Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16445 del 01/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 16445 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 6857-2011 proposto da:
ATAC S.P.A. 06341981006, quale incorporante di TRAMBUS
S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI
SCIPIONI 281/283, presso lo studio dell’avvocato PROIA
GIAMPIERO, che la rappresenta e difende unitamente
2013

all’avvocato PETRASSI MAURO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1187
contro

BRUZICHES PAOLA, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FARANDA

Data pubblicazione: 01/07/2013

RICCARDO,

(STUDIO LEGALE ASSOCIATO FARANDA CRUPI

DELL’ALPI), che la rappresenta e difende, giusta
delega in atti;
– controricorrente –

avverso tlq..

n. 9333/2009 della CORTE

6261/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/04/2013 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato PETRASSI MAURO;
udito l’Avvocato FARANDA RICCARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/03/2010 R.G.N.

,-;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 26 novembre 2009, la Corte di Appello di
Roma respingeva il gravame proposto dalla Trambus s.p.a.
ricorso proposto da Bruziches Paola inteso ad ottenere la
conversione del contratto di formazione e lavoro in rapporto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza
dal marzo 2000 e la condanna della predetta società al
pagamento dell’indennità denominata ERS (elemento di riordino
del sistema retributivo), mentre aveva respinto la domanda
riconvenzionale proposta dalla soc. Trambus per
l’accertamento dell’obbligo della lavoratrice di osservare un
orario di lavoro di 39 ore settimanali in luogo delle 37 ore
settimanali da lei osservate nel tempo successivo alla
assunzione con contratto a tempo indeterminato e la condanna
della stessa a restituire all’azienda quanto indebitamente
percepito a titolo di lavoro straordinario in applicazione di
un accordo aziendale affetto da nullità per contrasto con
norma imperativa.
La lavoratrice aveva dedotto di avere già svolto attività
di conducente di linea presso l’ATAC durante un periodo di
lavoro temporaneo ex l. n. 196/98; di non avere ricevuto
alcuna formazione teorica e/o tecnico-pratica durante il
periodo del contratto di formazione e lavoro; di essere stata
inserita sin dall’assunzione nel normale ciclo produttivo
aziendale. Aveva quindi dedotto l’illegittimità e/o la
nullità del C.F.L. sia per difetto genetico che per difetto
funzionale della causa del contratto, atteso che tale tipo
negoziale era stato utilizzato per l’assunzione di lavoratore
già in possesso della professionalità che tramite esso

R.G. n. 6857/2011
Udienza 4 aprile 2013
Atac c/ Bruziches

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avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto il

avrebbe dovuto conseguire, sia per l’assoluta mancanza di
attività formativa. Aveva quindi rivendicato il diritto
all’inquadramento nel 6^ livello del CCNL e al trattamento
anche economico previsto dagli accordi nazionali
del 11.7.00, relativo all’emolumento mensile denominato
E.R.S. (emolumento di riordino del sistema retributivo).
La Corte di appello, nel respingere il gravame proposto
dalla Trambus s.p.a., osservava: che la società non aveva
provato e nemmeno allegato di avere adempiuto gli obblighi
formativi previsti dal c.f.1., sia quelli relativi alle 102
ore di insegnamento teorico, sia quelli relativi alle 78 ore
di formazione teorico-addestrativa in vettura, sia quella dei
“ritorni in aula” per l’approfondimento del programma; che,
quanto all’E.R.S., il tenore della norma non deponeva per
l’interpretazione sostenuta dalla società di limitare
l’attribuzione dell’emolumento al solo personale dipendente a
tempo indeterminato alla stipula dell’accordo dell’11.7.2000
con esclusione di quello che tale fosse divenuto per effetto
della conversione del rapporto in via giudiziale e con
effetto ex tunc ex art. 3, comma 9, d.l. n. 762/84; che a
diverse conclusioni non poteva pervenirsi in base alla
“clausola di interpretazione autentica” del 24.3.05, alla
quale doveva attribuirsi significato novativo, esprimendo
l’intenzione dei contraenti che nessuna assunzione successiva
al 2 marzo 2000 poteva prevedere il riconoscimento
dell’elemento mensile ERS; che inoltre, al di fuori dello
speciale settore del lavoro pubblico, è estranea
all’ordinamento positivo la facoltà di interpretazione
autentica dei contratti collettivi di lavoro ad opera delle
parti sociali, essendo tale facoltà riservata, con effetti
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dell’11.4.1995 e del 25.7.1997, nonché dall’accordo aziendale

