Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16442 del 27/07/2011

Cassazione civile sez. lav., 27/07/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 27/07/2011), n.16442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUNIGIANA 6, presso lo studio dell’avvocato D’AGOSTINO GREGORIO,

rappresentata e difesa dagli avvocati INTILISANO PIETRO, INTILISANO

LUCIANA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE in persona del Ministro pro tempore e

C.S.A. DI MESSINA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 133/2006 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 07/03/2006 R.G.N. 1321/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’inammissibilità in via

principale, in subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Messina, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa sede, rigettava la domanda proposta da P.A., insegnante elementare, contro il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, tendente all’annullamento dei provvedimenti, rispettivamente in data 23 e 24 luglio 1999, con cui il Provveditore agli studi di Messina le aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione per quattro mesi e aveva disposto il suo trasferimento per incompatibilità ambientale, dopo una sospensione cautelativa, in seguito a esposti da parte di genitori degli alunni.

Quanto in particolare alla tempestività della contestazione degli addebiti, la Corte di merito si richiamava al principio secondo cui, in materia disciplinare, non vi è un dovere di contestazione immediata in senso assoluto, in quanto lo stesso principio deve essere contemperato con i principi di buon andamento della pubblica amministrazione e di tutela della posizione del dipendente, di modo che deve essere assicurata la sollecitudine compatibile con la gravità dei fatti e la complessità degli accertamenti. Nella specie doveva ritenersi tempestiva la contestazione avvenuta in data 21.4.1998, tenuto presente che dopo la prima denuncia della madre di un alunno, seguita da altri esposti, era stata disposta un’ispezione, la cui relazione era stata depositata il 25.2.1998 ed integrata in data 20.3.1998 a seguito delle note difensive dell’insegnante, e che era stato ragionevole il tempo successivamente impiegato dal datore di lavoro per l’esame e la valutazione degli elementi acquisiti ai fini della deliberazione da assumere.

Il giudice di appello riteneva infondate anche le doglianze relative alla partecipazione del Provveditore, quale presidente, alla riunione del Consiglio di disciplina, sotto il profilo di una incompatibilità a norma del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 112, u.c., per avere egli espresso con le note del 21 gennaio e 20 marzo 1998 il proprio giudizio sui fatti, sollecitando il direttore didattico a disporre la sospensione cautelare facoltativa. Rilevava, infarti, che la richiamata disposizione di legge fa riferimento a membri della commissione che abbiano riferito all’ufficio del personale o svolto indagini ai sensi dell’art. 103, o che abbiano partecipato come funzionari istruttori o consulenti all’inchiesta, ipotesi non riscontrabile nella suddetta attività del Provveditore. Neanche erano ravvisabili gli estremi della ricusabilità o dell’obbligo di astensione di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 149, non risultando una commistione di potestà inquirenti e giudicanti o comunque l’esistenza di un parere sull’oggetto della controversia reso fuori dell’esercizio delle proprie funzioni.

P.A. ricorre per cassazione con due motivi. Il suindicato Ministero, unitamente al Centro servizi amministrativi per la Provincia di Messina, resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo (punti 1-3 del ricorso), denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 in materia di termine per la contestazione e tempestività della medesima e vizi di motivazione, censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che il procedimento disciplinare sia stato viziato da intempestività della contestazione.

Si rileva che il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 103, prescrive l’immediata contestazione degli addebiti da parte dell’Ufficio del personale a cui il capo dell’ufficio abbia riferito fatti per cui ritiene ammissibile una sanzione più grave della censura che a norma dell’art. 107 il capo del personale possa nominare, nel termine di 15 giorni, un funzionario istruttore dopo avere acquisito le giustificazioni dell’interessato, e che secondo l’art. 108 la nomina del funzionario istruttore deve essere comunicata all’interessato entro cinque giorni. Nella specie l’iter procedurale era stato completamente stravolto, in quanto il Provveditore, invece di compiere accertamenti preliminari e contestare il fatto al dipendente, aveva nominato un funzionario ispettore prima della contestazione degli addebiti e all’insaputa del dipendente. Il funzionario ispettore, a sua volta, aveva proceduto senza avere cognizione delle giustificazioni che l’interessata avrebbe potuto presentare. Si lamenta anche che già nella nomina dell’ispettore il Provveditore aveva formulato valutazioni di colpevolezza.

2. Il secondo motivo (punto 4 del ricorso), denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. 112 e 149 e insufficiente motivazione, censura la sentenza per avere escluso l’obbligo del Provveditore agli studi di astenersi dalla partecipazione alla deliberazione del Consiglio di disciplina, relativamente ai pareri espressi sia sulla sanzione disciplinare che sul trasferimento per incompatibilità, per avere effettuato indagini sui fatti oggetto dei procedimenti e per avere dato il suo parere sui medesimi al di fuori delle proprie funzioni.

3. Prima di esaminare specificamente i motivi di ricorso, è opportuno individuare la normativa applicabile, relativamente al personale docente alle dipendenze dello Stato, ai fini dello svolgimento del procedimento disciplinare e di quello per l’adozione del provvedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale.

