Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 16436 del 01/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 16436 Anno 2013
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: DI BLASI ANTONINO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del

legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa
dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui Uffici,in
Roma, Via dei Portoghesi, 12 è domiciliata, RICORRENTE
CONTRO
GALIMBERTI FRANCO ENRICO residente a Seregno, INTIMATO
AVVERSO
la sentenza n.41/22/2010 della Commissione Tributaria
Regionale di Milano

Sezione n. 22,

in data

25.03.2010, depositata il 22 aprile 2010;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di
Consiglio del 23 maggio 2013, dal Relatore Dott.

Data pubblicazione: 01/07/2013

Antonino Di Blasi;
Presente il P.M. dott. Ennio Attilio Sepe.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel ricorso iscritto a R.G. n.14692/2011 è stata
depositata in cancelleria la seguente relazione:

n.41/22/2010 in data 25.03.2010, depositata il 22
aprile 2010,

con cui la Commissione Tributaria

Regionale di Milano, Sezione n. 22, ha respinto
l’appello

dell’Agenzia

Entrate,

confermando

la

decisione di primo grado, che aveva dichiarato non più
azionabile

la

pretesa

fiscale

per

intervenuta

decadenza, pronunciando in sede di impugnazione di un
avviso di liquidazione per IVA dell’anno 2002
Affida l’impugnazione a due mezzi.
2) L’intimato non ha svolto difese in questa sede.
3) La decisione impugnata è pervenuta alla rassegnata
decisione, opinando che, nel caso, l’Ufficio era
decaduto dal potere accertativo, in quanto era decorso
il termine triennale all’uopo previsto dall’art.76 del
dpr n.131/1986 e, d’altronde, che non potesse trovare
applicazione la proroga biennale dei termini per la
rettifica, di cui all’art.11 della Legge n.289/2002,
disciplinando tale disposizione fattispecie diverse,
specificamente indicate, da quelle relative, come nel
2

l) L’Agenzia ricorre per cassazione avverso la sentenza

caso, alle agevolazioni tributarie in tema di IVA.
4)

I

mezzi

non

sembra

incrinino

il

tessuto

argomentativo della decisione.
Quanto al primo motivo, perché le censure, appaiono
genericamente formulate in spregio al consolidato

sede di ricorso per cassazione, “ha l’onere di indicare
in modo esaustivo le circostanze di fatto che potevano
condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa
decisione, in quanto il detto ricorso deve risultare
autosufficiente e, quindi, contenere in sé tutti gli
elementi che diano al Giudice di legittimità la
possibilità di provvedere al diretto controllo della
decisività dei punti controversi e della correttezza e
sufficienza della motivazione della decisione
impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio
agli atti ed alle risultanze processuali”
(Cass.n.849/2002,

n.2613/2001,

n.9558/1997),

e

d’altronde, costituisce pacifico principio quello
secondo cui per potersi configurare il vizio di
motivazione su un asserito punto decisivo della
controversia, è necessario un rapporto di causalità fra
la circostanza che si assume trascurata e la soluzione
giuridica data alla controversia, tale da far ritenere
che quella circostanza, se fosse stata considerata,
3

orientamento giurisprudenziale secondo cui la parte, in

avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza
(Cass.n.9368/2006, n.1014/2006, n.22979/2004).
Con il secondo mezzo, poi, si prospetta una lettura
dell’art.11 della Legge n.289/2002 che non trova
riscontro nel dato normativo, tenuto conto che la

e, d’altronde, che non sembra possibile una
interpretazione estensiva.
In buona sostanza,

la decisione impugnata non

giustifica le formulate censure.
5) Si ritiene, dunque, che la causa possa essere
trattata in camera di consiglio, ai sensi degli
artt.366 e 380 bis cpc, proponendosene la definizione,
con il rigetto del ricorso, per manifesta infondatezza.
Il Consigliere relatore Antonino Di Blasi.
La Corte,
Vista la relazione, il ricorso e gli altri atti di
causa;
Considerato che alla stregua delle considerazioni
svolte e dei principi richiamati in relazione, che il
Collegio condivide, il ricorso dell’Agenzia Entrate va
rigettato, per manifesta infondatezza;
Considerato, infatti, che l’applicabilità della proroga
prevista dall’art.11 comma l, per le violazioni in esso
contenute, anche a quelle di cui al comma 1 bis non
4

relativa previsione non include la fattispecie in esame

consente di ritenere tuttavia suscettibili di proroga i
termini per l’accertamento di tributi diversi da quelli
cui la norma fa espresso riferimento, sia nella rubrica
dell’articolo che nel primo comma, primo periodo imposte di registro, ipotecaria, catastale, sulle

degli immobili -; e che la deroga all’art.3 della Legge
27 luglio 2000 n.212, circa i termini per la rettifica
e liquidazione della maggiore imposta di cui al comma
1 0 , è limitata, nel secondo periodo dello stesso comma,
a “gli stessi tributi”;
Considerato, pure, che l’orientamento in tal senso, già
espresso da questa Corte (Dec.ud. 21.03.2013 su ric. n.
11309/2011 R.G.) viene condiviso dal Collegio e,
d’altronde, non è tale da indurre a diverso opinamento,
non costituendo fonte di diritto, la diversa
interpretazione della norma, resa dall’Amministrazione,
con la Circolare n.22/E del 28.04.2003;
Considerato che nulla va disposto per le spese del
giudizio, in assenza dei relativi presupposti;
Visti gli artt. 360 e 380 bis cpc;
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 23 maggio 2013.

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