Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16447 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 27/07/2011), n.16447

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO BRACH PREVER S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

GIUNIONE REGINA 1, presso lo studio dell’avvocato GROSSO ANDREA

CLEMENTE, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 193/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 13/02/2007 R.G.N. 1104/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato CORETTI ANTONIETTA per delega TRIOLO VINCENZO;

udito l’Avvocato GROSSO ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso per insinuazione tardiva nel fallimento srl Brach Prever, l’Inps, quale gestore del Fondo di garanzia di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2 – premesso di avere corrisposto il TFR ad alcuni lavoratori già dipendente della fallita società, insinuata al passivo – chiedeva di essere surrogato nel relativo credito ai sensi del citato art. 2, comma 7, con i privilegi di cui agli artt. 2751 bis e 2776 cod. civ., per un importo complessivo di rivalutazione monetaria ed interessi maturati fino al pagamento. Il Curatore non contestava il credito ed il relativo privilegio, opponendosi tuttavia al conteggio della rivalutazione per l’epoca successiva alla esecutività dello stato passivo, nonchè degli interessi per l’epoca posteriore alla liquidazione dell’attivo. La domanda avanzata dall’Istituto veniva accolta dal Tribunale di Torino, ma la statuizione veniva riformata dalla locale Corte d’appello che, con la sentenza impugnata, ammetteva l’Istituto al passivo fallimentare con il privilegio ex artt. 2751 bis e 2776 cod. civ. per la minor somma comprensiva del capitale, nonchè degli interessi maturati fino alla vendita e della rivalutazione monetaria maturata fino alla esecutività dello stato passivo, ai sensi della L. Fall., artt. 54, 55 e 59, quali risultanti a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale 204/89 e 162/2001. Riteneva la Corte adita che l’espresso richiamo fatto dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 7, agli artt. 2751 bis e 2776 cod. civ. in tema di privilegio, implicano anche il recepimento della connessa disciplina dell’estensione del privilegio agli accessori contenuta nell’art. 2749 cod. civ.. Tale era infatti la disciplina applicabile sul piano del diritto fallimentare, che interessava nella specie, fermo restando l’obbligo a carico dell’Istituto, di cui all’art. 429 cod. proc. civ., ossia di corrispondere al lavoratore interessato gli accessori maturati fino alla data del pagamento.

Avverso detta sentenza l’Inps ricorre con un motivo, illustrato da memoria.

Resiste il fallimento con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’Istituto lamenta violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2 e L. Fall., artt. 54, 55 e 59, per non avere la Corte territoriale riconosciuto il privilegio sulle somme erogate da esso Fondo di garanzia e in misura comprensiva di interessi e rivalutazione fino alla data del pagamento a favore del lavoratore. Sostiene l’Istituto che il Fondo, quando si surroga ai diritti dei lavoratori, non troverebbe alcuna limitazione in ordine all’ammontare degli accessori maturati sul TFR. La giurisprudenza avrebbe affermato che il Fondo, dovendosi sostituire al datore di lavoro inadempiente, deve pagare gli accessori maturati fino alla data dell’effettivo pagamento.

Inoltre consentire la discrasia tra le somme erogate dal Fondo e quelle dallo stesso recuperate in misura ridotta in sede di procedura concorsuale, finirebbe con il vanificare l’obiettivo pubblicistico di pareggio della gestione del Fondo medesimo, per cui al Fondo non potrebbero essere opposte le limitazioni di cui alla L. Fall., artt. 54, 55 e 59.

Il ricorso non è fondato.

1. Si precisa che la questione attiene il privilegio da applicare agli accessori sul TFR erogati dall’Inps ai lavoratori, e precisamente su una parte di detti accessori: l’Istituto infatti li ha pagati al lavoratore facendoli maturare fino alla data di pagamento della sorte ed in ugual misura pretende di surrogarsi al lavoratore nei beni del fallimento. La sentenza impugnata afferma invece che tale surroga non possa avvenire in misura integrale, ma dovrebbe essere determinata, secondo la disciplina che regola, nel fallimento, il privilegio su interessi e rivalutazione monetaria, e quindi comprendendo nel credito privilegiato solo gli interessi maturati fino alla vendita e la rivalutazione maturata fino alla esecutività dello stato passivo. E’ quindi in questione solo una parte degli accessori: ossia gli interessi maturati dalla vendita al pagamento e la rivalutazione maturata dalla esecutività dello stato passivo fino al pagamento.

La L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 7, sul fondo di garanzia prevede che il fondo sia surrogato di diritto al lavoratore nel privilegio spettante sul patrimonio dei datori di lavoro ex art. 2751 bis e 2776 cod. civ. per le somme da esso pagate.