retroattivi, soltanto al legislatore in riferimento a leggi o
ad atti ad esse equiparati; che, quanto alla domanda
riconvenzionale proposta da Trambus s.p.a. per la
restituzione delle somme erogate quale straordinario oltre le
nulla dalla Corte di Cassazione in precedente pronunzia
(Cass. n. 12661/2004) poiché adottata in deroga alla
contrattazione nazionale che prevedeva un orario settimanale
di 39 ore, la suddetta pronuncia di nullità era stata emessa
per contrasto con l’art. 5 ter d.l. n. 702 del 1978,
convertito in legge n. 1 del 1979, del quale non era stata
dedotta la persistente vigenza e che espressamente limitava
il suo ambito temporale di operatività fino all’entrata in
vigore della legge di riforma della municipalizzazione, la
quale era avvenuta con la legge 8 giugno 1990 n. 142, poi
perfezionata da leggi successive e dal testo unico di cui al
d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, artt. 112 e 113; che, in ogni
caso erano maggiormente condivisibili altre sentenze di
legittimità (Cass. n. 10710/2002 e n. 4953/02), che avevano
escluso l’illegittimità degli accordi aziendali del 23 giugno
1983 e del 28 luglio 1988 nella parte in cui prevedevano la
riduzione a 37 ore della durata della prestazione lavorativa
settimanale.
Per la cassazione di tale decisione ricorre ATAC s.p.a.,
quale incorporante di Trambus s.p.a., affidando
l’impugnazione a tre motivi, illustrati con successiva
memoria ex art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso Bruziches Paola, che ha
parimenti depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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Atac c/ Bruziches

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37 ore settimanali sulla base di una norma aziendale ritenuta

Con il primo motivo, l’ATAC s.p.a. denunzia violazione e
falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., in relazione al
D.L. n. 726 del 1984, art. 3, convertito in L. n. 863 del
1984, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che la
costituzione di rapporti di lavoro subordinato per i giovani
e tale finalità è prevalente su quella meramente formativa;
nella specie l’attuale resistente era stata assunta a tempo
indeterminato allo scadere del contratto di formazione e
lavoro e ciò costituiva la dimostrazione che il contratto
aveva raggiunto lo scopo cui era preordinato. Inoltre, un
qualsiasi discostamento, anche lieve, dal programma di
formazione non può essere idoneo a determinarne la
conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
qualora si accerti che il contratto ha raggiunto la finalità
di consentire al giovane un ingresso guidato nel mondo del
lavoro. Significato interpretativo può trarsi dal d.lgs. n.
276 del 2003 che nel prevedere una nuova tipologia
contrattuale – il contratto di inserimento (art. 54 e segg.)
in sostituzione del c.f.l. – prescinde completamente dalla
previsione di un progetto formativo.
Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta
violazione e falsa applicazione dell’art. 1321 cod. civ.,
art. 1362 cod. civ. e segg., in relazione all’accordo
collettivo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di accordo
24 marzo 2005, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.
Assume che con il c.c.n.l. 11 aprile 1995 fu stabilito un
salario di ingresso per i neo assunti con c.f.1., il cui
trattamento, durante il contratto stesso e per i quindici
mesi successivi alla trasformazione, prevedeva l’esclusione
di tutti gli istituti retributivi previsti dalla
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funzione precipua del c.f.l. è quella di favorire la

