Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16444 del 05/08/2016


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Cassazione civile sez. trib., 05/08/2016, (ud. 30/03/2016, dep. 05/08/2016), n.16444

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27303-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZALE BELLE

ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato IGNAZIO ABRIGNANI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO BARONE giusta

delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 194/2008 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

BRESCIA, depositata il 16/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/03/2016 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA TORRE;

udito per il ricorrente l’Avvocato CAPOLUPO che ha chiesto

raccoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR Lombardia (n. 194/63/08 dep. 16 ott. 2008), che ha accolto il ricorso di P.G., in relazione a due avvisi di accertamento induttivo (ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4 per gli anni 1999 e 2000 ai fini dell’Irpef). Gli accertamenti erano stati notificati, previo esame della documentazione presentata a seguito di invito al contraddittorio, che l’Ufficio non ha ritenuto idonea a superare la presunzione di maggior reddito.

La CTR, in riforma della sentenza di primo grado, ha ritenuto infondato l’assunto dell’Ufficio sull’esistenza di incrementi patrimoniali, ritenuti fonte di reddito (consistenti nell’acquisizione dell’azienda paterna; di un fabbricato di famiglia; nel possesso di un’autovettura del 1977; nella cessione della quota di 1/3 di un fabbricato; nella stipulazione di un mutuo fondiario), in quanto superato dalle giustificazioni del contribuente che aveva dimostrato sufficienti risorse (disponibilità dei redditi della famiglia con la quale era convivente; mutui e altre giustificazioni pertinenti), idonee a far fronte alle operazioni economiche contestate.

L’intimato si costituisce con controricorso, eccependo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Preliminarmente si rileva l’ammissibilità del ricorso per cassazione, tempestivamente notificato entro i termini di legge (ex art. 327 c.p.c. vigente ratione temporis), contrariamente a quanto eccepito dal controricorrente.

2) Col primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 (ex art. 360 c.p.c., n. 4), per non avere la CTR dichiarato inammissibile l’appello del P., con il quale questi si è limitato a riproporre le argomentazioni dedotte in primo grado, senza formulare specifiche censure.

3) Il motivo è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che ai fini della specificità dei motivi d’appello, richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice. Nel caso di specie il P. ha congruamente contrastato la statuizione della CTP, come si evince dalla stessa sentenza impugnata, che riporta dettagliatamente i motivi dell’appello (pag. 3), indicando specificamente, per ciascuna delle voci censurate, gli errori di fatto e di diritto attribuibili alla sentenza (cfr. Cass. n. 18307 del 18/09/2015; n. 22502 del 23/10/2014; n. 25218 del 29/11/2011).

4) Col secondo motivo si deduce violazione di legge (art. 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39), per avere la CTR erroneamente ritenuto che incombesse sull’Ufficio l’onere di provare il maggior reddito accertato, pur avendo l’Ufficio indicato i dati su cui si basava la contestazione, spettando per contro al contribuente fornire gli elementi ostativi e contrari alla pretesa erariale.

5) Col terzo motivo si deduce violazione di legge (art. 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, sotto altro profilo), spettando al contribuente l’onere di provare l’impossibilità di utilizzare gli strumenti parametrici, non essendo sufficiente affermare che non fossero idonei.

6) Il secondo e terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente stante la loro connessione, non meritano accoglimento.

Questa Corte (cfr. SU n. 26635 del 2009; Cass. n. 13594 del 2010; n. 22599 del 2012; n. 11633 del 2013; n. 13741 del 2013; n. 1846 del 2014), in relazione alla concreta applicazione delle norme sopra richiamate, ha enunciato i principi di diritto applicabili alla procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore, applicabili anche agli accertamenti di tipo sintetico. Tali procedure costituiscono un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – che nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente.

Nel caso di specie la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi indicati ed ha congruamente motivato, ritenendo idonee le circostanze addotte dal contribuente per chiarire le proprie ragioni.

In particolare, confutando l’inattendibilità della metodologia di calcolo utilizzata per determinare l’incidenza del valore degli immobili oggetto di acquisto; giustificando l’acquisto dell’azienda e dell’immobile con l’accensione di mutui ipotecari; rilevando anche la mancata considerazione da parte dell’Ufficio di ulteriori elementi addotti dal contribuente, idonei a giustificare il comportamento economico di questi.

Sul punto va ribadito che, a differenza dei “coefficienti presuntivi”, i “parametri” costituiscono una presunzione, la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito (cfr. Corte Cost. n. 105 del 2003; Corte Cost. n. 140 del 2003). Ne segue che, quando le circostanze addotte dal contribuente appaiono in concreto idonee a giustificare le spese sostenute – come nel caso di specie – è richiesto alla Amministrazione finanziaria di supportare l’accertamento tributario con ulteriori elementi concreti, nella fattispecie ritenuti insussistenti dal giudice d’appello, con apprezzamento di merito congruamente motivato.

7) In conclusione il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese, liquidate in Euro 1.500,00 oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2016

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