Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16444 del 30/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/07/2020, (ud. 10/06/2020, dep. 30/07/2020), n.16444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11908-2019 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se

medesimo;

– ricorrente –

contro

COMUNE ALI’ TERME;

– intimato –

avverso la sentenza n. 913/10/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di MESSINA, depositata il

27/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

La CTR della Sicilia, sez. distaccata di Messina, rigettava l’appello proposto dal Comune di Alì Terme avverso la sentenza della CTP di Messina con cui era stato accolto il ricorso proposto da D.M. nei riguardi degli avvisi di liquidazione Ici relativi agli anni 2004 e 2005.

Il Giudice di appello riteneva non fondata l’eccezione di giudicato sollevata dal contribuente in relazione ad altra decisione intervenuta per una diversa annualità di imposta.

Osservava al riguardo che il giudicato tributario è ultrattivo per le agevolazioni di carattere pluriennale ma non per quelle di carattere annuale difettando per queste ultime la natura permanente che dovrebbe giustificare l’espansione. Sottolineava inoltre che la pronuncia in questione aveva annullato l’atto impugnato per difetto di motivazione sicchè nessun vincolo quella decisione poteva avere per la CTR che era chiamata a valutare un atto diverso anche sotto il profilo contenutistico.

Nel merito il Giudice di appello riteneva corretto l’avviso di accertamento sulla base del quadro normativo e degli orientamenti giurisprudenziali formatesi in materia.

Osservava infatti che le particelle ricadenti in zona B1 e quelli ricadenti in zona C3 dovevano considerarsi edificabili e come tali assoggettate ad Iva a nulla rilevando la mancata comunicazione della delibera al contribuente e degli atti richiamati trattandosi di atti a contenuto normativo.

Rilevava che il contribuente non solo non aveva fornito elementi di contrasto alle determinazioni del Comune ma dallo stralcio di CTU espletata in altro procedimento emergeva la prova dell’esattezza dei valori attribuiti dall’amministrazione.

Avverso tale sentenza l’avv. D.M. in proprio propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria.

Nessuno si costituisce per l’intimata.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Deduce, in particolare, che i giudici di appello non avrebbero fatto buon governo delle norme che regolano la motivazione degli atti facendo riferimento ad elementi extratestuali non menzionati negli avvisi.

Con il secondo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe potuto confermare il valore di Euro 46,68 per mq per l’accertamento di zona C/3 per mq 3410 non utilizzabile per l’edificazione essendo il limite minimo di mq 6000 come risultante dal regolamento di attuazione del Piano regolatore prodotto avanti alla CTP di Messina.

Lamenta, inoltre, che i giudici avrebbero omesso di esaminare l’atto del 21.9.2004 in quanto la vendita della cubatura comportava anche l’impossibilità di edificazione ed il valore di Euro 232,41 al mq non può essere riferito ad una porzione priva di qualsiasi diritto di edificare.

Con un terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 91,112 e 342 c.p.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che il Comune con l’atto di appello avrebbe chiesto unicamente la condanna alle spese del grado e non anche quella relative al pregresso grado di giudizio sicchè la condanna anche alla rifusione della prima fase sarebbe stata inflitta in assenza di motivazione.

Il primo motivo è inammissibile.

Al riguardo, osserva il Collegio come, nel caso di specie, il ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta; che, sul punto, converrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per’ inidoneità al raggiungimento dello scopo,

Con riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005 relativo, consolidato principi di diritto è stato condiviso, da Cass. Sez. UN., n. 7074 del 2017)

Nella specie la CTR ha ritenuto che gli elementi riportati nell’avviso oggetto di discussione erano sufficienti a configurare una motivazione congrua risultando la dimensione dei terreni ed i valori al mq confortato in questo dall’orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui l’obbligo di motivazione deve ritenersi adempiuto tutte le volte che il contribuente sia stato posto in condizione di difendersi e di contestare nell’an e nel quantum la pretesa impositiva.

Peraltro il motivo sarebbe da ritenere inammissibile sotto altro profilo per difetto di specificità secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento (vedi in tal senso tra le altre Cass., Sez. 5, n. 9536/2013; in senso più ampio da ultimo Cass., Sez. 5, n. 29093/18, Cass. 30796/2019).

Relativamente al secondo profilo va ricordato che “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

A maggior ragione dopo una tale novella legislativa resta fermo il principio, già del tutto consolidato (e com’è ormai ribadito da giurisprudenza tralaticia) dell’esclusione del potere di questa Corte di legittimità di riesaminare il merito della causa, essendo ad essa consentito, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c. d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile): sicchè sarebbe inammissibile (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, non potendo darsi corso ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità. In particolare, opera il principio di diritto secondo cui: “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.” (Cass., n. 11892 del 2016, seguita da numerose conformi).

Ciò posto nella specie il motivo si traduce in una rievocazione delle vicende e delle situazioni di fatto oggetto della corretta valutazione svolta dal Giudice del merito il quale ha ritenuto proprio alla luce del materiale probatorio acquisito in causa ed in assenza di adeguati elementi di contrasto non forniti dal contribuente la congruità dei valori assegnati dal Comune.

Con riguardo alla questione delle spese va rilevato che la riforma della decisione di appello comporta la necessità di rivedere le spese di lite a prescindere dalla richiesta dell’appellante.

Va ricordato che allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, è tenuto a provvedere, anche d’ufficio, ad un nuovo regolamento di dette spese alla stregua dell’esito complessivo della lite, atteso che, in base al principio di cui all’art. 336 c.p.c., la riforma della sentenza del primo giudice determina la caducazione del capo della pronuncia che ha statuito sulle spese (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1775 del 24/01/2017, Rv. 642738 – 01; Sez. L, Sentenza n. 26985 del 22/12/2009, Rv. 611189 – 01).

Nella specie, avendo il giudice d’appello riformato la sentenza di primo grado, lo stesso ha ritualmente provveduto a un nuovo regolamento delle spese alla stregua dell’esito complessivo della lite.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Nulla per le spese stante la mancata costituzione della controricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla spese; doppio contributo. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2020

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