-t

contrattazione aziendale, il successivo accordo nazionale del
2 marzo 2000 aveva fatto riferimento alla necessità di
procedere alla riclassificazione degli istituti salariali
aziendali e di definire a livello aziendale la quota da
dall’ATAC con l’accordo aziendale dell’il luglio 2000 che,
nel definire le nuove voci, stabilì la soppressione di ogni
altra indennità, premio o maggiorazione in precedenza
prevista a livello aziendale; al contempo, al fine di
compensare della soppressione di tali voci chi di fatto già
ne godeva, mantenendo un “differenziale” sul trattamento
economico dei più anziani rispetto a quello dei più giovani,
l’art. 2 di tale accordo del luglio 2000 previde che fosse
istituito, a decorrere dal mese di agosto 2000, “per il solo
personale in forza a tempo indeterminato alla data di stipula
del presente accordo, un emolumento mensile consolidato
denominato Elemento di Riordino del Sistema retributivo
(ERS)”. Sostiene la ricorrente che la

ratio e la finalità

dell’accordo dell’il luglio 2000 erano quelle di limitare il
diritto all’ERS ai soli dipendenti formalmente assunti a
tempo indeterminato, escludendo proprio i lavoratori in quel
momento assunti con contratti di lavoro flessibile. Il
verbale sindacale del 24 marzo 2005 si limitò a confermare
tale interpretazione, senza alcuna portata novativa; la
possibilità delle parti sociali di fornire una
interpretazione autentica della propria volontà contrattuale
è riconducibile al negozio di accertamento, dovendosi pure
considerare che in tema di interpretazione di contratti
collettivi il comportamento posteriore delle parti,
valutabile ex art. 1362 secondo comma cod. civ., può essere
costituito da un successivo accordo, il quale – nella parte

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riservare ai neo assunti. Tale disposizioni vennero attuate

-t

non direttamente dispositiva – presupponga una determinata
interpretazione di una complessa ed organica disciplina di
istituti contrattuali articolata nel tempo e nel corso di più

Con il terzo motivo, la società si duole della violazione
e falsa applicazione del c.c.n.l. 23.7.1976, stipulato tra
Federtrasporti, ANAC FENIT e le 00.SS. FILT CGIL, FIT-CISL e
UIL Trasporti e dell’accordo collettivo nazionale del 12
luglio 1985 stipulato tra FILT CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti
e Federtrasporti, l’ANAC, la FENIT e l’INTERSIND, nonché
della violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. 25 luglio
1997 stipulato tra ANAC, la FENIT, e le 00.SS. FILT-CGIL,
FIT-CISL e UIL Trasporti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.
3), assumendo il vizio della sentenza in relazione al rigetto
della domanda riconvenzionale della società. Rileva che
l’orario di 39 ore settimanali stabilito dalla contrattazione
collettiva nazionale era stato ridotto a 37 ore in virtù di
previsione di contrattazione aziendale (accordo 16 giugno
1983), pacificamente applicato anche all’attuale resistente,
ma tale accordo era stato ritenuto nullo dalla Corte di
Cassazione con sentenza n. 12661 dell’8 luglio 2004. La
lavoratrice aveva così indebitamente percepito
successivamente alla assunzione a tempo indeterminato (dal
marzo 2002 in poi) i compensi per lavoro straordinario per le
ore prestate dalla 37ma alla 39ma, le cui differenze erano
state oggetto della domanda restitutoria erroneamente
respinta dalla Corte di appello, che non aveva dato una
corretta interpretazione alla domanda proposta (art. 112 cod.
proc. civ.). Inoltre, era stato erroneamente ritenuto che
l’art. 5 ter del d.l. n. 702 del 1978 non regolasse la
fattispecie in esame; al contrario i due accordi, quello
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-6-

A

contratti collettivi.

