Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16444 del 13/07/2010

Cassazione civile sez. I, 13/07/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 13/07/2010), n.16444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15800/2008 proposto da:

C.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA NOMENTANA 293, presso il proprio studio,

rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 351/2007 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 27/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/06/2010 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato C.A. che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l’inammissibilità o, in

subordine, per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso alla Corte d’Appello di Perugia C.A. lamentando la violazione dell’art. 6 della CEDU per la eccessiva durata di un giudizio civile, promosso dinanzi al Pretore di Roma in data 4.12.1998 per ottenere la risoluzione di un contratto preliminare di vendita immobiliare, deciso in primo grado con sentenza 17.2.2003 e in appello con sentenza 23.3.2006, chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un indennizzo per danni patrimoniali e non. La Corte adita accoglieva parzialmente il ricorso e, ritenuto che il giudizio presupposto avesse superato il termine ragionevole di durata per anni 2 e mesi 4, liquidava al ricorrente a titolo di danno non patrimoniale la somma di Euro 3.000,00 (tremila), mentre respingeva la richiesta di danno patrimoniale, identificato nelle maggiori spese processuali sopportate a causa dell’eccessivo protrarsi del giudizio.

Avverso detto decreto C.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo, cui il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Il ricorrente con l’unico motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) nonchè per motivazione contraddittoria ed insufficiente, per avere il giudice a quo ingiustamente escluso che le ulteriori spese processuali, al cui pagamento il C. era stato condannato nel processo presupposto e conseguenti alla durata dello stesso, oltre il termine ragionevole, rientrassero tra i danni patrimoniali risarcibili ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e comma 3, lett. a.

Il collegio osserva che la questione è già stata affrontata e decisa da questa Suprema Corte in un precedente giudizio, affermando il seguente principio di diritto:” Posto che l’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89 compete solo nella misura in cui essa valga ad indennizzare un pregiudizio che sia conseguenza immediata e diretta della violazione del diritto della parte alla ragionevole durata del processo e in quanto sia riferibile al periodo eccedente il termine di durata ragionevole, è da escludere che, mancando un nesso di tal fatta, siano indennizzabili a tale titolo le spese che la parte medesima abbia autonomamente deciso di sopportare per far valere, nel giudizio presupposto, la lesione del proprio diritto, o per ricorrere alla Corte Europea dei diritti dell’uomo (onde chiedere la condanna dello Stato Italiano al risarcimento dei danni subiti per la eccessiva durata di detto giudizio), considerato che l’azione giudiziaria è un modo di esercizio del diritto, non un effetto della sua lesione, e le relative spese trovano la propria causa esclusivamente nella scelta – legittima ma non necessitata – di ricorrere a quel mezzo di tutela (cfr. Cass. n. 6163 del 2003; Cass. n. 4508 del 2004).

Il Collegio ritiene di dover aderire a questo orientamento giurisprudenziale non avendo il ricorrente indicato convincenti ragioni per discostarsene. Alla stregua del principio summenzionato il ricorso deve essere respinto, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore dell’amministrazione resistente, che, tenuto conto del valore della lite, appare giusto liquidare in Euro 1000,00 (mille) per onorari, oltre le spese prenotate a debito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento a favore dell’amministrazione resistente delle spese del giudizio di cassazione liquidate in Euro 1000,00 (mille) per onorari, oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2010

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