Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16454 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/07/2017, (ud. 17/05/2017, dep.04/07/2017),  n. 16454

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12598-2016 proposto da:

AUTO IDEA SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DI TOR FIORENZA 56, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO DI GIORGIO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore Generale

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10172/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 13/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/05/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO NIANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 23 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto da Auto Idea srl avverso la sentenza n. 17179/28/14 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IRES, IVA ed altro 2008. La CTR osservava in particolare che, trattandosi di accertamento analitico – induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), essendo fondate le presunzioni utilizzate dall’Ente impositore circa l’anomala gestione del “conto cassa”, di contro non poteva considerarsi assolto l’onere contro probatorio gravante sulla società contribuente, con specifico riguardo alla sua allegazione difensiva che i flussi finanziari oggetto della ripresa fiscale derivassero da disponibilità finanziarie personali esclusive del socio D..

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

In via preliminare va rilevata l’inammissibilità della produzione documentale della ricorrente avvenuta con nota di deposito in data 11 maggio 2017, non ravvisandosi al riguardo l’applicabilità dell’art. 372, c.p.c..

In ogni caso va peraltro notato che si tratta di una sentenza penale di primo grado che non risulta passata in giudicato.

Ciò posto, con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente denuncia violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, poichè la CTR ha affermato la sussistenza di presunzioni semplici con le caratteristiche di cui a detta disposizione legislativa quale fondamento della pretesa fiscale portata dall’atto impositivo impugnato, mentre ha negato l’assolvimento del suo onere controprobatorio.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che:

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015). “Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7921 del 2011).

Con il mezzo in esame la ricorrente richiede a questa Corte esattamente quanto si afferma invece denegatole con i citati principi di diritto, ponendosi all’evidenza questioni meritali e di valutazione probatoria esclusivamente spettanti alla CTR.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente si duole della violazione dell’art. 2729 c.c., art. 116 c.p.c., e di vizio motivazionale, poichè la CTR ha svalorizzato le contro prove offerte rispetto alla presunzione di reflusso nella società di ricavi “non contabilizzati” basante la ripresa fiscale de qua.

La censura è infondata.

Oltre che ribadire in ordine alla medesima gli stessi principi di diritto evocati relativamente alla prima, va peraltro rilevato che la motivazione della sentenza impugnata è particolarmente puntuale ed esaustiva, collocandosi ben oltre il limite del “minimo costituzionale” fissato nella giurisprudenza di questa Corte ad interpretazione della novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (cfr. SU 8053/2014).

In particolare il giudice tributario di appello ha dedicato una specifica attenzione alle modalità concrete dei flussi finanziari in oggetto (importi sotto la soglia di tracciabilità), ben chiarendo la ragione per la quale tali modalità rafforzavano vieppiù la presunzione sfavorevole alla società contribuente; ha inoltre ben spiegato perchè la dimostrazione di capacità economica data dal socio D. non poteva avere, di per sè, rilevanza dirimente in senso contrario alle presunzioni stesse.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione Semplificata.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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