-t

aziendale del 1983 e quello nazionale del 1985, erano stati
adottati nella piena operatività di tale disposizione e del
primo l’Azienda aveva continuato a fare applicazione anche

Il ricorso è infondato.
Preliminarmente,

il

Collegio

richiama

il

proprio

orientamento interpretativo espresso nelle recenti sentenze
nn. 18553, 20598 e 20761 del 2012, rese in fattispecie del
tutto analoghe a quella oggetto del ricorso in esame.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di
contratto di formazione e lavoro, l’inadempimento degli
obblighi di formazione determina la trasformazione, fin
dall’inizio, del rapporto in rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato, qualora l’inadempimento abbia
un’obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale
mancanza di formazione, teorica e pratica, ovvero in una
attività formativa carente o inadeguata rispetto agli
obiettivi indicati nel progetto di formazione e quindi
trasfusi nel contratto. In questa seconda ipotesi il giudice
deve valutare in base ai principi generali la gravità
dell’inadempimento, giungendo alla declaratoria di
trasformazione del rapporto (V. per tutte Cass. 1 febbraio
2006 n. 2247, Cass. 7 agosto 2004 n. 15308; Cass. 4 ottobre
2004 n. 19846 e, più specificamente, Cass. 9 marzo 2009 n.
5644, relativa all’ipotesi in cui il lavoratore, già al
momento della sua assunzione con c.f.1., possegga la
professionalità che, secondo gli accordi intervenuti,
dovrebbe costituire lo scopo del programma formativo avendo
espletato in precedenza analoga attività lavorativa).

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-7-

successivamente.

- ,t

La sentenza impugnata che, sul rilievo della totale
mancanza di formazione, ha dichiarato la trasformazione del
rapporto di lavoro è, pertanto, corretta in diritto.

favorire un ingresso guidato dei giovani nel mondo del
lavoro, attraverso un rapporto che dia loro anche gli
strumenti per apprendere una determinata professionalità ed è
consentito al datore di lavoro l’uso di una circoscritta
discrezionalità nel realizzare il programma di formazione,
che si traduce nella possibilità di alternare la fase teorica
con la fase pratica tenendo conto delle esigenze
dell’impresa, ma tale discrezionalità non può mai spingersi
fino ad espungere una delle due fasi dalla esecuzione del
contratto, atteso che entrambe sono coessenziali, con la
conseguenza che il periodo di prova in tanto è rilevante per
giudicare delle attitudini del lavoratore in formazione in
quanto nello stesso, sia pure con cadenze diverse rispetto a
quelle previste dal programma, siano presenti entrambe le
predette fasi coessenziali al raggiungimento dello scopo di
un inserimento qualificato nel mondo del lavoro (Cass. 8
gennaio 2003, n. 82).
Né può indurre a diverse conclusioni il richiamo al
contratto d’inserimento – di cui alla legge D.Lgs. n. 276 del
2003 – riguardando la presente fattispecie un contratto del
tutto diverso al quale il richiamato D.Lgs. ha assegnato
ratione temporis una differente funzione economico-sociale.
Con la seconda censura la società ricorrente, denunciando
violazione degli artt. 1321, 1362 c.c., e segg., in relazione
all’accordo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di accordo
24 marzo 2005, prospetta che la Corte del merito ha

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Lo scopo del contratto di formazione e lavoro è quello di

-T.

erroneamente ritenuto, quanto alla spettanza dell’ERS elemento di riordino del sistema retribuivo- , che l’accordo
d’interpretazione autentica del 24 marzo 2005 – in base al
quale veniva esclusa la corresponsione di detto ERS a coloro
precedente accordo del 2000 non erano lavoratori subordinati
a tempo indeterminato – aveva natura innovativa.
La censura non è condivisibile.
Il

decisum

sul punto della sentenza impugnata si fonda

essenzialmente sulla considerazione che, in conseguenza della
trasformazione del rapporto a tempo indeterminato con
efficacia ex tunc,

la Bruziches era all’epoca dell’accordo a

tutti gli effetti giuridici ed economici dipendente a tempo
indeterminato e come tale rientrante nel “personale in forza
a tempo indeterminato alla data della stipula dell’accordo”
al quale, secondo detto accordo, spettava la corresponsione
del c.d. ERS.
Assume

la

società che all’attuale resistente non

spetterebbe il richiamato ERS poiché con l’accordo del 24
marzo 2005 le parti, interpretando in via autentica la
precedente intesa dell’il luglio 2000, avevano escluso dalla
corresponsione dell’ERS coloro i quali non fossero
formalmente dipendenti a tempo indeterminato all’epoca della
stipula dell’accordo del 2000, ciò al fine di escludere gli
assunti con contratto di formazione lavoro i quali si erano
visti riconoscere ex post

la qualificazione giuridica del

proprio rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Ritiene il Collegio che la stessa prospettazione della
società confermi l’esattezza dell’affermazione della Corte di

