Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16441 del 10/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/06/2021, (ud. 20/01/2021, dep. 10/06/2021), n.16441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20967 – 2019 R.G. proposto da:

K2 s.r.l., – c.f. (OMISSIS) – in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata, con indicazione

dell’indirizzo p.e.c., in Piacenza, al vicolo Buffalari, n. 2,

presso lo studio dell’avvocato Stefanina Losi che la rappresenta e

difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

REGIONE EMILIA ROMAGNA, – c.f. (OMISSIS) – in persona del presidente

pro tempore, elettivamente domiciliata, con indicazione

dell’indirizzo p.e.c., in Bologna, alla via G. Amendola, n. 2,

presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Guaragnella che la

rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1451/2018 della Corte d’Appello di Bologna;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 gennaio

2021 dal consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso al Tribunale di Bologna la Regione Emilia-Romagna esponeva che la “Immobiliare Spizzene” s.r.l. (poi incorporata dalla “K2” s.r.l.), già ammessa alla fruizione degli “aiuti” concernenti il ritiro dei seminativi dalla produzione, era stata dichiarata decaduta dalla concessione del beneficio; che invero erano state riscontrate delle difformità, in quanto i terreni presentavano caratteristiche diverse da quelle previste ai fini dell’ammissione agli “aiuti”; che dunque la “Immobiliare Spizzene” s.r.l. era tenuta alla restituzione degli importi erogati.

Chiedeva ingiungersi alla “K2” s.r.l. il pagamento della somma di Euro 119.118,57, oltre interessi e spese.

2. Con decreto n. 5066/2007 l’adito tribunale pronunciava l’ingiunzione.

3. La “K2” s.r.l. proponeva opposizione.

Eccepiva, tra l’altro, la prescrizione dell’avversa pretesa.

Instava per la revoca dell’ingiunzione.

4. Resisteva la Regione Emilia-Romagna.

5. Con sentenza n. 2720/2014 il Tribunale di Bologna accoglieva parzialmente l’opposizione e, per l’effetto, revocava l’ingiunzione, condannava l’opponente a restituire all’opposta la somma di Euro 69.077,15, con gli interessi dal di della riscossione alla restituzione, compensava le spese di lite.

6. Proponeva appello la “K2” s.r.l..

Resisteva la Regione Emilia-Romagna.

7. Con sentenza n. 1451/2018 la Corte d’Appello di Bologna rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Evidenziava, tra l’altro, la corte che l’obbligazione restitutoria rinveniva il proprio fondamento non solo nel D.M. n. 63 del 1991, art. 12 ma pur nel disposto dell’art. 2033 c.c..

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “K2” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

La Regione Emilia-Romagna ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

9. Il relatore ha formulato ex art. 375, n. 5), c.p.c. proposta di manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso e di inammissibilità del secondo motivo di ricorso; il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

10. La s.r.l. ricorrente ha depositato memoria.

11. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, artt. 1, 4, 6 e 14, degli art. 2 e 3 c.p. in relazione alla L. n. 898 del 1986 ed al D.M. n. 63 del 1991, art. 12, degli artt. 2033,2697 e 2909 c.c., dell’art. 145 c.p.c. e della L. n. 241 del 1990.

Deduce che i giudici di merito non hanno tenuto conto che il D.M. n. 63 del 1991, art. 12 non contempla alcuna decadenza.

Deduce altresì che ai sensi della L. n. 689 del 1981 – cui la L. n. 898 del 1986, a sua volta richiamata al D.M. n. 63 del 1991, art. 12, comma 1, espressamente rinvia – la contestazione della violazione doveva essere notificata anche alla “Immobiliare Spizzene” s.r.l. ai fini della sua responsabilità solidale, sicchè la mancata notificazione a tal ultima società del verbale elevato a seguito del controllo del 25.11.1993 e degli atti successivi ha comportato l’estinzione di ogni sua responsabilità.

Deduce che tali circostanze si evincono dai documenti di parte avversa.

12. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che ha errato la corte distrettuale a reputare provata, nell’an e, in ogni caso, nel quantum, la pretesa azionata dalla Regione Emilia-Romagna; che segnatamente non vi è prova degli importi effettivamente erogati.

Deduce che non sono stati allegati atti e/o documenti ad essa opponibili. Deduce che non si è acquisito riscontro di validi atti interruttivi, sicchè l’avversa pretesa doveva considerarsi senz’altro prescritta.

13. Si premette che il collegio appieno condivide la proposta del relatore.

Ciò viepiù che la ricorrente, a seguito della notificazione del decreto presidenziale e della proposta, ha, sì, provveduto al deposito di memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

E tuttavia le argomentazioni di cui alla memoria vanno senz’altro disattese. Ambedue i motivi di ricorso, pertanto, non meritano alcun seguito.

14. Nella specie è indubitabile, sì, che la domanda volta all’erogazione degli “aiuti” fu proposta il 26.2.1992 (cfr. ricorso, pag. 2; controricorso, pag. 1).

E nondimeno è altrettanto indubitabile che si accertò il 25.11.1993 che “parte della superficie presentava caratteristiche diverse da quelle previste per avere diritto all’aiuto” (così ricorso, pag. 3; così controricorso, pag. 2).

Su tale scorta, con precipuo riferimento al primo motivo di ricorso, è da ammettere, in considerazione appunto del di (25.11.1993) dell’accertamento anzidetto, che si applica ratione temporis nel caso di specie il D.M. 19 febbraio 1991, n. 63, art. 12, comma 6, lett. a), nel testo modificato dal D.M. 9 aprile 1992, n. 281, art. 8 ed in vigore dal 29.5.1992, alla cui stregua “il beneficiario decade totalmente dall’aiuto nel corso dell’impegno: a) se si accerta che la superficie non poteva essere sottoposta al regime per mancanza dei requisiti soggettivi od oggettivi richiesti dalla normativa comunitaria e nazionale”.

