Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16453 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 27/07/2011), n.16453

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI

44, presso lo studio dell’avvocato GIUSTI LUCA, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3215/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/07/2006 r.g.n. 4636/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato GIUSTI LUCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 17.1.03 il Tribunale di Roma accertava che tra M. A. e M.P. era intercorso un rapporto di lavoro domestico dal 1.10.89 al 14.2.96 e dichiarava prescritti i contributi previdenziali dovuti alla lavoratrice, con compensazione di spese.

Con sentenza 7.4.06 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello proposto dalla M. contro tale declaratoria di prescrizione, condannando la lavoratrice alle spese del grado.

Statuivano i giudici del merito che detti contributi erano assoggettati a prescrizione quinquennale – e non decennale – ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 e 10, avendo la ricorrente presentato denunzia all’INPS soltanto in data 5.7.99.

Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale ricorre la M. articolando tre motivi.

L’intimata P. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o errata interpretazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 e 10 nella parte in cui l’impugnata sentenza non ha considerato che – come statuito da questa S.C. con sentenza 15.9.04 n. 18540 in materia di prescrizione del diritto degli enti previdenziali ai contributi dovuti dai lavoratori e dai datori di lavoro, la riduzione a cinque anni, prevista a partire dal 1.1.96, del termine di prescrizione del diritto alle contribuzioni relative ai periodi precedenti l’entrata in vigore della predetta legge e di pertinenza del fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, è sospensivamente condizionata al fatto che entro il quinquennio successivo al 1.1.96, e nei limiti del decennio dalla nascita del diritto stesso, non intervenga la denuncia del lavoratore, denuncia che la M. non aveva presentato entro il 31.12.95 in quanto all’epoca era ancora alle dipendenze della intimata.

Il motivo è inammissibile perchè – in violazione dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis) – non si conclude con il prescritto quesito di diritto.

2. Con il secondo motivo di doglianza la ricorrente denuncia vizio di motivazione nella parte in cui l’impugnata sentenza ha rigettato la domanda risarcitoria ex art. 2116 c.c. nonostante che l’interesse della lavoratrice ad agire per una condanna in via generica al risarcimento sorgesse ancor prima degli eventi condizionanti l’erogazione delle prestazioni previdenziali, in base al presupposto del mero potenziale danno da irregolarità od omissione contributiva.

Il motivo, lungi dal dedurre un vizio di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio spendibile mediante ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in realtà prospetta una violazione dell’art. 100 c.p.c. e art. 2116 c.c. sul presupposto, su cui si è ormai formato il giudicato progressivo inter partes, consistente nell’omissione contributiva da parte della intimata, omissione già accertata con la sentenza di prime cure, non impugnata sul punto.

Ciò significa che anche tale motivo, che andava formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 è – ancor prima che precluso dal giudicato formatosi sul rigetto della domanda risarcitoria ex art. 2116 c.c., non appellato dalla M. (come evidenzia la pronuncia della Corte territoriale) – inammissibile per l’assorbente rilievo della mancata formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c..

3. Lo stesso dicasi per il terzo motivo, con cui l’odierna ricorrente lamenta violazione di legge in ordine al governo delle spese del secondo grado, che a suo avviso si sarebbero dovute compensare versandosi in un tema di controversa interpretazione.

4. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Non è dovuta pronuncia sulle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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