Il fondo dunque succede nel medesimo credito privilegiato che avrebbe il lavoratore nei confronti del fallimento.

2. Va quindi esaminata la disciplina dettata dalla legge fallimentare in tema di estensione del privilegio su interessi e rivalutazione.

2.1. Interessi. Per gli interessi la L. Fall., art. 54, u.c. ad art. 2788 c.c. (prelazione per il credito degli interessi), il quale prevede la prelazione anche sugli “interessi dell’anno in corso alla data del pignoramento, oppure alla data della notifica del precetto”.

Soggiunge la predetta norma che “La prelazione opera anche per gli interessi maturati successivamente al pignoramento, ma solo nella misura legale, e fino alla vendita. “La Corte Costituzionale ha affermato che, anche in relazione al fallimento, per quanto riguarda gli interessi, vale la regola di cui all’art. 2749 c.c., in quanto disposizione di portata generale sui privilegi il quale prevede “Il privilegio si estende anche agli interessi dovuti per l’anno in corso alla data del pignoramento e per quelli dell’anno precedente. Gli interessi successivamente maturati hanno privilegio nei limiti della misura legale fino alla data della vendita.” Infatti, con la sentenza n. 162 del 2001 la Corte ha affermato che “E’ costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 3 Cost., il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 54, comma 3, nella parte in cui non richiama, ai fini dell’estensione del diritto di prelazione agli interessi, l’art. 2749 c.c.. Tale norma, infatti, senza alcuna ragione giustificatrice, esclude che gli interessi su crediti privilegiati possano essere ammessi al passivo fallimentare in via principale, discriminando così i creditori privilegiati che agiscono in sede concorsuale da quelli che agiscono in sede esecutiva ordinaria.” 2.2. Rivalutazione monetaria: Ha affermato la Corte con la sentenza n. 0204 del 1989 che: “Il principio costituzionale di eguaglianza tollera disparità di trattamento se giustificate dall’attuazione di un valore costituzionale; pertanto, la regola della “par condicio creditorum”, alla quale è ispirato il procedimento fallimentare, anche a ravvisarne il fondamento nel suddetto principio di eguaglianza, non può precludere, per i crediti da lavoro, la rivalutazione per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento, esclusa, per la generalità dei crediti, dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 59, in quanto la rivalutazione costituisce strumento destinato ad assicurare l’effettività della garanzia apprestata dall’art. 36 Cost., mentre la sua esclusione determina ingiustificata disparità di trattamento tra portatori di crediti da lavoro nel fallimento e portatori di detti crediti fatti valere in altri procedimenti. La rivalutazione dei crediti da lavoro nel fallimento non può tuttavia aver luogo senza limiti, ma soltanto fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo, onde non sacrificare ingiustificatamente l’interesse degli altri creditori e non urtare contro le esigenze proprie del procedimento fallimentare.

“Ha concluso la Corte che “E’ pertanto costituzionalmente illegittimo il R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 59, anche in relazione all’art. 429 c.p.c., nella parte in cui non prevede la rivalutazione dei crediti da lavoro con riguardo al periodo successivo all’apertura del fallimento fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo”.

3. Ne consegue che, ove si trattasse di credito fatto valere direttamente dal lavoratore nei confronti del fallimento, il privilegio sarebbe sottoposto, dopo i citati interventi della Corte Costituzionale, alle regole di cui sopra: il privilegio coprirebbe gli interessi maturati fino alla vendita (ai sensi della norma generale di cui all’art. 2749 cod. civ.), nonchè la rivalutazione maturata fino al momento in cui lo stato passivo diventa definitivo.

Ed è ciò che la sentenza impugnata ha riconosciuto anche all’Inps, così rispettando la regola di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 7, per cui “Il fondo è surrogato di diritto al lavoratore nel privilegio spettante sul patrimonio dei datori di lavoro, ai sensi degli artt. 2751 bis e 2776 cod. civ. per le somme da esso pagate”.

La sentenza cioè ha ammesso l’Istituto nella stessa posizione che avrebbe assunto, nella procedura fallimentare, il lavoratore richiedente il pagamento del TFR. Sembra allora che l’Inps di nulla possa avere a dolersi, perchè, nell’ambito della procedura fallimentare, nessun creditore si colloca in via privilegiata per gli interessi maturati dopo la vendita e per la rivalutazione maturata dopo il momento in cui lo stato passivo diventa definitivo.

4. Inoltre, se è vero che l’Istituto ha pagato una somma maggiore, rispetto a quella che ha collocazione privilegiata, perchè è comprensiva del maggiore importo per interessi e rivalutazione maturati in data successiva e cioè fino alla data del pagamento, ciò deriva dalla configurazione stessa degli obblighi del fondo di cui alla L. n. 297 sdel 1982.

