Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16452 del 04/07/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 04/07/2017, (ud. 17/05/2017, dep.04/07/2017),  n. 16452

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12548-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1375/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di Gl’INOVA, depositata il 02/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/05/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON;

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Con sentenza in data 30 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale della Liguria respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 100/7/10 della Commissione tributaria provinciale di La Spezia che aveva accolto il ricorso di B.G. contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEF, IVA 2004. La CFR osservava in particolare che l’atto impositivo impugnato traeva origine da attività di verifica fiscale nei confronti di SD Motors srl a carico della quale si era ipotizzata una condotta frodatoria dell’IVA, con emissione di un avviso di accertamento che peraltro risultava annullato in sede giurisdizionale; che oltre a ciò l’antieconomicità dell’attività e le basse percentuali di ai fini della prova del concorso del medesimo nella frode IVA in ricarico contestate al contribuente non potevano considerarsi rilevanti questione.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

L’intimato non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 19 e 54, art. 2697 c.c., poichè la CIR ha affermato come non assolto un onere probatorio che non le incombeva, posto che, a fronte della comprovata antieconomicità dell’attività del contribuente e della natura fittizia dell’interposizione di SD Motors srl (c.d. società “filtro”), doveva essere il contribuente medesimo a provare di non essere a conoscenza della natura frodatoria dell’attività commerciale della SD Niotors.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che “In materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, qualora sia contestata la inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 c.c., la interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonchè la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa; spetta, invece, al contribuente che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva della operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente” (Sez. 5, Sentenza n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631553 – 01). La sentenza impugnata è in evidente contrasto con tale principio di diritto, poichè ha ritenuto irrilevante la prova presuntiva allegata dall’Ente impositore (antieconomicità dell’attività del contribuente e basse percentuali di ricarico) ed allo stesso tempo ha affermato il venir meno dell’ulteriore, fondamentale, prova presuntiva derivante dalla natura fittizia dell’attività della SD Motors sulla base di non meglio identificate pronuncie di altre Commissioni tributarie, quindi non attribuendo correttamente l’onere contro probatorio al contribuente. Con il secondo mezzo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata a causa della “mera apparenza” della sua motivazione.

La censura è fondata.

Come detto e come denunciato, la CTR ha, anche basato, la propria decisione sull’avvenuto annullamento dell’atto impositivo emesso nei confronti del soggetto imprenditoriale formalmente cedente i beni di cui all’IVA in contestazione, senza tuttavia alcuna precisazione in ordine alle decisioni giurisdizionali correlative.

L’agenzia fiscale ricorrente peraltro ha asseverato che il relativo contenzioso è tuttora pendente avanti questa Corte, sicchè è chiaro che la circostanza affermata risulta priva di ogni base fattuale e giuridica, non essendo comunque passate in giudicato le sentenze di merito emesse in quel procedimento e comunque potendo essere utilizzate per relationem solo con un apparato argomentativo che è del tutto mancante nella sentenza impugnata.

Ne consegue che su tale punto decisivo della controversia è senz’altro sussistente la denunciata violazione dell’obbligo motivazionale, ancorchè nel suo “minimo costituzionale” (cfr. SU 8053/2014).

La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione ad entrambi i motivi dedotti, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2017

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