Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16448 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 04/04/2016, dep. 05/08/2016), n.16448

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLA Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5092-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

31 SECURITY INTERNATIONAL SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 211/2007 della COMM.TRIB.REG. del Lazio,

depositata il 07/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2016 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato CAMASSA che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con avviso di rettifica parziale della dichiarazione IVA per l’anno di imposta 1997, scaturente dal processo verbale di constatazione redatto dalla Dogana di Ciampino il 7 giugno 1999 nei confronti della 31 Security International S.r.l., l’Agenzia delle entrate ha accertato l’omesso versamento dell’Iva per Lire 21.938.000, applicando sanzioni ed interessi per Lire 30.995.000, in relazione a dieci fatture relative cessioni di merce verso soggetti non aventi residenza in ambito comunitario, riguardo alle quali la contribuente riteneva non dovuto il versamento dell’IVA.

2. 31 Security International S.r.l. ha impugnato l’avviso e la favorevole decisione n. 439/37/2005 della C.t.p. di Roma è stata confermata dalla sentenza n. 211 del 7 gennaio 2008 della C.t.r. del Lazio che ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate

Il giudice regionale ha rilevato che le dieci fatture contestate erano esistenti al momento della verifica, come si emergeva dallo stesso avviso impugnato che riportava l’indicazione per ciascuna di esse del relativo numero e del rispettivo importo, ma non erano state esibite dalla ricorrente agli organi ispettivi. Indi, ha qualificato tale condotta della società sottoposta a verifica non come rifiuto di esibizione ma quale riserva di produzione successiva nelle sedi opportune “non avendo avuto il tempo di rintracciarle”, così come era stato riportato nel processo verbale di constatazione. Infine, ha osservato che il combinato disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e D.P.R. n. 636 del 1972, art. 19 bis consentiva in via generale la produzione innanzi alle commissioni tributarie di documentazione non esibita dal contribuente in fase di accertamento, a condizione che non si fossero verificate decadenze, come nel caso concreto esaminato.

3. Per la cassazione della sentenza d’appello, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso affidato a due motivi e regolarmente notificato il 20-23 febbraio 2009. La contribuente non ha articolato difese.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, corredato da quesito di diritto, l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5. Lamenta che erroneamente il giudice d’appello ha posto a fondamento dell’annullamento dell’avviso di rettifica le fatture attestanti la esportazione delle merci al di fuori dei confini territoriali dell’U.E., non esibite all’atto della verifica, ma oggetto di riserva di presentazione in un momento successivo. Per effetto della preclusione prevista dal citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, la documentazione non prodotta in sede di verifica, secondo l’assunto della amministrazione finanziaria, deve ritenersi non utilizzabile in sede contenziosa in favore della contribuente.

2. Con il secondo motivo, corredato da momento di sintesi, l’Agenzia delle entrate denuncia vizio di motivazione consistente nella omessa esplicitazione delle ragioni e degli elementi per i quali la C.t.r. ha ritenuto che la contribuente avesse adempiuto l’onere di provare “la non volontarietà della sottrazione originaria della documentazione poi tardivamente prodotta” e la idoneità di tale fatture a comprovare l’esportazione extracomunitaria.

3. Il ricorso è fondato nei termini di seguito indicati.

Entrambe le censure toccano, sub specie di violazione di norma di diritto e correlato errore di giustificazione della decisione di merito sul fatto, la questione dell’utilizzabilità dei documenti (nella specie, le fatture relative alle cessioni verso paesi extracomunitari) non esibiti nel corso dell’accertamento e prodotti in fase contenziosa, nonchè della legittimità dell’emissione dell’avviso di rettifica IVA sulla base del presupposto della mancata esibizione di tali documenti.

