Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16445 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2011, (ud. 16/06/2011, dep. 27/07/2011), n.16445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.V., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II N. 18, presso lo studio dell’avvocato GIAN MARCO GREZ,

rappresentato e difeso dall’avvocato GUFONI CARLO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati SGROI ANTONINO,

CALIULO LUIGI, CORRERA’ FABRIZIO, giusta delega in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

sul ricorso 24227-2007 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati SGROI ANTONINO,

CALIULO LUIGI, CORRERA FABRIZIO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.V., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO

EMANUELE II N. 18, presso lo studio dell’avvocato GIAN MARCO GREZ,

rappresentato e difeso dall’avvocato GUFONI CARLO, giusta delega in

atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 114 7/2 006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 22/09/2006 r.g.n. 1571/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/06/2011 dal Consigliere Dott. MAURA LA TERZA;

udito l’Avvocato GUFONI CARLO;

Udito l’Avvocato CALIULO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Livorno dichiarava il diritto del ricorrente B. V., socio lavoratore della Compagnia Portuale di Livorno, al conseguimento del pensionamento anticipato dal 31 marzo 1997 e condannava l’inps al risarcimento del danno pari ad Euro 144.518,40, derivante dal colpevole ritardo con cui aveva proceduto alla costituzione della rendita vitalizia di cui alla L. n. 1338 del 1962, art. 13, peri periodi dal 1.7.71 al 30.6.72 nonchè tra il 20.11.1969 ed il 15.12.1969. La Corte d’appello di Firenze, davanti alla quale l’inps aveva proposto impugnazione, riformava parzialmente la statuizione condannando l’Istituto al pagamento della minor somma di Euro 55.867. La Corte territoriale – premesso essere incontestato che, ove fossero state tempestivamente accolte le due domande di costituzione di rendita vitalizia, con l’accredito delle 39 settimane per il primo periodo e delle 4 settimane per il secondo, il B., alla data del 31.3.1997 avrebbe potuto far valere il requisito contributivo di 1407 settimane, ed avrebbe quindi avuto diritto al pensionamento anticipato, per il quale erano sufficienti 1404 settimane, e che il mancato tempestivo accoglimento della domanda aveva fatto venir meno l’esigenza, in capo al B., di pagare tempestivamente le somme stabilite dall’Inps – disattendeva la tesi dell’Istituto sulla inesistenza del danno perchè il B. aveva continuato a lavorare percependo una retribuzione superiore alle pensione, sul rilievo che la diversità del titolo non consentiva una automatica compensazione tra le due poste economìche. Quanto al ritardo dell’Inps, i Giudici d’appello rilevavano che la domanda relativa al primo periodo era stata proposta il 3.2.1995 e respinta il 20.10.1995, a seguito di ricorso del B. che fu accolto solo il 6.11.98 e quindi tardivamente rispetto ai termini di legge. La domanda relativa al secondo periodo era stata proposta il 28.6.96 ed accolta il 7.4.97 e quindi oltre i 180 giorni ed oltre i 7 giorni dalla scadenza del termine utile per il pensionamento anticipato. Di fronte all’evidenza del ritardo, l’Istituto non aveva addotto alcun elemento idoneo ad escludere o ad attenuare la sua responsabilità.

Quanto all’ammontare del danno, la Corte territoriale giudicava eccessiva la liquidazione fatta dal CTU, in quanto comprensiva di tutta la pensione ed anche dell’una tantum, perchè la retribuzione percepita, alternativa alla pensione, non aveva precluso l’ulteriore fonte di guadagno, così comportando una oggettiva limitazione del danno, anche perchè il B. non aveva provato gli effettivi o potenziali vantaggi economici persi a causa del mancato pensionamento, nè risultava essersi attivato per sollecitare la definizione delle pratiche, informando l’Istituto del danno da ritardo. La Corte territoriale limitava quindi l’ammontare del danno nella misura di 1/3 rispetto a quanto liquidato in primo grado.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso sia il pensionato con tre motivi, sta ìInps con quattro motivi.

Il B. ha depositato controricorso al ricorso dell’Inps.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

Si esamina per primo il ricorso del’Inps in quanto con esso si contesta in radice il diritto al risarcimento e risulta quindi preliminare dal punto di vista logico.

