Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16446 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. I, 13/07/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 13/07/2010), n.16446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A.M., domiciliata in Roma, Via delle Quattro

Fontane 15, presso l’avv. G. Contestabile, rappresentata e difesa

dall’avv. CARTEI R., come da mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che per legge lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 276/2008 cron., della Corte d’appello di

Genova, depositato il 25 febbraio 2008;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Aniello Nappi

udito il difensore della ricorRente, avv. Cortei, che ha concluso per

L’accoglimento del ricorso.

Udite le conclusioni del P.M., Dr. GOLIA Aurelio, che ha chiesto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Genova ha rigettato la domanda proposta da B.A.M., che aveva chiesto l’equa riparazione per la durata irragionevole di un processo penale per lesioni colpose nel quale ella si era costituita parte civile il 7 ottobre 2003 ed era stato definito in primo grado con sentenza dell’11 febbraio 2005 e in secondo grado con sentenza del 10 maggio 2007, peraltro di annullamento della decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione e lamenta di non essere riuscita a ottenere giustizia in un tempo tale da impedire la prescrizione del reato, posto che il procedimento si è protratto per nove anni e quattro mesi senza approdare ad alcuna decisione nel merito. Propone più specificamente quattro motivi d’impugnazione, illustrati anche da una memoria, cui resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta che i giudici del merito abbiano ingiustificatamente escluso le indagini preliminari dal computo della durata del procedimento.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta che i giudici del merito abbiano ritenuto di dover applicare per la valutazione di ragionevolezza di parametri di durata dei giudizi civili.

Con il terzo motivo la a ricorrente lamenta che sia stata ingiustificatamente esclusa dal computo della durata del procedimento la fase precedente la sua costituzione a parte civile, benchè il procedimento fosse stato promosso con sua querela.

Con il quarto motivo la ricorrente sostiene, in via subordinata, che deve sempre escludersi la ragionevolezza della durata di un processo penale per il quale il maturare della prescrizione impedisce di pervenire a una decisione di merito.

2. Il ricorso è infondato.

Non v’è dubbio che la L. n. 89 del 2001, rinvii alla C.E.D.U. per l’individuazione dei soggetti legittimati alla domanda di equa riparazione. Dispone infatti che la legittimazione spetta a chi abbia subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione; della Convenzione “sotto il profilo del mancalo rispetto de termine ragionevole di cui all’art. 6, par. 1”.

E’ all’art. 6, par. 1, della Convenzione che occorre dunque fare riferimento; in particolare alla definizione del diritto alla durata ragionevole come legittima pretesa di qualsiasi persona che attenda da un tribunale la decisione “sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta”.

E in realtà questa definizione del soggetto legittimato a chiedere l’equa riparazione corrisponde alla definizione che dottrina e giurisprudenza danno dei soggetti qualificabili come parti di un procedimento penale.

Viene definito parte, infatti, il soggetto titolare di un diritto di azione da cui derivi per il giudice un dovere di decidere nel merito delle sue domande. E quindi, si esclude che rivesta la qualità di parte un soggetto come la persona offesa (Cass., sez., un. pen., 16 dicembre 1998, Messina, m. 212077, Cass., sez. 6^, 13 febbraio 2009, Barogi, m. 243836), che pure può svolgere un’attività particolarmente incisiva nella fase procedimentale, in particolare nel procedimento di archiviazione, facendo sorgere per il giudice o anche per il Pubblico Ministero il dovere di pronunciarsi su talune sue richieste, anche se non sul merito dell’accusa. E’ ad esempio la natura procedimentale, e non di merito, della decisione di archiviazione a escludere che con un tale provvedimento si applichino sanzioni (C. Cost., 15 luglio 1993, n. 319); e a precludere di conseguenza il riconoscimento della qualità di parte alla persona offesa, che pure, come s’è detto, può intervenirvi con un ruolo attivo.

E’ condivisibile pertanto la giurisprudenza civile di questa corte, che esclude la legittimazione alla domanda di equa riparazione per la persona offesa non costituitasi parte civile; nel procedimento penale protrattosi oltre i limiti della durata ragionevole (Cass., sez. 1^, 23 gennaio 2003, n. 996, m. 560444, Cass., sez. 1^, 20 gennaio 2006, n. 1184, m. 588638, Cass., sez. 1^, 27 febbraio 2007, n. 1476, m.

595278).

Nel caso in esame, dunque, può essere considerata elusivamente la fase processuale successiva alla costituzione in giudizio di B.A.M.; e di conseguenza la ricorrente non può lamentare una durata irragionevole del processo.

Infatti, secondo i parametri elaborati dalla Corte EDU, deve considerarsi ragionevole una durata di tre anni per il giudizio di primo grado e di due per il giudizio d’appello. Me la ragionevolezza della durata del processo può essere commisurata al suo esito, come propone la ricorrente.

La complessiva durata di quattro anni e sei mesi dei due gradi del giudizio di merito esclude pertanto che nel caso fa ricorrente possa dolersi di una durata eccessiva dei giudizio, te spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore dell’amministrazione resistente, liquidando in Euro 600,00 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

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