Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16452 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 27/07/2011), n.16452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. MAISANO Giulio – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.E.P.S.A. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 76, presso lo studio

dell’avvocato STUDIO LIBERATI E D’AMORE, rappresentata e difesa

dall’avvocato DEL VECCHIO FRANCESCO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato RICCARDI VINCENZO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 474/2006 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata

il 10/05/2006 r.g.n. 44164/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso di cui

al terzo motivo con assorbimento degli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 12.7.96 l’allora Pretore di Napoli rigettava la domanda con cui C.C. aveva chiesto la condanna della SEPSA S.p.A. a pagargli differenze retributive conseguenti al diverso livello di inquadramento spettantegli in ragione della qualifica di bigliettaio, da cui era stato declassato alla inferiore qualifica di manovale perchè divenuto inidoneo a quella superiore a seguito di infortunio sul lavoro.

Riteneva a riguardo il primo giudice, sulla scorta di una c.t.u.

contabile, l’insussistenza di differenze retributive a credito del lavoratore perchè coperte da un assegno ad personam versatogli dalla SEPSA L. n. 889 del 1971, ex art. 37, sostitutivo della L. 28 marzo 1968, n. 376, art. 7 (in virtù del quale il lavoratore divenuto inidoneo a determinate mansioni a seguito di infortunio sul lavoro conserva la retribuzione relativa alla qualifica che rivestiva prima dell’infortunio, anche se adibito ad altre mansioni).

Con sentenza 10.3.06 il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice d’appello, in parziale accoglimento del gravame del C. condannava la SEPSA a pagare al lavoratore un importo inferiore a quello originariamente richiesto, a tal fine recependo le conclusioni di altra c.t.u. contabile.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la SEPSA con cinque motivi.

Resiste con controricorso il C..

La SEPSA ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. con cui ha ulteriormente illustrato i motivi della propria impugnazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 342 c.p.c. per avere l’impugnata sentenza respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello per genericità e apoditticità dei motivi, chiedendo nel quesito ex art. 366 bis c.p.c. se sia consentito nell’atto di gravame unire alla parte volitiva dell’appello una parte argomentativa dedicata esclusivamente alla contestazione della c.t.u. recepita dalla gravata pronuncia.

Tale doglianza viene poi fatta valere nel secondo motivo anche come vizio del procedimento comportante nullità della sentenza.

Entrambi i motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè intimamente connessi – sono infondati.

Invero, la giurisprudenza di questa S.C., pur richiedendo che alla parte volitiva se ne accompagni una argomentativa con cui l’appellante confuti specificamente ex art. 342 c.p.c., comma 1, le ragioni addotte dal primo giudice, non prescrive a pena di inammissibilità che le due siano graficamente distinte, essenziale essendo solo che l’impugnazione svolga almeno una ragione idonea ad incrinare il fondamento logico-giuridico della statuizione impugnata.

Nel caso in esame i giudici del gravame, fermo restando che l’appellante non ha contestato l’applicabilità della L. n. 889 del 1971, art. 37, hanno evidenziato che il C. ha confutato le conclusioni della c.t.u. espletata in primo grado per aver tenuto conto delle mere attestazioni dell’INPS, per non aver confrontato tra loro, anno per anno, gli importi spettanti e quelli percepiti (considerati al lordo delle ritenute di legge) e per un vero e proprio errore di calcolo nel prospetto degli anni 1985, ’86, ’87 e ’89.

Dunque, vi è una specifica doglianza in ordine alle modalità di calcolo seguite dal c.t.u., quanto basta a soddisfare i requisiti minimi di ammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c., comma 1.

2. Con il terzo motivo di ricorso si deduce motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia in quanto, pur esordendo con il dire che l’appello era ammissibile ma infondato, l’impugnata sentenza lo ha poi accolto statuendo che dalla c.t.u.

erano emerse “differenze retributive non contestate dalle parti”.

Con il quinto motivo la società ricorrente deduce motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia anche riguardo a tale ritenuta non contestazione dell’operato del c.t.u., avendone – invece – la SEPSA confutato dettagliatamente le conclusioni.

Entrambi i motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè intimamente connessi – sono fondati.

Vi è, infatti, un’insanabile contraddizione tra l’incipit (“L’appello è ammissibile, ma infondato”) della parte motiva della sentenza e il successivo parziale accoglimento dell’appello in ordine a quei conteggi effettuati in prime cure che pur la motivazione dei giudici del gravame considera non meritevoli di censura, al punto da esprimersi testualmente con il dire che “… la consulenza tecnico contabile di ufficio è stata ben redatta ed alla stessa non si può muovere alcuna censura, tanto è vero che basta rinviare alla lettura di chiarimenti resi dall’ausiliare del giudice in data 09.02.2006, per rendersi conto che il perito ha esattamente conteggiato il dovuto lordo ed il dovuto percepito sulla base delle buste paga in atti prodotte”.

La contraddizione si riscontra tanto all’interno della motivazione quanto fra questa e il dispositivo (che riconosce una differenza a credito del C. pari ad Euro 4.210,27 oltre rivalutazione ed interessi).

Inoltre, sul fatto controverso (esistenza di una differenza tra le retribuzioni spettanti al lavoratore per la qualifica di bigliettaio e quanto da lui complessivamente percepito anche grazie all’assegno ad personam versatogli dalla SEPSA L. n. 889 del 1971, ex art. 37, sostitutivo della L. 28 marzo 1968, n. 376, art. 7), la motivazione resa (“La consulenza ha individuato differenze retrìbutive non contestate dalle parti; per tale somma segue condanna”) risulta insufficiente perchè non consente di ricavare in quale parte la c.t.u. (dovrebbe essere – ma anche tale punto non è chiaro nella motivazione della gravata pronuncia – quella espletata in secondo grado) sia stata ritenuta meritevole di condivisione da parte del Collegio e per quale ragione, così come non è chiaro quale parte delle conclusioni del c.t.u. sia da considerarsi effettivamente non contestata.

Inoltre, non si comprende come mai il Tribunale abbia preferito la c.t.u. effettuata in appello a quella svolta in primo grado, che pur aveva giudicato immune da censure.

3. L’accoglimento del terzo e del quinto motivo assorbe l’esame del quarto (relativo all’omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione).

4. In conclusione deve accogliersi il ricorso nei sensi di cui in motivazione, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli, che dovrà chiarire, alla stregua di quanto emerso dalle c.t.u. espletate nel corso del processo e/o di altre risultanze di causa, se e quali differenze retributive sussistano a credito del C., a tal fine confrontando tra loro le retribuzioni spettanti per la qualifica di bigliettaio e quanto complessivamente percepito anche grazie all’assegno ad personam versato dalla SEPSA L. n. 889 del 1971, ex art. 37 sostitutivo della L. 28 marzo 1968, n. 376, art. 7.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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