Infatti, com’è stato ritenuto dalla giurisprudenza (tra le tante Cass. n. 27917 del 19/12/2005), il diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del T.F.R. a carico dello speciale fondo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale), diritto che si perfeziona (non con la cessazione del rapporto di lavoro ma) al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva).

4.2. Il Fondo di garanzia costituisce attuazione di una forma di assicurazione sociale obbligatoria (con relativa obbligazione contributiva posta ad esclusivo carico del datore di lavoro), con la sola particolarità che l’interesse del lavoratore alla tutela è conseguito mediante l’assunzione da parte dell’ente previdenziale, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, di un’obbligazione pecuniaria il cui quantum è determinato con riferimento al credito di lavoro nel suo ammontare complessivo.

4.3. Il diritto alla prestazione del Fondo nasce, quindi, non in forza del rapporto di lavoro, ma del distinto rapporto assicurativo – previdenziale, in presenza dei presupposti previsti dalla legge:

insolvenza del datore di lavoro e accertamento del credito nell’ambito della procedura concorsuale, secondo le regole specifiche di queste; formazione di un titolo giudiziale ed esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata.

4.3. Sviluppo coerente è rappresentato dalla risoluzione data al problema del regime giuridico del debito dell’Inps, quale gestore del Fondo, ai fini del cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, secondo il principio di diritto enunciato dal Cass. sez. un. 3 ottobre 2002 n. 14220, per cui “Il credito del lavoratore per il trattamento di fine rapporto e per gli emolumenti relativi agli ultimi tre mesi del rapporto non muta la propria natura retributiva quando, in forza della L. 29 maggio 1982, n. 297 e del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, sia fatto valere nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall’Inps per l’insolvenza o l’inadempimento del datore di lavoro. Peraltro la L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 2, prescrive espressamente il che lavoratore può domandare al fondo di garanzia il TFR ed “i relativi crediti accessori”.

4.4. Il maggiore importo erogato dall’Istituto, che non si colloca in via privilegiata nella procedura concorsuale, si giustifica considerando che, se il diritto comunitario ha imposto agli Stati membri di introdurre istituti idonei a “garantire” (in senso ampio e non tecnico) l’adempimento di crediti retributivi, non poteva che restare esclusa qualsiasi interpretazione che, attribuendo al credito verso l’organo di garanzia una natura diversa, finisse per ridurne in qualche modo l’importo rispetto a quello dovuto dal datore di lavoro, e quindi l’Inps deve pagare rivalutazione e interessi sul TFR secondo la regola di cui all’art. 429 cod. proc. civ. e cioè fino alla data del pagamento. Questa considerazioni sono state già svolte nella motivazione della sentenza richiamata di questa Corte n. 5043 del 1995, e cioè che “a nulla rileva che, in sede di insinuazione del Fondo al passivo del fallimento del datore di lavoro per far valere in surrogazione il credito del lavoratore, tale credito possa subire in concreto una riduzione rispetto alla somma effettivamente erogata, perchè ciò è diretta conseguenza dell’applicazione della L. Fall., artt. 54, 55 e 59 (R.D. 16 marzo 1942 n. 267). In proposito è appena il caso di precisare che anche il lavoratore – il quale, invece di rivolgersi al Fondo, decidesse di insinuare il suo credito al passivo del fallimento del datore di lavoro – potrebbe subire una riduzione del suddetto complessivo credito, dato che gli interessi legali gli potrebbero essere riconosciuti solo fino alla vendita dell’ultimo bene e dato che la rivalutazione monetaria potrebbe essere calcolata solo fino al momento in cui lo stato passivo diventa definitivo (v. i suddetti artt. 54, 55 e 59 della legge fallimentare, risultanti dalla dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 204 del 20 aprile 1989 della Corte costituzionale). Non per questo, tuttavia, si potrebbe affermare che per la parte non ammessa nello stato passivo il diritto non potrebbe più essere fotto valere, dal momento che tale diritto permarrebbe nei confronti del datore di lavoro e ben potrebbe essere azionato al tempo in cui quest’ultimo sarà tornato in bonis”.

4.5. Vi è poi da considerare ai fini dell’esigenza del pareggio della gestione del fondo di garanzia, richiamata dall’Istituto, che la L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 8, facoltizza la modifica, in aumento o in diminuzione dell’aliquota contributiva destinata all’alimentazione del fondo medesimo, attraverso un decreto del Ministro del tesoro, sentito il consiglio di amministrazione dell’Inps sulla base del bilancio consuntivo del fondo stesso.

Conclusivamente il ricorso va rigettato. La complessità e novità delle questioni giustifica la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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