esame non è la contrarietà alla legge della decisione sul punto, ma seminai che il giudice di seconde cure non abbia deciso in adesione a quanto da essa auspicato, il che, ovviamente, non può giustificare l’invocata pronuncia cassatoria.

5. Entrambi i ricorsi vanno dunque rigettati.

Le spese in ragione della reciproca soccombenza possono essere compensate.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

respinge entrambi i ricorsi, compensa le spese del presente giudizio e dà atto della sussistenza dei presupposti del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater a carico del ricorrente incidentale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 3 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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