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i quali, come la Bruziches, al momento della stipula del

appello secondo la quale l’accordo del 2005 non ha natura
interpretativa, bensì innovativa.
Invero, affinché un negozio giuridico successivo possa
di là delle espressioni di qualificazione utilizzate dalle
parti, che la volontà esplicitata nell’ultimo negozio sia
desumibile anche dal precedente, viceversa la nuova intesa è
innovativa e non interpretativa.
Avuto riguardo al caso di specie, ritiene il Collegio che
la volontà di limitare la corresponsione dell’ERS solo ai
lavoratori che al marzo del 2000 fossero formalmente
dipendenti a tempo indeterminato con esclusione di coloro i
quali fossero divenuti tali per effetto di successivo
riconoscimento giudiziale non sia desumibile dall’accordo del
2000, non essendovi alcuna clausola contrattuale che
legittima siffatta ricostruzione della volontà delle parti.
Né la società ricorrente la indica, limitandosi a prospettare
le ragioni storiche che indussero le parti alla previsione
dell’ERS. Tanto, tuttavia, non è sufficiente, atteso che la
volontà esplicitata nell’intesa del 2005 non trova alcun
riscontro nell’accordo del 2000, dove si fa riferimento al
“personale in forza a tempo indeterminato alla data di
stipula del presente accordo”, né in altre clausole
collettive.
La

ratio

posta a base dell’accordo del 2005, come

prospettata dalla stessa società ricorrente è, all’evidenza,
del tutto estranea all’accordo precedente ed è funzionale
all’esigenza di far fronte ad una situazione venutasi a
creare dopo l’accordo del 2000. Tutto ciò a prescindere dalla
possibilità per le parti sociali, in sede di contrattazione

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ritenersi interpretativo di uno precedente è necessario, al

collettiva

del

settore

privato,

di

procedere

ad

un’interpretazione di clausole contenute in precedente
contratto, essendo tale meccanismo espressamente previsto con
riguardo al settore del lavoro pubblico privatizzato in tema
interpretazione dei contratti collettivi nazionali
sottoscritti dall’ARAN, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001,
art. 64, ed operando, in tema di contrattazione collettiva
privata, il principio della normale successione dei
contratti.
Tali considerazioni hanno carattere assorbente di ogni
altro rilievo mosso dalla società alla sentenza impugnata.
Con la terza critica la società, allegando violazione del
CCNL 23 luglio 1976, dell’accordo collettivo 12 luglio del
1985 e dell’art. 2126 c.c., comma 2, assume che stante la
nullità – per effetto della sentenza n. 12661 del 2004 di
questa Corte – della contrattazione aziendale (accordo 18
luglio 1983), la quale aveva previsto una riduzione
dell’orario di lavoro da 39 ore settimanali a 37 ore,
erroneamente la Corte del merito aveva respinto la domanda
riconvenzionale.
Il motivo è infondato, anche se deve correggersi la
motivazione della sentenza impugnata nel senso che segue.
Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di
trattamento economico dei 6pendenti di aziende
municipalizzate, il D.L. n. 702 del 1978, art. 5 ter,
convertito in L. n. 3 del 1979 -che, tra l’altro, fa divieto
alle aziende municipalizzate degli enti territoriali di
stipulare accordi integrativi aziendali che comportino
erogazioni economiche aggiuntive rispetto a quelle previste
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di procedura di accertamento della validità, efficacia ed

-1.