In tal guisa è fuor di dubbio che la Pubblica Amministrazione fosse investita specificamente del potere di dar corso alla decadenza.

Tanto, ben vero, pur a prescindere dal condivisibile rilievo della controricorrente secondo cui l’originario testo del comma 5 – “negli altri casi di discordanza, tutte le superfici facenti parte dell’azienda sono escluse dal beneficio dell’aiuto per l’intera durata dell’impegno” – del D.M. n. 63 del 1991, art. 12 non poteva non postulare, alla stregua dell’esclusione dalli “aiuto” espressamente prefigurata, la potestà della Pubblica Amministrazione di attivare il suo generale potere “di riesame delle proprie determinazioni con effetto ex tunc” (così controricorso, pag. 7).

15. E’ fuor di luogo, poi, addurre che, “nel caso in cui la violazione, per cui è prevista una sanzione amministrativa, sia commessa dal legale rappresentante di una persona giuridica nell’esercizio delle relative funzioni, la contestazione (…) eseguita solo nei confronti della persona fisica (…) non è idonea anche nei confronti della persona giuridica” (così ricorso, pag. 7).

La surriferita ragione di doglianza è avulsa dalla ratio decidendi.

La Corte di Bologna ha puntualizzato, ineccepibilmente, in sede di disamina delle questioni preliminari (cfr. pag. 3), che la materia controversa concerneva la restituzione dell’aiuto indebitamente percepito non già gli aspetti afferenti alla sanzione amministrativa irrogata con ordinanza – ingiunzione del 18.5.1995 per violazione della L. n. 898 del 1986, art. 3 e del D.M. n. 63 del 1991, art. 12.

16. Del tutto ingiustificate sono le ulteriori censure veicolate dal primo mezzo di impugnazione, ovvero l’assunto secondo cui il provvedimento del 1996 non è stato notificato ma al più comunicato ed indica quale destinatario la persona fisica di B.G. non già la “Immobiliare Spizzene”, sicchè non è in alcun modo idoneo a fini interruttivi.

La corte territoriale ha debitamente premesso (cfr. pag. 4) che il verbale elevato dal Corpo Forestale dello Stato a seguito di controllo eseguito in data 25.11.1993 nonchè il provvedimento di decadenza e le successive missive di sollecito erano stati validamente notificati a B.G., in veste di legale rappresentante della “Immobiliare Spizzene” s.r.l. (“evidenziando (…) tale qualità”: così sentenza d’appello, pag. 4) presso la sede della società (“ciò nel pieno rispetto dell’art. 145 c.p.c. anche nella sua formulazione originaria”: così sentenza d’appello, pag. 4); che i medesimi atti, incensurabili nel merito siccome non impugnati nei termini di legge, erano perciò senz’altro validi ed efficaci ai fini della interruzione della prescrizione.

La corte bolognese ha poi soggiunto, del pari in sede di disamina delle questioni preliminari, che la Regione Emilia-Romagna era stata correttamente individuata quale legittimata attiva, benchè il contributo fosse stato in concreto erogato dall'”AIMA”.

17. Con precipuo riferimento al secondo motivo di ricorso si osserva quanto segue.

In primo luogo, il giudizio di appello ha avuto inizio nell’anno 2014.

In secondo luogo, la statuizione di seconde cure ha in toto confermato la statuizione di prime cure.

In terzo luogo – conseguentemente – si applica ratione temporis al caso di specie la previsione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata con ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860. In ipotesi di “doppia conformè, prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse: cfr. Cass. 22.12.2016, n. 26774).

18. In ogni caso nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” suscettibili di acquisir valenza alla stregua della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, può scorgersi in ordine alle (ulteriori) motivazioni cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum.

In particolare la corte d’appello ha specificato che correttamente il tribunale non aveva fatto luogo all’ammissione delle prove richieste, siccome i fatti inizialmente allegati dall’appellata dovevano reputarsi riscontrati in via documentale, viepiù alla luce della mancata impugnativa dei singoli atti amministrativi e delle ammissioni cui aveva atteso il legale rappresentante della società appellante.

19. Due ulteriori finali notazioni si impongono.

20. Innanzitutto la ricorrente ha assunto che “la Regione Emilia Romagna non ha dato la prova del pagamento degli importi che pretende in restituzione e tantomeno allegato il fatto costitutivo della sua pretesa creditoria” (così ricorso, pag. 3).

Il preteso difetto di allegazione è, evidentemente, del tutto ingiustificato.

Il preteso difetto di prova dell’erogazione degli importi invocati in restituzione – al di là della preclusione correlata all’art. 348 ter c.p.c., comma 5 – integra questione che non rinviene alcun riflesso nella sentenza di seconde cure.

Si tratta quindi di questione “nuova” – così come ha puntualmente rimarcato la controricorrente (cfr. pag. 6) – la cui disamina è in questa sede indiscutibilmente preclusa (cfr. Cass. 25.10.2017, n. 25319; Cass. 13.9.2007, n. 19164).

21. Altresì, in memoria, la ricorrente si duole essenzialmente per l’asserita erronea valutazione del documento n. 4 allegato dalla Regione Emilia-Romagna.

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

22. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

23. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “K2” s.r.l., a rimborsare alla controricorrente, Regione Emilia-Romagna, le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2021

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