Come è noto il D.Lgs. n. 29 del 1993, nel testo così come modificato da vari successivi interventi normativi, quanto alla materia disciplinare, in relazione alla cd. privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ha fatto riferimento alla disciplina generale in materia di cui all’art. 2106 c.c. e alla L. n. 300 del 1970, art. 7, non mancando però di dettare norme specifiche, nell’ambito delle quali si segnala in particolare la previsione di regole particolari per il procedimento disciplinare, di cui è affidato lo svolgimento ad appositi uffici da istituire in ciascuna amministrazione. In questo quadro, l’art. 74, comma 3, del citato D.Lgs. ha previsto che a far data dalla stipulazione del primo contratto collettivo, per i dipendenti in regime di diritto privato non trovano più applicazione gli D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. da 100 a 123, sullo stato giuridico degli impiegati dello Stato, cioè le disposizioni in materia di procedimento disciplinare, nonchè le disposizioni agli stessi articoli collegati. Tuttavia una deroga all’immediata applicabilità della nuova disciplina in materia disciplinare è stata prevista per il personale docente della scuola (ed altresì per il personale ispettivo tecnico, direttivo ed educativo dello stesso settore), in attesa del riordinamento degli organi collegiali della scuola, di cui erano previste competenze in materia disciplinare.

Precisamente, secondo il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59, comma 10, fino a detto riordino degli organi collegiali, “si applicano le norme di cui al titolo 4^, capo 2^, del D.P.R. 31 maggio 1974, n. 417”, che contiene norme sullo stato giuridico del personale in questione e che al capo richiamato disciplina “competenze, provvedimenti cautelari e procedure”.

Il c.c.n.l. 4.8.1995 per il quadriennio normativo 1994-1997, primo contratto collettivo del comparto della scuola, per il personale direttivo e docente della scuola ha in sostanza confermato quanto previsto dal cit. D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 59, comma 10, espressamente richiamato, salvo precisare il riferimento alla disciplina vigente facendo rinvio alle norme sia sulle sanzioni che sul procedimento disciplinare del D.Lgs. 16 aprile 1994 n. 297, testo unico delle disposizioni vigenti in materia di istruzione, che ha assorbito le disposizioni in materia del D.P.R. n. 417 del 1974.

E’ nell’ambito del quadro normativo esposto (modificato successivamente dal D.Lgs. n. 150 del 2009, che, tra l’altro, ha eliminato il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55, comma 10, di rinvio al D.Lgs. n. 297 del 1994 e ha abrogato gli artt. da 502 a 507 del citato decreto legislativo) che si giustifica il riferimento sia della sentenza impugnata che del ricorso per cassazione, da tale punto di vista non contestato dal controricorso, alle disposizioni in materia di procedimento disciplinare di cui al t.u. del 1957 sullo stato giuridico degli impiegati dello Stato. Infatti, il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 55, comma 10, come già faceva il D.P.R. n. 417 del 1974, art. 108, rinvia alle norme in materia disciplinare per gli impiegati civili dello Stato (rinvio che nel testo del 1974 era espressamente al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e successive modificazioni). D’altra parte tale integrazione è indispensabile relativamente allo svolgimento del procedimento disciplinare, in quanto le norme specifiche relative al personale docente, sia del 1974 che del 1994, regolano solo alcuni aspetti particolari, relativi in sostanza alla competenza per l’adozione dei vari provvedimenti e per i relativi ricorsi gerarchici.

4. Passando all’esame del primo motivo di ricorso, deve ritenersi l’infondatezza del medesimo.

Deve rilevarsi, infatti, che il 10 gennaio 1957, n. 3, art. 103, comma 1, prevede lo svolgimento di accertamenti preliminari sia da parte del capo dell’ufficio – che, nel caso in cui ritenga che sia irrogabile un sanzione più grave della censura, deve rimettere gli atti all’ufficio del personale -, sia da parte di quest’ultimo ufficio. Premesso che i termini “capo ufficio” e “ufficio del personale” impiegati dal testo unico hanno una valenza generica che prende concretezza a seconda dell’organizzazione della specifica amministrazione statale interessata, deve rilevarsi che nel presente caso il ruolo del capo dell’ufficio è stato evidentemente espletato dal direttore didattico, il quale si è avvalso per gli accertamenti preliminari di un ispettore, come già rilevato dalla Corte d’appello. Non è giustificato quindi il riferimento nel ricorso alle norme dettate per una fase ulteriore del procedimento, quella, successiva alla conclusione della fase preliminare e alla contestazione dell’addebito e alle giustificazioni dell’impiegato (artt. 103, comma 2, ultimo inciso, artt. 104 e 105), consistente nella eventuale nomina di un funzionario istruttore per ulteriori indagini (art. 107, comma 2).

Il potere-dovere del capo dell’ufficio e dell’ufficio del personale di compiere accertamenti preliminari evidenzia la correttezza sul piano interpretativo del rilievo del giudice di merito circa il valore relativo della previsione secondo cui l’ufficio del personale “(…) contesta subito gli addebiti all’impiegato invitandolo a presentare le giustificazioni” (art. 103, comma 2). Così pure la sentenza impugnata risulta logicamente ed adeguatamente motivata relativamente alla tempestività della contestazione disciplinare.