1. L’Inps censura la sentenza per violazione degli artt. 1175, 1176 e 1218 cod. civ. nonchè della L. n. 1338 del 1962, art. 13 del D.L. n. 873 del 1986, art. 9, convertito in L. n. 26 del 1987, del D.L. n. 6 del 1990, art. 3 convertito in L. n. 58 del 1990, del D.L. n. 535 del 1996, art. 1 convertito in L. n. 647 del 1996.

Si lamenta in primo luogo essere stato essere stato trascurato il fatto che il B. non aveva pagato la riserva matematica relativa alla seconda domanda ossia quella concernente le quattro settimane per il periodo 20.11.69 – 15.12.69.

La censura è infondata.

Il B., invero, aveva proposto domanda di costituzione della rendita vitalizia al fine di conseguire l’anzianità assicurativa e contributiva prescritta per poter fruire del prepensionamento. La richiesta relativa al suddetto secondo periodo era stata proposta il 28.6.96, ma era stata accolta solo il 7.4.97, quindi oltre il termine di 180 giorni previsto dalla legge, ma soprattutto dopo sette giorni dalla scadenza del termine previsto, fissato al 31.3.1997, per avanzare la domanda di prepensionamento.

Ne consegue che il B. medesimo, aveva ormai perso la possibilità di conseguire detto beneficio, e ciò a causa del ritardo dell’Istituto nell’accoglimento della domanda. Non ha quindi rilevanza, per escludere il pregiudizio, il fatto che il medesimo non abbia poi proceduto a versare la riserva matematica prescritta, perchè, anche se lo avesse fatto, non avrebbe comunque ottenuto il prepensionamento.

2. Parimenti infondata è la seconda argomentazione dell’Istituto, per cui la prima domanda di costituzione di rendita vitalizia (periodo 1.7.71/30.6.72) era stata respinta dall’Istituto il 20 ottobre 1995, quando ancora non era in vigore il D.L. di proroga delle domande di prepensionamento n. 535/96 convertito in L. n. 647 del 1996, giacchè questo fu emanato il 21 ottobre 1996. Infatti il ritardo riguardava non già la domanda di prepensionamento, ma quella concernente la costituzione della rendita vitalizia, su cui l’Istituto doveva provvedere tempestivamente, mentre era del tutto irrilevante che poi fosse stato prorogato il termine per proporre domanda di prepensionamento. Non vi è dubbio infatti che l’Istituto, per ciascuna domanda proposta dai suoi iscritti, debba osservare lo spatium deliberandi fissato dalla legge e nella specie il ritardo è incontestabile: domanda del 3.2.95, rigetto del 20.10.95 ed accoglimento del ricorso in via amministrativa il 6.11.98.

3. Passando alle due successive censure aventi lo stesso contenuto, si osserva essere vero – come l’Istituto sottolinea – che il B., avendo proposto, avverso detto provvedimento di rigetto del 20.10.1995, il ricorso amministrativo in data 14 novembre 1995, dopo i successivi 90 giorni, quando si era ormai formato il silenzio rigetto, ossia il 14 febbraio 1996, avrebbe potuto iniziare l’azione giudiziaria; tuttavia non gli si può addebitare il mancato proponimento del giudizio giacchè è principio consolidato (fra le tante Cass. n. 5035 del 07/05/1991, n. 19139 del 29/09/2005 e n. 14853/2007) quello per cui “Il dovere di correttezza imposto dall’art. 1227 cod. civ. al danneggiato presuppone una attività dalla quale certamente il danno sarebbe stato evitato o ridotto, ma non implica l’obbligo di iniziare una azione giudiziaria o un’azione esecutiva, in quanto il creditore non è tenuto ad una attività gravosa o implicante rischi o spese, nè a provvedere ad esecuzione forzata, anche se ciò rientra nelle sue facoltà.” 4. Resta da esaminare l’ultimo motivo di doglianza sulla misura della liquidazione del danno, avendo l’Inps censurato la sentenza in relazione alla sua determinazione in via equitativa.

Questo motivo è assorbito dall’accoglimento del ricorso del B. e dalla cassazione sul punto della sentenza impugnata.

5. Con il primo motivo di ricorso il B. censura la sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc, civ. per avere ridotto il montante risarcitorio riconosciuto in primo grado senza che nell’appello dell’Inps fossero svolte censure sul quantum debeatur.