3.1. Ai fini della valutazione dell’effetto preclusivo dell’omessa esibizione di documentazione da parte del contribuente, occorre rilevare che la dichiarazione di non possedere libri, registri, scritture e documenti, specificamente richiestigli dall’amministrazione finanziaria nel corso di un accesso, preclude, a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, la valutazione degli stessi in suo favore in sede amministrativa o contenziosa e rende legittimo l’accertamento induttivo, però a condizione che sia, da un lato, non veritiera e, dall’altro, cosciente e volontaria e, cioè, dolosamente diretta ad impedire l’ispezione documentale.

Mentre, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata e sistematica, il contribuente può sempre contrastare efficacemente i risultati dell’accertamento con la produzione in giudizio dei documenti che non era stato in grado di esibire in precedenza per cause a lui non imputabili, ovverosia per forza maggiore, fatto del terzo o caso fortuito (Cass. n. 24503 del 2015).

3.2. La condotta preclusiva, infatti, può essere manifestata dal contribuente in varie forme, attraverso l’opposizione di un rifiuto vero e proprio – che non può che manifestarsi in forma di diniego di esibizione doloso, diretta ad ostacolare l’attività di accertamento – o di comportamenti ad esso normativamente equiparati (“dichiarazione di non possedere”; “sottrazione” all’esame, ecc). In tali ultime ipotesi, per l’operatività dell’effetto preclusivo processuale, questa Corte si è più volte ribadito l’orientamento secondo cui il D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 52, comma 5, è norma di carattere eccezionale e deve essere interpretata alla luce degli artt. 24 e 53 Cost., in modo da non comprimere il diritto alla difesa e non obbligare il contribuente a pagamenti non dovuti (Cass. n. 8539 del 2014).

3.3. L’interpretazione costituzionalmente orientata della suindicata disposizione costituisce naturale applicazione del principio di diritto espresso dalle sezioni unite di questa Corte secondo cui “a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, perchè la dichiarazione, resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri, scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria), richiestigli in esibizione, determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, occorre: a) la sua non veridicità o, più in generale, il suo concretarsi – in quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento – in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e anche attraverso presunzioni; b) la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; c) il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento. Pertanto non integrano i presupposti applicativi della preclusione, le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se questa sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, ma anche se imputabile a colpa, quale ad esempio la negligenza e imperizia nella custodia e conservazione” (Cass. sez. un. n. 45 del 2000; conf. Cass. n.16536 e n.1344 del 2010, n. 14339 e n. 18921 del 2011, n. 415 del 2013, n. 8539 del 2014).

3.4. Alla luce dei condivisi superiori principi non può, dunque, essere riconosciuto un effetto preclusivo alla produzione processuale conseguente alla mera comunicazione del contribuente d’indisponibilità o di riserva di esibizione della documentazione richiesta in sede di verifica, senza verificare se tale condotta sia espressiva di dolo ovvero riconducibile a profili di colpa. Nel caso in esame il giudice di merito – pur superando la preclusione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 5, nella suindicata interpretazione costituzionalmente orientata – ha pretermesso qualsivoglia valutazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo doloso (rifiuto di esibizione delle fatture o atteggiamento ostruzionistico) nella riserva di esibizione formulata dalla contribuente in sede di verifica, ovvero se tale riserva sia realmente riconducibile, come dedotto in giudizio dalla intimata, ad una temporanea indisponibilità della documentazione richiesta (fatture comprovanti le cessioni verso paesi extracomunitari) derivante da negligenza nella tenuta dell’archivio dei documenti contabili (“…nè ha dichiarato di non possederle, tanto che, non avendo avuto il tempo di rintracciarle, ha fatto verbalizzare di riservarsi di produrle nelle sedi opportune”).

3.5. Nè il giudice di merito, quando esamina i fatti di prova, può limitarsi solo ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione d’iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio (Cass. n. 1236 del 2006).

3.6. S’impone, pertanto, in accoglimento del ricorso nei sensi sopra precisati, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla C.t.r. competente per nuova valutazione della condotta della contribuente alla luce dei principi giuridici e regolativi sopra enunciati. Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi indicati in motivazione, cassa in relazione la sentenza d’appello e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla C.t.r. del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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