nei contratti nazionali – è norma a carattere imperativo
essenzialmente intesa ad un trattamento economico uniforme su
tutto il territorio nazionale per i dipendenti delle aziende
municipalizzate, alla parità delle aziende suddette in
costi medesimi, onde il divieto espresso da tale norma non va
inteso in senso formale e restrittivo, come impeditivo
soltanto della possibilità che le aziende manifestino
direttamente la volontà di obbligarsi, ma nel senso che ad
essere vietato è il risultato, con qualsiasi procedimento
ottenuto, di vincolare l’azienda al rispetto di statuizioni
derogatorie della contrattazione nazionale che siano
l’effetto di un atto perfezionatosi successivamente
all’entrata in vigore della norma imperativa (Cass. 5.3.01n.
3196, che riprende S.U. 19.11.98 n. 11714 e Sez.Lav. 29.4.98
n. 4386; conf. Cass.12478/1999;6161/2000;7103/2000; cfr. da
ultimo, Cass. n. 18251 del 2011, n.21293 del 2009, n.29926
del 2008).
Tale norma era sicuramente vigente anche al tempo della
stipulazione degli accordi aziendali di cui la società,
attuale ricorrente, ha fatto applicazione; il citato art. 5
ter rende nulli tutti gli atti posti in essere
successivamente alla sua entrata in vigore, di modo che è
nulla per violazione di norma imperativa la clausola di un
contratto aziendale che disponga una riduzione dell’orario di
lavoro a 37 ore in luogo delle 39 ore stabilite dalla
contrattazione nazionale.
Peraltro, la sentenza impugnata è basata su un’autonoma
ratio decidendi laddove evidenzia che il contenuto ambiguo
della domanda riconvenzionale era “già di per sé ostativo

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– 12 –

relazione ai costi del personale, nonché al contenimento dei

all’accoglimento di siffatta domanda”, con motivazione
alternativa, da sola idonea a sorreggere il dispositivo di
rigetto della domanda riconvenzionale (e dell’impugnazione).

tenore della sentenza – che conclude per il rigetto e non per
la nullità della domanda riconvenzionale – si desume che il
giudice di appello ha ritenuto la domanda infondata per
carenza delle allegazioni di fatto poste a fondamento della
richiesta di ripetizione di indebito. Questo, trovando titolo
nella erogazione di compensi per lavoro straordinario
(erogazione che si assume avvenuta sine titulo), presupponeva
la chiara allegazione dei fatti costitutivi del diritto e
dunque dell’effettività della prestazione lavorativa resa tra
la 37 ° e la 39 ° ora e della erogazione dei compensi per
lavoro straordinario. Dalla sentenza impugnata si ricava che
l’allegazione dei fatti costitutivi era mancata, poiché nella
domanda (interpretata nel suo insieme e non solo alla stregua
delle conclusioni che ne definivano il petitum) non era stato
nemmeno chiarito se la prestazione eccedente la 37 0 ora fosse
stata effettivamente resa o se invece la ricorrente avesse
lavorato solo per 37 ore alla settimana anziché 39 ore come
previsto dal contratto collettivo nazionale, sulla cui base
era stata retribuita. Il giudice di appello ha dunque
individuato l’effettivo contenuto sostanziale della domanda,
rilevandone tuttavia una carente allegazione dei suoi fatti
costitutivi.
La mancata trascrizione del tenore testuale della domanda
riconvenzionale, interpretato dal giudice di merito nel senso
sopra riferito, preclude a questa Corte la disamina di

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– 13 –

Contrariamente a quanto assume parte ricorrente, dal

qualsiasi censura in merito all’interpretazione del tenore
della domanda.
Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va,

Le spese del giudizio di legittimità seguono la
soccombenza della società e vanno distratte, nella misura
indicata in dispositivo, in favore del difensore che ha
dichiarato di averle anticipate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese di lite del presente giudizio,
liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 4000,00 per
compensi, oltre accessori di legge, con distrazione in favore
dell’avv. Riccardo Faranda.
Così deciso in Roma, il 4 aprile 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

conclusivamente, respinto.

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