Il motivo è fondato.

Va preliminarmente operata la distinzione tra due diverse questioni:

quella del passaggio in giudicato della statuizione sul quantum debeatur nel caso in cui l’impugnazione sia circoscritta all’an debeatur, e quella dell’effetto devolutivo dell’appello sull’an rispetto al quantum. Va ritenuto che l’appello della sentenza proposto sull’an debeatur certamente precluda la formazione del giudicato sul quantum, perchè in caso di accoglimento dell’impugnazione, e quindi in caso di riforma della statuizione di riconoscimento del diritto al risarcimento, resta ovviamente caducata anche la parte della sentenza con cui si è provveduto alla liquidazione. Si è infatti affermato (Cass. n. 19870 del 15/09/2009) che “L’impugnazione della sentenza di condanna al pagamento del corrispettivo di prestazioni contrattuali (nella specie, rese da un appaltatore) per ragioni attinenti l'”an debeatur” impedisce il formarsi del giudicato anche in merito al “quantum”, ed all’ammontare delle singole voci che lo compongono”. In detta sentenza si è osservato che va ribadito ” il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale il giudicato interno, per mancata impugnazione delle parti, si forma solo su quei capi autonomi della sentenza, che risolvano una questione avente una propria individualità, così da integrare una decisione del tutto indipendente (v., tra le tante, Cass. n. 2973/06, 3806/04, 19679/03, 734/02, 2541/99), sicchè i relativi effetti preclusivi restano circoscritti solo alla questione oggetto del capo di decisione ed a quelle che ne costituiscono i necessari antecedenti logico – giuridici,¯ deve escludersi che, nell’ipotesi in cui una delle parti abbia investito globalmente con l’impugnazione la debenza di una particolare prestazione, e non anche e specificamente l’ammontare delle voci componenti la stessa, su quest’ultimo punto si verifichi la formazione del giudicato, considerato che la radicale negazione in ordine all’an debeatur della relativa pretesa la rimette in discussione nella sua interezza e, dunque, anche nelle singole parti componenti”.

6. Esclusa dunque la possibilità di formazione del giudicato, resta però da decidere se l’appello limitato all’an autorizzi il giudice dell’impugnazione a modificare il quantum già liquidato con la sentenza di primo grado.

Al quesito occorre dare risposta negativa, e non già per la formazione del giudicato sul punto, che va appunto esclusa, ma perchè è la specificazione dei motivi che delimita l’effetto devolutivo dell’appello. In assenza di motivi di censura, non si vede come il giudice d’appello possa modificare la statuizione di primo grado: in tali casi il giudice “non ha materia” per intervenire, perchè può riformare la sentenza solo ove dall’appellante siano segnalati errori, e solo in quell’ambito può procedere alla correzione. Diversamente opinando, in caso di impugnazione solo sull’an, la riforma della sentenza sul quantum non potrebbe che ascriversi ad una iniziativa autonoma del giudice, il cui intervento va invece ovviamente circoscritto ai motivi di impugnazione. La tesi trova riscontro nella giurisprudenza di questa Corte con cui si è affermato (Cass. n. 12176 del 19/08/2003 e n. n. 4701 del 25/02/2011) che ” Qualora la sentenza di primo grado, recante condanna al risarcimento dei danni sia appellata limitatamente all’affermazione di responsabilità, il giudice di secondo grado non ha il potere di riesaminare anche la quantificazione del danno, stante l’autonomia della pronuncia sull’an debeatur” rispetto a quella relativa al quantum “debeatur”.

7. Il primo motivo del ricorso del B. va quindi accolto, con assorbimento degli altri due.

La sentenza impugnata va quindi cassata senza rinvio ai sensi dell’art. 382 cod. proc. civ., u.c., perchè il giudizio sul quantum non poteva essere proseguito in appello in mancanza di motivi di impugnazione.

Le spese del giudizio d’appello e di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso dell’Inps ed accoglie quello di B.V., cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. Condanna l’Inps al pagamento delle spese del giudizio d’appello liquidate in complessivi Euro seimila di cui tremilaottocento per onorari e in duemila Euro per diritti e, per il presente giudizio, in Euro 45,00 per esborsi ed in Euro quattromila per onorari, oltre, per entrambe le liquidazioni, spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 16 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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