5. Deve ritenersi fondato, invece, il secondo motivo, nei suoi correlati contenuti di denuncia di violazione di norme di diritto e di vizio di motivazione.

Secondo il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 112, comma 7 (e ultimo), “Non possono partecipare alla deliberazione a pena di nullità i membri della commissione che abbiano riferito all’ufficio del personale o svolte indagini ai sensi dell’art. 103 o che abbiano partecipato come funzionari istruttori o consulenti all’inchiesta.” L’art. 149, sulla “ricusazione del giudice disciplinare”, inteso come tale la commissione disciplinare (che esprime un parere vincolante, derogabile dal ministro solo in senso più favorevole all’impiegato:

cfr. l’art. 114), prevede poi che “i vizi della composizione della Commissione di disciplina possono essere denunciati con il ricorso contro il provvedimento definitivo che infligge la sanzione disciplinare anche se il giudicabile non li abbia rilevati in precedenza.” Che il provveditore agli studi nella specie abbia svolto funzioni di capo dell’ufficio è un’ipotesi che è avvalorabile dal fatto che egli sollecitò di una delibera del collegio dei docenti favorevole a una sospensione cautelare e dalla ulteriore circostanza, di cui con il ricorso (con deduzioni specifiche facenti riferimento a prove documentali ampiamente trascritte) si lamenta la mancata considerazione, che egli avrebbe dato all’ispettore istruzioni correlate ad un’ipotesi di responsabilità dell’attuale ricorrente.

Il ruolo che avrebbe assunto nella vicenda il provveditore renderebbe riferibile al medesimo la sopra richiamata norma limitativa della possibilità di partecipare alla deliberazione della Commissione di disciplina da parte dei soggetti coinvolti direttamente nella delineazione dell’ipotesi accusatoria, tenuto anche presente che il t.u. del 1957, art. 112, comma 3, prevede che il capo del personale, o un impiegato delegato dal medesimo, possa intervenire, in contraddittorio con l’impiegato sottoposto a procedimento disciplinare, alla seduta della commissione fissata per la trattazione orale, ma poi si deve ritirare, così come l’impiegato, quando si passa alla fase deliberativa. Deve ancora considerarsi che l’art. 149, comma 1, lett. b), del citato del t.u. del 1957 prevede la ricusabilità del componente della commissione di disciplina (la rubrica parla di “giudice disciplinare”) se ha dato consigli o manifestato il suo parere “fuori dell’esercizio delle sue funzioni”.

Tale disposizione è interpretabile nel senso che l’esercizio delle funzioni nel cui ambito la manifestazione di un parere non implichi la ricusabilità sia solo quello relativo allo stesso svolgimento delle funzioni di componente delle commissione disciplinare (analogamente a quanto previsto per la astensione e la ricusazione del giudice da parte dell’art. 36 c.p.p., comma l, lett. c)), stante il ruolo di terzietà attribuito al “giudice” disciplinare dal testo unico del 1957. Può quindi affermarsi che risultano in parte accertate, e in parte riscontrabili in sede di riesame del materiale istruttorio, condotte del provveditore rilevanti ai fini della sua ricusazione.

Nè può ritenersi che, con il D.Lgs. n. 297 del 1994, cit., art. 21, comma 6, sulla presidenza del consiglio di disciplina da parte del provveditore agli studi, si sia inteso derogare, rispetto alla posizione di quest’ultimo, ai richiamati principi relativi alla terzietà del “giudice” disciplinare dettati dal t.u. del 1957, non essendo plausibile l’introduzione di una simile insanabile contraddizione nel quadro normativo. D’altra parte sicuramente dall’ordinamento sarebbe stato ricavabile un criterio per la sostituzione nella presidenza della commissione di disciplina del provveditore agli studi che fosse impedito.

6. In conclusione, deve essere rigettato il primo motivo, accolto il secondo e di conseguenza deve essere cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa ad altro giudice perchè provveda a nuovo esame tenendo conto dei sopra indicati principi di diritto circa l’applicabilità, nell’ambito della normativa disciplinare relativa al personale docente vigente negli anni 1998-1999 (D.Lgs. n. 297 del 1994 e t.u. di cui al D.P.R. n. 3 del 1957), al presidente del consiglio di disciplina – anche se indicato, nella composizione di tale consiglio prevista per i procedimenti riguardanti gli insegnanti della scuola primaria, nella persona del provveditore agli studi – sul divieto di partecipazione alle deliberazioni del consiglio di disciplina stessa dei soggetti che abbiano concorso alla fase istruttoria a norma dell’art. 112, comma 7, del t.u. del 1957 (o che fossero responsabili dell’ufficio del personale, a norma dell’art. 112, comma 3) e della ricusabilità del componente del consiglio di disciplina che abbia espresso il suo parere fuori dall’esercizio delle funzioni (come tali dovendosi intendere quelle relative alla partecipazione a detto consiglio). Allo stesso giudice si demanda la regolazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catania.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2011

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